Il Museo Nazionale del Bardo, teatro dell’attacco terroristico in cui hanno perso la vita almeno 17 turisti stranieri, è il più importante museo tunisino e il più antico museo del mondo arabo e dell’Africa, inaugurato il 7 maggio 1888. Il museo archeologico contiene la più ricca collezione di mosaici romani del mondo. Il nome originale era Museo Alaoui, in onore di Ali Muddat inb al-Husayn, sovrano di Tunisia dal 1882 al 1902. Dal 1956 cambia nome, dopo l’indipendenza della Tunisia, prendendolo dalla località che lo ospita, il Bardo, appunto, in periferia di Tunisi.
Il Museo è situato nella nella residenza del sovrano del XIX secolo, circondata da un grande giardino ricco di essenze locali e si sviluppa su tre piani. Il palazzo, ampliato nel 1899 con l’aggiunta del Piccolo Palazzo per le collezioni d’arte islamica, è stato dichiarato monumento storico nel 1985. E’ suddiviso in sei dipartimenti che riflettono le tappe archeologiche del paese: il periodo preistorico, punico, romano, cristiano, arabo-islamico e quello relativo all’archeologia sottomarina. I reperti in mostra occupano 34 sale impegnandone i pavimenti, le pareti e, in alcune, i soffitti: solo sui pavimenti sono sistemati 2.115 metri quadrati di mosaici.
La collezione più importante del museo è costituita proprio dai mosaici romani del II-IV secolo, tutti di eccezionale fattura e conservazione, che in definitiva simboleggiano il museo stesso: Perseo libera Andromeda, Virgilio ascolta Clio e Melpomene, Venere alla toilette, Corsa di carri in un circo, Le nozze di Dioniso e d’Arianna, Teseo e il Minotauro sono alcuni dei mosaici in mostra accanto ai quali vi sono esposte diverse statue raffiguranti divinità, eroi e personaggi mitologici, tutte di ottima fattura. Una testa ciclopica di Giove, alta più di un metro, diverse statue di Venere fanno da cornice agli onnipresenti mosaici insieme ad un Ercole ubriaco, in posa licenziosa. Nel museo anche una sala che raccoglie delle opere del periodo cristiano della Tunisia. Nel 1959 la Direzione del Museo affidò all’archeologo Henri Lhote, massimo esperto del settore dell’epoca, l’incarico di catalogare, in un inventario, le migliaia di incisioni di età neolitica presenti nel percorso all’interno di un canyon, nella valle di Illizi.