Mentre Opel decide di lasciare il mercato russo e General Motors si prepara a sospendere la produzione nello stabilimento di San Pietroburgo, nei delicatissimi rapporti tra Mosca e Washington si apre un altro fronte. La compagnia petrolifera statunitense ExxonMobil chiede infatti la restituzione delle imposte pagate per sei anni relativamente al progetto Sakhalin-1: almeno 10 miliardi di rubli (circa 154 milioni di euro al cambio attuale). Il problema è sorto sei anni fa e, nonostante l’azienda abbia ottenuto nel 2011 lo status di partner strategico di Rosneft, ciò non sembra aver portato grossi vantaggi. Infatti le sanzioni imposte alla Russia da Usa e Unione europea riducono ai minimi termini le possibilità di cooperazione, tanto che nel settembre scorso Exxon ha deciso di sospendere la cooperazione sui progetti offshore.
Stando a quanto riporta il quotidiano Kommersant, ora ExxonMobil intende presentare una richiesta di arbitrato al tribunale di Stoccolma per riottenere la cifra secondo gli americani indebitamente pagata. Giovedì il presidente di ExxonMobil Rex Tillerson è atteso a Mosca, dove incontrerà il ministro delle Finanze Anton Siluanov, quello dell’Energia Alexander Novak, il vice primo ministro Arkady Dvorkovich e l’amministratore delegato della Rosneft Igor Sechin per discutere della questione e far luce sulle rivendicazioni del gruppo.
Sakhalin-1, realizzato sulla base di un accordo di produzione che comprende tre giacimenti, contiene potenziali riserve recuperabili di 307 milioni di tonnellate di petrolio e 485 miliardi di metri cubi di gas. ExxonMobil ne detiene il 30%, mentre Rosneft ne ha il 20 come gli indiani di Oil and Natural Gas Corporation e i giapponesi di Sodeco un altro 30%. Lo sfruttamento ha preso avvio nel 2008 e dall’anno successivo i partecipanti hanno pagato un’imposta del 35%. Nell’aprile del 2009 il vice ministro delle Finanze Sergei Shatalov in una lettera spiegò ai singoli partecipanti che quella tassa sugli utili era composta da un 13% dovuto alla Federazione russa e un 22% da corrispondere alla regione di Sakhalin. Nel frattempo, però, il Cremlino aveva ridotto l’imposta sul reddito al 20%.
Di qui le proteste di ExxonMobil, che però arrivano non a caso in una fase di forte tensione tra Usa e Russia, con il presidente Barack Obama che non perde occasione per ribadire che le ritorsioni economiche rimarranno in campo fino a quando sarà necessario per assicurare il rispetto del cessate il fuoco in Ucraina. Il gruppo Usa ha stimato che a causa delle sanzioni registrerà in Russia perdite di almeno un miliardo di dollari. Washington ha infatti impedito la fornitura di alcuni equipaggiamenti indispensabili per le attività petrolifere in Artico e Mar Nero, le ultime rimaste accessibili nell’area. Mosca avrebbe in mente di sostituire la Exxon con partner cinesi, già in stretto rapporto con la Russia dopo il mega accordo per la fornitura trentennale di gas siglato con la Cina lo scorso anno.
twitter @FDepalo