9 maggio 2014. Una data che Maurizio Lupi dovrebbe ricordare bene. Quel giorno, il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, uno dei dicasteri più a rischio corruzione per la mole di denaro che ogni giorno gestisce e macina, pose la sua firma proprio sul “Codice di comportamento del ministero delle Infrastrutture e Trasporti” (vedere immagini in basso). Regole e indirizzi severissimi “per tutti i dipendenti in servizio a qualsiasi titolo, a tempo indeterminato e determinato”.
TEMPO ROLEX A leggerlo oggi, il documento fa riflettere, soprattutto per quello che al ministro del Nuovo centro destra (Ncd) e storico esponente del Movimento Comunione e liberazione (Cl) sta capitando. A causa della maxi inchiesta fiorentina su appalti e grandi opere, che vede tra gli altri agli arresti Ercole Incalza, uno degli uomini più in vista del dicastero e tra i collaboratori da lui più ascoltati, Lupi (che non è indagato) si ritrova al centro delle polemiche anche per una sorprendente storia di regali. Quello per esempio fatto dall’architetto Stefano Perotti (anche lui arrestato) al figlio Luca Lupi: un prezioso orologio Rolex del valore di circa 10 mila euro, 10.350 per la precisione. Ma anche per un altro regalo del quale lui stesso sarebbe stato destinatario, “un abito sartoriale” ricevuto da un altro degli arrestati. La cosa curiosa è che tra gli argomenti più vari e delicati regolati dal codice c’è proprio quello dei regali. Materia disciplinata all’articolo 4: “regali, compensi o altre utilità”. Sul punto, richiamando il “Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici“ pubblicato in un decreto firmato dal presidente della Repubblica del 2013, il codice-Lupi stabilisce con chiarezza che “il dipendente non chiede, né sollecita, per sé o per altri, regali o altre utilità”. Salvo “quelli di modico valore” che, secondo il codice firmato dal ministro, “in via orientativa”, sono quelli di valore “non superiore a 150 euro“.
TUTTO IN FAMIGLIA Non basta: perché sia chiaro a tutti e non si creino equivoci sul comportamento da tenere, “indipendentemente dalla circostanza che il fatto costituisca reato” il dipendente-Infrastrutture “non chiede, per sé o per altri, regali o altre utilità, neanche di modico valore a titolo di corrispettivo per compiere o per aver compiuto un atto del proprio ufficio, da soggetti che possano trarre benefici da decisioni o attività inerenti all’ufficio, né da soggetti nei cui confronti è o sta per essere chiamato a svolgere o a esercitare attività o potestà proprie dell’ufficio ricoperto”. Il ministro Lupi ha dichiarato di non aver chiesto mai niente, per sé o per il figlio. E’ già qualcosa, solo che, in ogni caso, il regolamento prevede che i regali e le altre utilità comunque ricevuti “fuori dai casi consentiti”, devono essere “immediatamente messi a disposizione dell’amministrazione” per la restituzione o per essere devoluti a fini istituzionali”.
CONTROLLI IN TILT Sull’etica, infatti, il codice non lascia margini. A leggere i suoi principi generali si scopre che esso ha soprattutto a cuore “la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell’interesse pubblico”. Prevedendo naturalmente tutta una serie di controlli e verifiche. I dirigenti generali e non del ministero, ad esempio, «vigilano sul rispetto delle regole contenute nel Codice e nel Regolamento» all’interno della struttura «di cui sono titolari», segnalando «le violazioni ai fini dell’attivazione del procedimento disciplinare e della valutazione individuale». Non basta: c’è anche un livello di controllo superiore. Un’«attività di monitoraggio e vigilanza» affidata all’«Ufficio per i procedimenti disciplinari della Direzione generale del personale e degli affari generali in raccordo con il Responsabile della prevenzione della corruzione». Che a sua volta, «con cadenza annuale», acquisite le dovute informazioni, «monitora gli effetti determinati dal presente Codice». Sulla carta una rete di verifiche in grado di prevenire qualsiasi abuso. Nella pratica, tutta un’altra storia come le carte dell’inchiesta fiorentina dimostrano.
OCCHIO AI PRIVATI Nel mirino, infine, anche i lavori extra. I dipendenti non possono infatti svolgere incarichi remunerati di collaborazione di qualsiasi tipo «per conto di privati con cui abbiano avuto negli ultimi due anni rapporti nello svolgimento di attività negoziali o nell’esercizio di poteri autoritativi per conto del Ministero». Un vincolo che si estende «anche ai casi in cui abbiano svolto attività quali responsabili del procedimento, senza l’adozione di provvedimenti a rilevanza esterna». L’obiettivo è chiaro: nei rapporti con i privati il dipendente ed il lavoratore ministeriali «non devono sfruttare la posizione che ricoprono nell’Amministrazione per ottenere utilità che non gli spettino».