Mentre aumenta il peso degli investimenti cinesi nella Penisola, il Tesoro ha ufficializzato la partecipazione di Roma al capitale della Asian infrastructure investment bank, studiata come alternativa alla Asian development bank e più al sistema di istituzioni internazionali sostenuto dagli Stati Uniti. L'amministrazione Obama la settimana scorsa ha criticato la scelta della Gran Bretagna di aderire
L’Italia, insieme a Francia e Germania, sarà membro fondatore della Asian infrastructure investment bank (Aiib). Cioè l’istituzione voluta dalla Cina nell’ambito di un progetto che punta a creare un sistema finanziario alternativo a quello messo in piedi per volere degli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale, i cui pilastri sono Banca mondiale e Fondo monetario internazionale. Il governo Renzi, che durante il suo primo anno di vita ha visto intensificarsi il ritmo di crescita degli investimenti cinesi in gruppi della Penisola, ha deciso dunque di affiancare in quest’impresa la Repubblica popolare. Mossa che, a giudizio del Financial Times che ha anticipato la notizia poi confermata dagli interessati, infligge “una significativa sconfitta all’amministrazione Obama, secondo la quale i Paesi occidentali avrebbero avuto una maggiore influenza sulla nuova banca se tutti insieme ne fossero rimasti fuori”.
L’istituto, fondato ufficialmente da Cina, India, Thailandia, Malesia e altri 17 Paesi nel novembre scorso, è infatti parte di “un’offensiva più ampia di Pechino per creare nuove istituzioni economiche e finanziarie che ne accresceranno l’influenza internazionale” ed è considerato “rivale” della Asian development bank, istituita nel 1966 su iniziativa di Usa e Giappone. Che ne detengono oltre il 30% del capitale. Oltre alla Aiib e alla New development bank o Brics bank, banca multilaterale di sviluppo operativa dal 2014, il governo di Li Keqiang punta anche a mettere in piedi la Development bank of the Shanghai co-operation oganisation, un raggruppamento eurasiatico alternativo all’Ocse e dominato dalla stessa Cina e dalla Russia.
Il responsabile del desk Asia-Pacifico del dipartimento di Stato Usa, Daniel Russel, martedì ha gettato acqua sul fuoco delle possibili polemiche affermando che “ogni governo può fare le proprie scelte”, ma il segretario al Tesoro americano Jack Lew, nel corso di un’audizione in Congresso, ha ammesso che “preoccupazione per gli standard” dell’Asian Infrastructure Investment Bank. La settimana scorsa peraltro la notizia dell’adesione di Londra alla Aiib è stata accolta con molto meno aplomb: un esponente l’amministrazione statunitense, in un’intervista al Ft, ha “diffidato” la Gran Bretagna “dalla tendenza di essere accomodanti con la Cina, che non è il miglior modo di procedere con una potenza in ascesa”.
L’avvertimento non è però servito come deterrente per gli altri soci come l’Italia. In una nota del ministero dell’Economia si legge che la Aiib, quale “nuova banca d’investimento che lavorerà con le banche multilaterali di sviluppo e di investimento esistenti, può svolgere un ruolo di rilievo nel finanziamento dell’ampio fabbisogno infrastrutturale dell’Asia”. Obiettivo, promuovere “lo sviluppo economico e sociale nella regione e contribuire alla crescita mondiale”. Parigi, Berlino e Roma, si sottolinea, “operando in stretto raccordo con i partner europei e internazionali intendono lavorare con i membri fondatori della Aiib per costruire un’istituzione che segua i migliori principi e le migliori pratiche in materia di governo societario e di politiche di salvaguardia, di sostenibilità del debito e di appalti”.
E’ evidente comunque che la decisione italiana non è indipendente dalla scala crescente che gli interessi economici cinesi stanno assumendo in Italia. Non è un caso se a fine gennaio un manager cinese, Yunpeng He, è entrato per la prima volta nel consiglio di amministrazione di un’azienda quotata a piazza Affari. Per altro si tratta di una società dal forte peso strategico, Terna, la partecipata dello Stato italiano che ha in pancia la rete elettrica della Penisola. Il colosso pubblico di Pechino State grid corporation of China ne è socio dall’estate scorsa, quando ha comprato per 2 miliardi di euro il 35% di Cdp Reti, controllata di Cassa depositi e prestiti che detiene a sua volta il 30% di Snam e, appunto, di Terna. Ma questo investimento, pur particolarmente “pesante” per valore e qualità, fa parte di un’ondata di acquisizioni ben più ampia: secondo un rapporto della società di consulenza Kpmg lo scorso anno aziende della Repubblica popolare hanno messo a segno in Italia 13 operazioni per un controvalore di 4,9 miliardi. In prima linea la People’s Bank of China, cioè la banca centrale del Paese, che ha ora in portafoglio pacchetti di più del 2% in Saipem, Assicurazioni Generali, Eni, Enel, Prysmian, Telecom Italia e Fca oltre che nella stessa Terna. In più, nel maggio scorso Shanghai Electric ha rilevato dal Fondo strategico italiano della Cdp il 40% di Ansaldo Energia.