Spese per il personale e di gestione tra le più alte d'Europa. Per 54 mila detenuti in custodia. Oltre 4mila in più rispetto al limite fissato. Con "situazioni al limite della decenza", denuncia l'associazione. Mentre crescono gli interrogativi sull'utilizzo dei fondi per i nuovi penitenziari
Sono ancora molto affollate. Con poche donne ma tanti stranieri. E con costi di gestione e del personale fra i più alti d’Europa. È questa la fotografia delle carceri italiane scattata da Antigone, l’osservatorio che dalla fine degli Anni ’80 si occupa della condizione dei nostri penitenziari, nel suo undicesimo rapporto annuale. Nel quale si sottolinea come la situazione continui ad essere ben oltre il livello di guardia malgrado la condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo di due anni fa. Nonostante la parziale diminuzione della popolazione carceraria dal 2013 ad oggi (meno 8.554 unità), al 28 febbraio 2015 i detenuti presenti nelle 207 strutture sono infatti 53.982, ben 4.039 in più rispetto al numero di posti letto regolamentari stabilito dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap). Il tasso di sovraffollamento, dunque, si attesta al 108%. Ci sono cioè 108 detenuti ogni 100 posti disponibili. Non solo. Perché, scrive ancora Antigone, “per stessa ammissione dell’amministrazione il dato sulla capienza non tiene conto di eventuali situazioni transitorie” come i reparti chiusi per lavori di manutenzione, che comportano “scostamenti temporanei” quantificati intorno alle 4.200 unità. Se lo facesse, spiega l’osservatorio, “il tasso di sovraffollamento salirebbe al 118%”. Proprio così.
DECENZA ADDIO Non si tratta comunque dell’unico male atavico delle nostre prigioni. Le maggiori criticità riguardano infatti la spesa dell’intero sistema, che attualmente ospita anche 14 detenuti accusati o condannati per terrorismo internazionale jihadista e 725 detenuti sottoposti al carcere duro del 41 bis (210 appartenenti a Cosa nostra, 294 alla Camorra, 135 alla ‘ndrangheta, 22 alla Sacra corona unita e 3 esponenti di associazioni di tipo terroristico), mentre sono 523 collaboratori di giustizia protetti nelle strutture penitenziarie. A questo proposito Antigone ha confrontato i dati riguardanti l’Italia con quelli degli altri Paesi, pubblicati dallo European Prison Observatory, scoprendo che il nostro è certamente uno degli Stati che spende di più. Ma spende male. Perché l’82,9% delle “uscite” servono a pagare gli stipendi del personale mentre solo 11,5 euro vengono usati ogni giorno per il mantenimento, l’assistenza e la rieducazione dei detenuti. “Con circa 46 mila unità il personale penitenziario dell’Italia è più numeroso di quello di Francia, Germania e Inghilterra che pure hanno a che fare con un numero di reclusi maggiore rispetto al nostro”, spiega a ilfattoquotidiano.it il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella. “Ciò significa che le risorse a disposizione devono essere razionalizzate – aggiunge Gonnella –. Non si può sostenere che un percorso di riforma volto a migliorare la qualità della vita all’interno delle strutture non può essere attuato perché manca il personale. Si tratta esclusivamente di un problema di organizzazione del lavoro”. Scenario, questo, che comporta dei riflessi negativi sulla vita quotidiana dei detenuti, costretti spesso a vivere in situazioni al limite della decenza. Sono già 9 quelli che dall’inizio del 2015 si sono tolti la vita. Lo scorso anno il numero ha toccato quota 44 ma sarebbe potuta andare peggio, visto che i tentati suicidi sono stati 933 e gli atti di autolesionismo quasi settemila. Numeri che superano la media europea (7,7% ogni 10 mila detenuti contro il 5,4%) anche se sono più bassi rispetto a quelli di Francia (14,4%) e Germania (8,2%).
STRETTAMENTE PERSONALE Un prezzo alto vista la situazione in cui versano le nostre carceri è quello pagato dalle detenute, che rappresentano “appena” il 4,3% del totale. I disagi che le donne sono costrette a vivere dietro le sbarre sono numerosi, a cominciare dal numero esiguo di istituti a custodia attenuata (Icam) per chi ha figli: soltanto tre. “Per invertire questa tendenza vanno soddisfatti una serie di bisogni specifici a cominciare da quelli legati alla maternità – dice il presidente di Antigone –. La vita delle donne in carcere è diversa da quella degli uomini, ecco perché andrebbe creato un ufficio centrale competente per le detenute che si occupi prioritariamente di loro e dei loro bisogni”. Senza dimenticare gli stranieri, che rappresentano il 32% della nostra popolazione carceraria (17.500 circa, più 11% rispetto alla media europea) e che risultano puniti per reati meno gravi rispetto a quelli commessi dagli italiani. Una percentuale cresciuta sensibilmente fra il 1996 e il 2008, quando si è arrivati a sfiorare il 40%. In questo senso non sempre la convivenza all’interno delle strutture funziona. E a volte a finire sul banco degli imputati sono addirittura gli agenti della Polizia penitenziaria. Il 19 gennaio di quest’anno due di loro sono stati condannati dal Tribunale di Asti a due anni e otto mesi per le violenze e le offese rivolte nel 2010 ad un detenuto di origini brasiliane convertito all’Islam. “Le motivazione della sentenza sono durissime”, spiega il rapporto: “Il gup parla di ‘vilipendio al profeta della religione islamica’, di violazione dei diritti costituzionali e non concede le attenuanti generiche ai due agenti, che vengono allontanati dall’istituto ma non dal corpo di Polizia penitenziaria”.
AVANTI PIANO Che dire, poi, dell’eterna questione del cosiddetto “piano carceri”? Un progetto di edilizia penitenziaria che fra il 2010 e il 2014 ha portato allo stanziamento di circa 450 milioni di euro, 228 in meno di quanto previsto inizialmente dal governo Berlusconi. Però “la domanda che oggi ci si pone – scrive Antigone nel suo report – è quale sia l’utilizzazione di quei fondi, dopo che lo scorso giugno 2014 è stata resa pubblica un’inchiesta della magistratura sui bandi di gara per la costruzione di nuovi carceri o nuovi reparti”. Secondo tempo di una vicenda iniziata nel 2012, quando il piano in questione era finito sotto la lente d’ingrandimento dei magistrati della Corte dei conti. Per l’occasione era stato addirittura aperto un sito, pianocarceri.it, il cui ultimo aggiornamento risale al 14 febbraio 2014. Più di un anno fa. Nel frattempo, salvo clamorosi colpi di scena, il prossimo 31 marzo (dopo due rinvii) dovrebbero essere definitivamente chiusi gli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), nei quali ancora oggi continuano a stazionare oltre 750 internati. La metà di questi è considerata “dimissibile”, fa sapere Antigone, “cioè andrebbero curati in strutture alternative” come comunità e ambulatori territoriali. “Eppure le porte degli Opg continuano a non aprirsi”. Al loro posto dovrebbero nascere le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) con un massimo di 20 posti letto ciascuna. Ma fra le pallide luci si annida più di un’ombra. “Auspichiamo che questa sia la volta buona e che non ci siano rinvii. Vigileremo affinché tutto fili liscio – promette il numero uno di Antigone – sperando che la contenzione fisica e le condizioni igienico-sanitarie deplorevoli rappresentino il passato”.
ECCESSO DI CAUTELA Non manca comunque qualche piccolo miglioramento. Per esempio negli ultimi sei anni sono diminuiti di oltre 42.500 mila unità gli ingressi in carcere, che nel 2008 erano arrivati a toccare la cifra di 92.800. Così come il fatto che nel 2014 l’indice di delittuosità (i reati per numero di abitanti) ha fatto segnare un calo complessivo del 14%. Segno, scrive Antigone, “che in carcere c’erano tante persone che nulla hanno a che fare con il crimine e che una volta uscite non hanno commesso nuovi reati”. Il rovescio della medaglia è però, sostiene il report, l’eccessivo utilizzo della custodia cautelare: il 34,8% dei detenuti presenti oggi nelle carceri italiane si trova in questa condizione contro una media Ue del 21%. “Questo dato – afferma Gonnella – dimostra che bisogna soprattutto insistere lungo un percorso di depenalizzazione in materia di droghe, come ha sottolineato all’inizio di marzo anche la Direzione nazionale antimafia. Ciò porterebbe ad una riduzione di almeno 10 mila detenuti nonché ad una diminuzione dei guadagni delle mafie e ad una maggiore capacità statale di contrasto alle stesse”. C’è poi un’ultima questione, ovvero quella delle cosiddette “misure alternative” al carcere, che in Italia hanno conosciuto un percorso di espansione grazie alle legge Gozzini nel 1986. Almeno fino al 2005, anno dell’approvazione della ex Cirielli che ne limita fortemente l’accesso. Dal 2010 al 2014, fa notare Antigone, i detenuti beneficiari dell’affidamento in prova ai servizi sociali sono aumentati solo di 2.500 unità, mentre è rimasto costante il numero di tossico o alcol-dipendenti che accedono ad un percorso terapeutico alternativo al carcere. Aumentano invece le detenzioni domiciliari: più 3.600 unità.
Twitter: @GiorgioVelardi