Un elenco dettagliato di 188 siti inquinati e abbandonati al loro destino. La gran parte dei quali situati in sei regioni: Campania (48), Calabria (43), Abruzzo (28), Lazio (21), Puglia (12) e Sicilia (12). Sono le discariche abusive presenti sul nostro territorio e responsabili della pesante condanna subita dall’Italia da parte della Corte europea lo scorso dicembre. Una sentenza che costa al nostro Paese quasi 43 milioni di euro ogni sei mesi. Che al giorno fanno poco meno di 240mila euro. Una vicenda lunga e intricata, alla quale mancava la cosiddetta “pistola fumante”. Ossia, la mappa dei luoghi dove si trovavano queste discariche. Un dettaglio non da poco, che permette di risalire ai responsabili territoriali, i presidenti delle Regioni e gli assessori che per primi nulla hanno fatto per porre rimedio alla situazione di degrado del territorio. L’elenco delle dislocazioni delle discariche è infatti risultato a lungo irreperibile. «Desaparecido» è stato definito. Fino a quando Claudia Mannino, deputata del Movimento 5 Stelle, non è riuscita a ottenerlo dal dipartimento Ambiente della Commissione europea permettendo così di documentare i dettagli geografici dello scandalo rifiuti italiano.
DALLE ALPI ALLA SICILIA – Nelle nove discariche presenti nel Veneto, fa impressione il dato che cinque di queste vengano rintracciate a Venezia. Quello dell’ex repubblica marinara non è l’unico capoluogo di provincia indicato come sede di siti inquinati: ne troviamo uno a Lecce, uno a Matera, uno a Reggio Calabria, due a La Spezia (entrambi riconducibili al sito di Pitelli), uno a Mantova ed uno, infine, ad Ascoli Piceno. Anche la provincia italiana, quella dei piccoli borghi, non è immune dalle peste delle discariche abusive: Castel di Sangro, Lama dei Peligni e Penne in Abruzzo; Amantea, Isca sullo Jonio, Joppolo e Pizzo in Calabria; Casamicciola Terme, Bellosguardo, Gioia Sannitica in Campania; Oriolo Romano, Riano, Arpino, Campoli Appennino e Filettino nel Lazio; Peschici, Santeremo in Colle, Lesina in Puglia; Cammarata, Augusta e Monreale in Sicilia; Pietrasanta e Stazzema in Toscana; Gualdo Tadino in Umbria. E sono soltanto alcuni dei piccoli centri indicati nella lista emersa dalle carte del dipartimento ambiente della Commissione europea. Anche la piccola Isola del Giglio, teatro dell’inchino marinaresco più tragico della storia, vanta la sua bella discarica abusiva.
REGIONI SOTTO ACCUSA – La prima conseguenza della pubblicazione di questo elenco sarà la chiamata in causa degli amministratori locali di tutte le Regioni, con l’eccezione di Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige, uniche due non presenti nella lista. Per evitare di incorrere in ulteriori sanzioni pecuniarie, le Regioni interessate devono infatti portare a termine la messa in sicurezza e, eventualmente, la bonifica delle discariche entro il 2 giugno 2015, fornendone prova alla Commissione europea tramite le autorità italiane. Con la sentenza del 2 dicembre 2014, infatti, la Corte di Giustizia aveva accertato l’omessa esecuzione da parte della Repubblica italiana (e per essa, dei Governi succedutisi nell’arco di oltre 7 anni) della decisione della stessa Corte del 26 aprile 2007, che aveva dichiarato l’inadempienza dell’Italia, a partire dal 9 febbraio 2004, agli obblighi di attuazione di alcune disposizioni delle direttive comunitarie in materia di gestione dei rifiuti e delle discariche. La Corte Ue aveva usato la mano pesante con l’Italia, rifilandole una multa di 40 milioni di euro forfettari, già pagati secondo quanto ha affermato il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, a cui se ne aggiungono altri 42,8 per ogni sei mesi di ritardo accumulato nel risolvere la situazione.
PIU’ RITARDI PIU’ TI MULTO – Giovedi scorso la vicenda è stata al centro dell’incontro tra lo stesso ministro italiano e il commissario Ue per l’Ambiente Karmenu Vella. «Ce la stiamo mettendo tutta per evitare di pagare i prossimi 40 milioni o almeno avere una riduzione», ha assicurato Galletti, che ha poi annunciato un piano per la bonifica delle discariche illegali «nei prossimi mesi». Parole apprezzate dal rappresentante dell’Unione europea, il quale però on ha potuto non esortare il collega italiano a far sì che le misure «vengano attuate rapidamente». Due settimane dopo la sentenza, il Movimento 5 stelle aveva depositato un esposto presso la Corte dei Conti per chiedere di addebitare la responsabilità amministrativa del danno erariale che lo Stato italiano e i cittadini stanno sopportando ai «presidenti del Consiglio ed i ministri dell’ambiente facenti funzione all’epoca dei fatti ed i sindaci e presidenti delle Regioni pro tempore che hanno amministrato i territori dove sono ubicate le discariche oggetto della seconda sentenza della Corte di Giustizia europea».
SICILIA MAGLIA NERA – La prima Regione chiamata in causa è la Sicilia. Una lettera dell’onorevole Mannino, chiede all’assessore regionale all’Ambiente, Maurizio Croce, «di informare gli scriventi parlamentari dello stato degli interventi e di confermare se essi saranno completati entro il 2 giugno 2015». Quella dell’Isola, infatti, è una delle situazioni più critiche in tema di gestione dei rifiuti. La Regione detiene il primato negativo in Italia per l’uso delle discariche, alle quali conferisce il 93% del totale dei rifiuti. Un primato condiviso con la Calabria, unica altra regione in Italia a superare la soglia del 90%, a fronte di una media nazionale è del 37%. Nei giorni scorsi, la Commissione bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, presieduta dal deputato democratico Alessandro Bratti, si trovava proprio in Sicilia per una serie di audizioni che hanno confermato il quadro già allarmante emerso nel corso delle sedute “romane” dello stesso organismo parlamentare. In Sicilia, come ha raccontato il prefetto di Catania Maria Guia Federico, si è verificato il primo caso in Italia di commissariamento di un contratto di gestione dei rifiuti solidi urbani. Si tratta del contratto tra la Oikos Spa e il comune di Catania, relativo alla gestione della discarica di Motta Sant’Anastasia. La Sicilia soffre di evidenti e gravi criticità, conseguenza della scelta delle discariche come unico sistema di gestione dei rifiuti solidi urbani. Situazione migliore nel resto del nostro Paese anche se, secondo dati dell’Ispra, «nel 2013 ancora il 42% dei rifiuti urbani» finiva in discarica «senza alcuna forma di trattamento preliminare». Nonostante il divieto.