L’ennesimo vertice sulla crisi greca è sfociato in un altro rinvio. Ma, stando al comunicato ufficiale diffuso alle 2 di giovedì notte, le posizioni dei creditori e quelle del governo di Alexis Tsipras si sono riavvicinate rispetto a quanto era emerso durante la prima giornata di lavori del Consiglio europeo. Atene si è infatti impegnata a presentare entro pochi giorni una nuova lista di riforme aderendo “pienamente all’accordo dell’Eurogruppo del 20 febbraio” con l’obiettivo di “accelerare il lavoro e a concluderlo il più velocemente possibile”. A quel punto Ue, Bce e Fondo monetario esprimeranno la loro valutazione sul programma di aggiustamento e i ministri europei delle Finanze dovranno approvarlo. Solo a quel punto i creditori internazionali sbloccheranno i finanziamenti“. E, ha anticipato il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, al Paese verranno anche girati, per “sostenere congiuntamente le iniziative di crescita e di coesione sociale”, i fondi inutilizzati del bilancio comunitario, pari a circa 2 miliardi di euro.
L’incontro tra Tsipras, Juncker, la cancelliera Angela Merkel, il presidente francese Francois Hollande, il numero uno della Bce Mario Draghi, il presidente del Consiglio Ue Donald Tusk e quello dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem ha sollevato un caso diplomatico, con le proteste ufficiali di Olanda e Lussemburgo e l’irritazione di Spagna e Irlanda, esclusi dal tavolo. Come l’Italia, che pure, con un’esposizione di 60 miliardi, è il terzo creditore di Atene. Ma il vertice ha perlomeno chiarito che c’è la volontà politica di far restare la Grecia nell’Eurozona, come ribadito da Hollande. Merkel si è detta “rilassata“, “come lo sarò lunedì” quando Tsipras sarà in visita ufficiale a Berlino. E anche il leader di Syriza si è detto “più ottimista”: “Pensiamo che tutte le parti abbiano confermato le proprie intenzioni per cercare di superare le difficoltà dell’economia greca il prima possibile”. Ai cronisti che gli chiedevano se si possa parlare di un nuovo accordo, Tsipras ha risposto: “Diciamo di sì”. Poco dopo, il portavoce del governo Gabriel Sakellaridis ha chiarito che la nuova lista di riforme si baserà sulle proposte che il ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, ha già presentato all’Eurozona e non conterrà “mezzi addizionali di austerità che deprimano ancora di più le entrate“, perché la società ellenica “non può stringere oltremodo la cinghia”. Una linea che il governo non intende in alcun modo abbandonare, come dimostra il via libera alla legge contro la crisi umanitaria arrivato mercoledì.
Venerdì Atene ha rimborsato al Fondo monetario internazionale l’ultima tranche di marzo, 350 milioni. Ora deve pagarne 110 alla Bce
Nel documento congiunto si legge anche che l’Eurogruppo “si tiene pronto a riunirsi il prima possibile”, segnale ambiguo che potrebbe anche preludere alla necessità di riunioni di emergenza in caso di un deterioramento improvviso della situazione. Fino al “Graccident“, l’uscita accidentale della Grecia dall’euro a causa della grave crisi di liquidità che già attanaglia il Paese. Un rischio non remoto, visto che secondo il presidente del parlamento europeo Martin Schulz il Paese ha bisogno “a breve termine” di “due o tre miliardi di euro per poter far fronte agli obblighi correnti”: a fine aprile sono previste uscite per 2,6 miliardi in stipendi e pensioni, 2,4 miliardi di assistenza sociale e 1,1 miliardi di interessi sul debito. Venerdì poi Atene ha rimborsato al Fondo monetario internazionale i 350 milioni di euro che costituivano la quarta e ultima tranche del prestito prevista a marzo, portando a 1,58 miliardi il totale restituito in marzo all’istituzione di Washington. La prossima rata scade il 13 aprile, quando sono dovuti altri 460 milioni. Il Paese sempre venerdì deve inoltre pagare 110 milioni di euro alla Bce per gli interessi sui titoli di Stato detenuti dall’Eurotower. Con cui il governo ellenico è ai ferri corti.
Tsipras, ha affermato che “almeno fino alla seconda settimana di aprile” la Grecia non avrà problemi di liquidità. Ma è evidente che l’effettivo sblocco dell’ultima tranche del piano di aiuti da 240 miliardi di euro concessi da Ue, Bce e Fondo monetario internazionale a partire dal 2010 è sempre più urgente. Al crollo delle entrate fiscali si somma infatti il problema della corsa agli sportelli delle banche per ritirare i depositi. Un fenomeno che si era fermato dopo l’accordo del 20 febbraio ma ha conosciuto una nuova accelerazione dopo che Dijsselbloem ha evocato l’ipotesi di un “esito cipriota”, con la chiusura degli istituti e il blocco dei conti correnti. Solo mercoledì sono stati chiesti indietro almeno 300 milioni di euro depositi, la somma più alta dal mese scorso. Di questo passo, la liquidità a disposizione potrebbe esaurirsi nel giro di pochi giorni. Le banche stanno in piedi ormai solo grazie ai fondi di ultima istanza (Ela) dell’Eurotower, che ha aumentato ancora il tetto massimo disponibile portandolo a 70 miliardi di euro.