Cultura

Marco Paolini, a teatro con ‘Ballata di uomini e cani’: “Non sono io. Io stasera sono Jack London”

"Non sono un esempio per le nuove generazioni; e voi mi mettete sullo scaffale dei libri per ragazzi", recita Paolini in prima persona prendendo le distanze dalla vulgata miope che relega lo scrittore di 'Zanna Bianca' e 'Il richiamo della foresta' agli spazi della letteratura per giovanissimi. Rapporto uomo-natura, sopravvivenza, riscatto economico e sociale, istinto: questi i temi presenti nei tre racconti brevi selezionati dal drammaturgo

di Matteo Poppi

Marco Paolini con Ballata di Uomini e Cani registra il tutto esaurito nei principali teatri italiani e prosegue la tournée in Friuli-Venezia Giulia, Piemonte e Veneto. Il suo Teatro di Narrazione, fondato sul monologo e l’assenza del personaggio-maschera (esempi ne sono, tra gli altri, Il Racconto Del Vajont o I-Tigi Racconto Per Ustica) con Ballata di Uomini e Cani esula dal teatro civile: la drammaturgia è imperniata sull’opera e la vita dello statunitense Jack London, non su fatti di cronaca italiana. Rapporto uomo-natura, sopravvivenza, riscatto economico e sociale, istinto: questi i temi presenti nei tre racconti brevi, selezionati da Paolini nella sterminata bibliografia di London. È nella figura del cane da slitta, e nel rapporto di questo con l’uomo, che la messa in scena trova la prospettiva privilegiata per raccontare di un mondo cruento, fatto di decisioni ciniche e pragmatiche che – almeno in apparenza –, poco concedono ai sentimenti. Un rapporto uomo-bestia ben lontano dal sentimentalismo disneyano che riversiamo quotidianamente, a suon di scatti a batuffoli, sui social network.

Paolini non prende le distanze solo dai sentimentalismi antropocentrici riversati sul mondo animale, ma anche dalla vulgata miope che relega lo scrittore di Zanna Bianca e Il Richiamo della Foresta agli spazi, nel caso specifico angusti, della letteratura per ragazzi. Paolini/London lo fa in prima persona – “Non sono io. Io stasera sono Jack London” – stigmatizzando che la prima sbronza la prese a quattro anni e denunciando, col cipiglio di chi è costretto a palesare l’ovvio: “Non sono un esempio per le nuove generazioni; e voi mi mettete sullo scaffale dei libri per ragazzi”. I barili d’acciaio e i fusti in plastica bianca disseminati sul palco e appesi al fondale non sono solo scenografia, rappresentano anche quanto London sia stato capace di scolarsi in vita (quantitativi attestati dal Jhon Barleycorn, romanzo autobiografico). London non fu solo alcolista; fu avventuriero, vagabondo, socialista e intellettuale non allineato – Marx, Proudhon, Saint-Simon, Spencer e Nietzsche era letture proibite negli States, ieri più di oggi. Si aggiunga che morì a quarant’anni, probabilmente suicida. Insomma, non propriamente un educando.

Paolini tuttavia bilancia con sapiente ironia la causticità artistica e biografica di London. Non è un caso che lo spettacolo venga introdotto con leggerezza da Macchia, racconto dove il protagonista è un simpatico e sfaticato cane che ritrova sempre la via di casa – anche quando non dovrebbe. Gli istinti più ferali fanno il loro ingresso solo con Bastardo: è l’odio, non l’amore, a muovere la vita. Sentimento di distruzione anarchica che erutta nel “Padrone mio, ti voglio ammazzare!“. Paolini, nella lotta all’ultimo sangue tra cane/servo e uomo/padrone, tende allo spasimo il pathos e ci trattiene in un limbo agrodolce dove si ride tremando. L’ultimo racconto ad andare in scena è Preparare Un Fuoco: nel paesaggio bianco ed estremo del Klondike, il sentimentalismo antropocentrico rivela la sua inadeguatezza; la natura è al di là del bene e del male, non ha sentimenti. Il cane mette a repentaglio la sua vita non per salvare l’uomo, ma perché teme le bastonate; e, alla fine, abbandona il suo padrone agonizzante non perché gli vuole male, ma perché il fuoco non è più garantito. Una poetica filosofica, quella dell’indifferenza della natura, che avvicina London a Hegel e Leopardi; poetica che Paolini condensa magistralmente in scena.

Le musiche originali create da Lorenzo Monguzzi dei Mercanti di Liquore – accompagnato sul palco dal clarinetto di Angelo Baselli e dalla fisarmonica di Gianluca Casadei – sono più di un bordone al monologo di Paolini. Le atmosfere alla Woody Guthrie, i richiami alle composizioni di Eddie Vedder per Into the Wild evocano tempi e geografie. Quel “Ballata” nel titolo non è un caso: lo stesso Paolini definisce lo spettacolo “canzoniere musicale”. Anche chi ha imparato ad apprezzare Paolini per le sue opere di teatro civile non rimarrà comunque deluso, i richiamo all’oggi sono costanti. Uno su tutti: la storia di Zaer, moderno cercatore d’oro che parte dall’Afghanistan per trovare, in Italia, il suo Klondike.

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