“Non è vero che bisogna aspettare un avviso di garanzia per dimettersi”. “Il nuovo Pd credo che non difenderà più casi di questo genere”. “Se sapeva, ha mentito e questo è un piccolo problema, se non sapeva è anche peggio”. Parole di Matteo Renzi. Ma non di oggi: lo diceva due anni fa. E non per Maurizio Lupi, il cui ufficio è assediato da arrestati e indagati nell’inchiesta sulle grandi opere. Si riferiva a due ministri di allora: Annamaria Cancellieri e Angelino Alfano, proprio lo stesso che oggi guida il Viminale. Il presidente del Consiglio si tirava la volata nelle primarie lanciando in aria la questione morale. Dal cassetto delle certezze pescava a piene mani: “Se fossi stato segretario del Pd – scandì dopo che il Parlamento respinse la mozione di sfiducia alla Cancellieri – avrei dato l’indicazione di votare la sfiducia”. Prometteva un nuovo mondo: “Quando sarò segretario…”. Perdonava l’eventuale mendacia di Alfano, condannava l’eventuale inadeguatezza. Valeva per la Cancellieri per la telefonata alla Ligresti, valeva per Alfano per il caso Shalabayeva, valeva per la De Girolamo per i fatti dell’Asl di Benevento, valeva per Josefa Idem che si dimise per 4 anni di Imu, valeva per Tonino Gentile, il sottosegretario durato 5 giorni, quello della rotativa bloccata e il giornale “imbavagliato”. Su Lupi, invece, vale – per il momento – il silenzio. Rotto da una dichiarazione del sottosegretario Delrio che ha il rumore di una frenata a secco e da un retroscena del Corriere che racconta del “gelo”, dello “sfogo con i suoi”. Ma da sindaco di Firenze e candidato alla guida del Pd chiedeva all’ora capo del governo Enrico Letta decisione, interventi, prese di posizione, nettezza. “Gli dico: vai in Aula a dire la tua”.

Quando i renziani volevano far dimettere tutti
Ma in due anni il mondo si è rovesciato. Per dire, la questione Alfano. Allora Epifani e la Bindi si raccomandavano: “La salvezza del governo prima di tutto”. E Renzi sputava fuoco. Figurarsi che la Santanchè – la Santanchè – gridava su Twitter: “Alfano non si tocca! Il vero pericolo viene da Renzi”. Il sindaco di Firenze si diceva “stufo” del Pd che ogni volta apriva bocca gli si gettava addosso. Zanda gli rispondeva che se era stufo, poteva andare anche altrove. Luca Lotti, attuale sottosegretario a Palazzo Chigi, maltrattava Emanuele Fiano, attuale tutore del testo sulle riforme come relatore: “Svelo un segreto all’onorevole Fiano: non è stato Matteo Renzi a rapire la bambina di 6 anni. Ora basta! Invece che strumentali attacchi a Renzi l’onorevole Fiano si occupi dei problemi del Paese, se ne è capace”. Non è Asimov, è l’archivio dell’Ansa. Quanto alla Cancellieri basti ricordare che oltre a Renzi chiesero le dimissioni Maria Elena Boschi e Debora Serracchiani, che attualmente sono due pretoriane di Palazzo Chigi, l’una ministro, l’altra vicesegretaria del Pd (che a un certo punto pretendeva anche le dimissioni di Zanonato per un comunicato che non le piaceva). Entrambe, ad ogni modo, non pervenute sul caso Lupi-Incalza. La guardasigilli al telefono si era mossa a compassione con l’amica Gabriella Fragni in Ligresti: “Non è giusto” aveva detto (per tre volte) sull’arresto del compagno Salvatore e delle figlie. Ma restò al suo posto e dal Pd, tra il detto e il non detto, dettero tutta la responsabilità a Letta: era stato lui a chiedere “senso di responsabilità” al partito di non far cadere il governo d’emergenza.

La foto di gruppo di Lupi
Per ora resta al suo posto anche Maurizio Lupi, che – se fosse in una foto in posa – sarebbe ritratto circondato dai protagonisti dell’inchiesta di Firenze. A destra avrebbe Incalza (arrestato e in carcere), sul cui rapporto con il ministro è stato già detto molto. Secondo i magistrati l’influenza di Ercole l’Intoccabile era tale che l’alfaniano ciellino aveva bisogno di lui per rispondere come si deve a un’intervista al Corriere della Sera sui cantieri in giro per l’Italia. In una telefonata Lupi si lamenta con il suo “precettore”: mi hai abbandonato, gli dice. No, lo rassicura l’altro, guarda, ti ho scritto anche il programma (del Nuovo Centrodestra). A sinistra, in questa foto, Lupi avrebbe Stefano Perotti (anche lui arrestato e in carcere): è amico di famiglia, è colui che regala al figlio Luca un Rolex da 10mila euro, è colui che si spende perché il cognato Giorgio Mor dia un incarico a Lupi junior sottolineando che “a lui dobbiamo dare sicurezza”. A Perotti, come a Incalza, la Procura contesta l’associazione per delinquere ed è considerato uno dei perni del “metodo Incalza” che i magistrati ritengono illecito. In questa polaroid, al fianco di Perotti, un po’ spostato a sinistra, ci sarebbe Franco Cavallo (arrestato, ai domiciliari). Chiama il ministro “Mauri”. Viene definito “l’uomo di Lupi” da Giulio Burchi, ex presidente di Metropolitana Milanese, mentre parla a Giuseppe Cozzi, ex direttore generale di MM. In seconda fila, nella foto con Lupi, farebbero spuntare le loro teste due ex parlamentari del Pdl, che nell’inchiesta sono entrambi indagati. Uno è Rocco Girlanda: ex sottosegretario ai Trasporti proprio con Lupi ai tempi di Letta, è ora consigliere del ministro. Gli contestano la turbativa d’asta nel bando di gara per l’hub portuale di Trieste (lui si è detto “esterrefatto” perché  “quella gara non è mai stata fatta”). L’altro è Fedele Sanciu, ex senatore berlusconiano, riciclato prima come presidente della Provincia di Olbia Tempio e poi riutilizzato da Lupi come commissario dell’Autorità portuale del Nord Sardegna nel 2013. Anche a Sanciu è contestata la turbativa in una gara per un nuovo terminal nello scalo di Olbia. Alla fine del 2013 Cavallo e Sanciu si sentono al telefono. “Mi ha telefonato il ministro” dice l’ex senatore. Cavallo risponde: “Sì sì, so tutto ero con lui. Ma noi ci siamo visti, ci siamo già conosciuti sulla sua barca, ero con Maurizio qualche volta”.

Renzi parla su tutto, ma non su Lupi
Renzi, al contrario del resto del Pd che ha perso la voce, parla. Non si nasconde e parla. Parla di tutto, anche di lotta alla corruzione. Ma non del suo ministro, non del suo rapporto con Incalza, non dei suoi rapporti con 3 arrestati su 4, non dei presunti regali, non dei presunti incarichi di lavoro di Lupi il Giovane, tutta roba ricevuta – secondo la Procura e secondo il gip – da imprenditori coinvolti negli appalti che partivano con i soldi sparati dal ministero. La “triangolazione“, la chiamava Perotti al telefono con il cognato Mor: l’azienda riceve l’incarico, che stipula un contratto con il secondo che dà un incarico di lavoro a un terzo. Base per altezza diviso due: secondo i magistrati è il modulo del sistema Incalza dove il primo è conosciuto da Lupi e almeno in un caso il “terzo” è stato il figlio di Lupi. Ipotesi da provare e che il ministro ha smentito. E in questo caso forse non vale il principio per cui “non bisogna aspettare un avviso di garanzia per dimettersi”. Ma il presidente del Consiglio parla, ma non di questo. Continua a volare alto, altissimo: nella sfida alla corruzione c’è bisogno di “un passaggio culturale ed educativo” spiega. Ci piazza il solito gioco di parole: vuole uno Stato “di pulizia” e non di polizia. Ripete che “le pene sulla corruzione devono essere aumentate”, mentre il disegno di legge ha patito le pene dell’inferno per uscire – dopo due anni pieni – dalla commissione del Senato. Strano che non abbia ricordato per la milionesima volta la nomina di Cantone. Ci vorrebbe qualcuno che da fuori gli dicesse: “Vai in Aula a dire la tua”.

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