Indagini poche, condanne pochissime. Il sistema di potere indisturbato. Magistrati e Anm in silenzio. Poi arrivano loro: Michele Di Lecce e Nicola Piacente a Genova, Francantonio Granero a Savona, Roberto Cavallone a Sanremo. Con i nuovi inquirenti la Liguria si è scoperta malata: l’inchiesta Carige ha messo in ginocchio la banca dove sedeva mezza famiglia Scajola; l’indagine sulle spese pazze nella Regione guidata dal centrosinistra ha portato in manette due vicepresidenti della giunta e investito mezzo consiglio. Poi l’arresto di Gino Mamone per appalti da 10 milioni. Quel Mamone indicato in un’informativa della Finanza come possibile contatto tra politica e ’ndrangheta in Liguria (mai però indagato per questo); l’uomo che finanziava l’associazione Maestrale di Claudio Burlando e che i pm sospettano ricattasse il governatore.
E ancora, le inchieste di ’ndrangheta che il pm Cavallone ha avviato nel Ponente ligure, dove ogni anno bruciavano duecento locali. Autocombustione?
O per finire: l’inchiesta sulla centrale a carbone di Vado Ligure. I periti dell’accusa parlano di 440 morti. Ci sono decine di indagati tra cui Burlando (l’accusa è concorso in disastro ambientale doloso): le ciminiere sputavano veleno da decenni, ma bisognava attendere Granero e i suoi pm.
Ha dichiarato Granero alla Commissione Parlamentare per i Rifiuti: “Sono stato soggetto a pressioni, ricatti e pedinamenti… Ero stato in Liguria negli anni 80, quando ho fatto il processo Teardo. Sono tornato dopo trent’anni e ho trovato la stessa situazione, una struttura di poteri trasversali, priva di colore partitico, composta da poche persone, che domina l’attività economica e finanziaria del territorio”.
Il gip: procedimenti arenati “per diverse ragioni”
Ecco la magistratura in Liguria: le inchieste che si fanno oggi. E i dubbi su quelle che non si sono fatte ieri. A cominciare dalla Carige. Nel 2002 la Finanza aveva prodotto migliaia di documenti. Scrive oggi il gip: “Per ragioni diverse i procedimenti che si sono occupati di tale fenomeno si sono chiusi senza che fosse esercitata l’azione penale”. In Tribunale c’è chi ricorda che la società assicuratrice della Carige era sponsor della squadra di volley dell’allora capo dell’ufficio gip Roberto Fucigna. Lo stesso, ma è certo un caso, che nel 2002 archiviò inchieste a carico dei vertici della banca su false fatturazioni e affari immobiliari. Fucigna è in pensione, indagato a Torino per le sponsorizzazioni.
Le carte Carige di oggi tirano in ballo altri magistrati : “Il vice procuratore di Genova… mio carissimo amico… mi ha detto che non sei… stattene fuori…”, dice al telefono Ferdinando Menconi, ex numero uno di Carige Vita Nuova, braccio destro di Giovanni Berneschi, boss della banca per decenni. Pare riferirsi, secondo gli investigatori, al procuratore aggiunto Vincenzo Scolastico (non indagato) che respinge l’addebito: “Mai frequentato quella gente”. Il gip Adriana Petri così motiva l’arresto di Berneschi: “Il pericolo di inquinamento probatorio è testimoniato da intercettazioni che hanno evidenziato presunte entrature negli ambienti giudiziari di Genova e di La Spezia per tramite dell’avvocato Andrea Baldini (marito del magistrato PasqualinaFortunato, ndr), al quale egli avrebbe ripetutamente chiesto di verificare se vi sono procedimenti giudiziari a suo carico”. Il gip parla di “inquietante scenario… del legale che apprende da personale addetto agli uffici giudiziari e che ha accesso ai terminali riservati della Procura”.
A Torino, competente per gli atti relativi ai magistrati liguri, si stanno valutando le intercettazioni che parlano dell’ex procuratore aggiunto di La Spezia Maurizio Caporuscio, di Fortunato e perfino di Granero (la sua posizione, però, pare già chiarita). A Torino si sta studiando la posizione di Fucigna e di Francesco Lalla (non indagato), ex procuratore di Genova, che – secondo la segretaria di Berneschi – avrebbe chiesto l’assunzione di una nipote. Una cosa è certa. Nelle intercettazioni Carige si parlava di assunzioni di parenti di magistrati.
Il crac di Festival tra prescrizione e immunità
Che dire poi del caso Festival, il più clamoroso crac della marineria italiana? Centinaia di persone a spasso, un buco di 273 milioni. Tra i consiglieri di Festival, Roberto De Santis, che definiva Massimo D’Alema “suo fratello maggiore” e Raffaele Bozzano, nominato da Burlando nel cda dell’ospedale Gaslini. Tra i pezzi grossi del gruppo, Umberto Ferraro e Marina Acconci, vicini alla sinistra genovese. Tanti di loro erano nei cda di società di brokeraggio in affari con Festival: Italbrokers, società che fa capo a Franco Lazzarini, amico di D’Alema. La collegata Interconsult faceva riferimento a Gianni Pisani, finanziatore di Italiani Europei e scelto dalla Regione per guidare Sviluppo Genova che gestisce miliardi di appalti pubblici. L’inchiesta Festival si è chiusa tra prescrizione e immunità: l’armatore Giorgio Poulides era ambasciatore di Cipro in Vaticano.
Il legame tra magistratura e mondo degli affari di centrosinistra a Genova pareva normale: all’epoca il procuratore, i responsabili della Corte d’appello e dell’Ufficio gip vantavano frequentazioni con quel gruppo di potere. Molti giocavano a calcetto insieme. Stima, certo: appena andato in pensione il procuratore Francesco Lalla è stato nominato difensore civico dalla Regione (ieri si è dimesso).
Il prestito del siriano Hadj al questore Fioriolli
Troppe inchieste mai aperte o chiuse negli scaffali. Come quella su un prestito di 50 mila euro. Al centro Fouzi Hadj, imprenditore siriano con affari in Guinea Conakry: in un dossier dell’ong Human Rights Watch fatto proprio dall’Onu, viene indicato come trafficante d’armi. Fouzi a Genova aveva amici nelle istituzioni. Da un fascicolo della Procura di Montecarlo passato poi a Genova emerge che Fouzi intrattiene rapporti con poliziotti.
Uno è Oscar Fioriolli, all’epoca questore di Genova, poi di Napoli. Fioriolli ha ricevuto dal siriano 50 mila euro. “Un prestito”, tagliò corto l’alto dirigente. Nelle carte dell’inchiesta si trovano nomi del G8 del 2001, come Spartaco Mortola, all’epoca capo della Digos di Genova. C’è poi Marcellino Melis, capo degli artificieri di Genova, che passò alle cronache per aver perso una prova decisiva nell’inchiesta del G8: la famosa molotov. Melis si occupa per Fouzi di affari tipo la blindatura di un’auto destinata al dittatore della Guinea, Lansana Conté. Ma anche questo fascicolo è finito in prescrizione.
Da Il Fatto Quotidiano di martedì 17 marzo