Non ci saranno conseguenze politiche: dopo un interim di qualche giorno, il presidente del Consiglio sceglierà il nuovo ministro per le Infrastrutture e i Trasporti dopo le dimissioni di Maurizio Lupi. Di certo, precisa Matteo Renzi poche ore dopo l’informativa di Lupi alla Camera, “siamo liberi di non farci dettare le decisioni dalla magistratura: le indagini non comportano di per sé decisioni di natura politica”. Un modo di pensare diverso dallo stesso Lupi che a Montecitorio aveva appena finito di dire di non aver allontanato Ercole Incalza dalla guida della struttura tecnica di missione per le grandi opere proprio perché il superburocrate era uscito indenne dalle 14 inchieste a cui era stato sottoposto finora. 

Il capo del governo ha tenuto a precisare che è “diversa la decisione di un ministro, che non è indagato, che decide di fare un passo indietro”. Le dimissioni di Lupi sono state “mosse da motivazioni di opportunità politica“. Ma “noi siamo davvero garantisti e sottolineiamo che non può bastare un avviso di garanzia per chiedere le dimissioni di qualcuno”. Una risposta che può valere doppio: sottolineare, certo, che nel caso di Lupi l’avviso di garanzia non c’è, ma anche che non basta nel caso dei sottosegretari del Pd sotto inchiesta che in queste ore stanno “agitando” gli esponenti del Nuovo Centrodestra. Renzi definisce comunque quella di Lupi “una scelta politica degna, di sensibilità, giusta e con motivazioni che capisco bene”.

Sul successore Renzi va cauto: “Le valutazioni sui nomi dei ministri si fanno davanti al capo dello Stato. Ci vuole un solido rispetto delle istituzioni anche su questo”. In particolare i giornalisti che lo hanno seguito al Consiglio europeo avevano fatto il nome del presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone. Ma il presidente del Consiglio ha sottolineato di aver seguito questa linea di riserbo “già sulla sostituzione di Mogherini“. Il capo dell’esecutivo ha precisato di aver preso accordi con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella per un incontro lunedì 24.

Quanto alle inchieste, tuttavia, Renzi ha precisato che “gli italiani non devono avere paura, timori se vengono fuori delle indagini. Le indagini devono rispettare, come accade quasi sempre, tutte le regole previste sulla custodia cautelare e sugli strumenti di indagine, ma è positivo che ci siano, per la straordinaria percentuale di opere pubbliche e private a rischio corruzione. Spero che le indagini non solo continuino ma che ce ne siano molte di più“. Piuttosto “per combattere la corruzione bisogna semplificare: rendere più semplice il codice degli appalti, evitare un eccesso di burocrazia ed eliminare in partenza tutte le complicazioni burocratiche, che sono numerosissime. Lo stiamo facendo con la riforma della Pubblica amministrazione, ma anche con la riorganizzazione del sistema giudiziario. E’ una grande sfida che va avanti”. Non la pensava così, certamente, uno dei protagonisti dell’inchiesta, Giulio Burchi, manager di diverse aziende che si occupano di infrastrutture (prima ai vertici di Italferr, poi di Metropolitana Milanese, attualmente ad di A4 Holding, tra i 51 indagati dell’inchiesta sulle grandi opere: “I soldi che ho guadagnato a stare in questo Paese di merda deregolarizzato… Non li avrei mai guadagnati in Inghilterra o in America”.

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