L’attacco in Tunisia, non si sa bene se al Parlamento con maggioranza laica, ai turisti europei o ad ambedue insieme, avvalora l’idea, comunque già nell’aria, di una vera guerra in cui puoi trovarti a conteggiare morti, feriti, invalidi, distruzioni e disperazioni. Come nelle guerre andate, in cui si partiva per il fronte. Ma con la differenza che ora gli atti di guerra sgocciolano mischiandosi alla cosiddetta “normalità”.
Tant’è che noi, che bellicosi non siamo, oggi per la prima volta non ci ritroviamo del tutto nel pensiero di Sergio Romano sul Corsera, quando parla del terrorismo che sta colpendo il mondo islamico come di una malattia simile a quella di alcune società europee che l’hanno attraversata infine guarendone. Il punto è che questa malattia ci pare diversa da quella di allora (BR e sparatori vari); non “tunisina” (o libica o egiziana etc), ma anche nostra, sia perché anche noi ne potremmo morire sia perché trova alimento anche nel nostro corpo. E dunque una malattia che si affronta sia usando gli anticorpi, e cioè all’occorrenza combattendo, sia e innanzitutto indovinando le diagnosi. In poche parole: ci vuole lucidità perché il fronte decisivo non è quello dove fischiano le pallottole, ma quello interno alle singole teste, fra cui la nostra.
Era questo che iniziavamo a pensare ieri quando dallo smart phone sono emerse le prime notizie da Tunisi. E allora tanto più ci ha colpito apprendere (noi non avevamo televisori nei dintorni) che le reti Rai si stavano emulando nell’aprire edizioni speciali tutte dedite alla improvvisa emergenza. Con l’aggiunta dell’All News, che come d’istinto faceva capolino dal canale 48 del digitale terrestre e dal 508 della piattaforma Sky dove si trova confinata. Insomma, eravamo al vecchio “pluralismo” anni ’70, come se non fossero passati quaranta anni e molte repubbliche. Della eccellenza del lavoro redazionale e delle conduzioni non dubitiamo. Ma il punto non è lì. Il problema è che proprio mentre il Paese si sente potenzialmente messo a fuoco, la Rai inerzialmente accenda i suoi separati focherelli informativi. Si dirà: finché non le cambi concretamente le Testate non potranno che continuare ad essere multiple. È vero. Ma è anche vero che questa molteplicità farlocca diventa stridente rispetto alla severità della situazione strategica di cui il Paese sta prendendo inevitabilmente coscienza.
Un motivo in più per la rapida attuazione del piano, faticosamente deliberato, per la unificazione delle testate multiple in una unica newsroom (passando, non sappiamo bene perché, ma son cose da super addetti ai lavori) per la fase delle due newsroom (che comunque sono un passo di uscita dal passato). Del resto l’insieme dei media anche privati assicura il pluralismo. Mentre dall’azienda pubblica, specie di questi tempi guerreschi o quasi, vorresti nitidezza e completezza. E, tanto per cominciare, gestioni di palinsesto che di per sé suggeriscano a tutti di tenere a posto i nervi. Che è la prima mossa vincente, in una guerra.