Spesso succede che uno semplicemente non ce la faccia più. A essere il manager capace, l’impiegato obbediente, il bravo genitore, la donna che coniuga lavoro e famiglia, la persona che non sbaglia un colpo, che non delude nessuno e sa farsi amare da tutti. È veramente difficile sforzarsi di essere 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno la persona che gli altri si aspettano da noi. A dirla tutta, è terribilmente dispendioso tentare di essere la persona che vorremmo disperatamente essere.
È allora che si può sentire quanto si è vicini al punto di rottura. Quanto poco basti per trovarsi a rimirare un baratro in cui diventa difficile riconoscere il giusto valore delle azioni che si compiono e delle persone che abbiamo intorno.
Ed è qui che si comprende che è giunto il momento di fermarsi. Che bisogna arrestare la corsa dei giorni. Che dobbiamo mettere un freno ai mille fattori di stress che ci assediano da ogni parte. Ed è anche questo il momento in cui moltissimi praticanti iniziano l’avventura dello yoga.
La seduta settimanale o – meglio – bisettimanale di yoga serve, tra moltissime altre cose, anche a insegnarci a tenere la mente più sgombra, a essere più lucidi. È durante il rilassamento guidato al termine della lezione che si ‘tirano le fila’ di tutto quanto è stato fatto nell’ora di asana e pranayama (tecniche di controllo della respirazione) che l’ha preceduto. Qui, sdraiati a terra nella posizione di shavasana per circa quindici minuti, si comprende che è grazie all’immobilità che è possibile intraprendere il viaggio interiore verso le più profonde complessità dell’uomo. È in questa fase che ciascuno trova le sue ragioni della pratica, gli obiettivi più reconditi del suo percorso interiore. Raggiungere un grado più alto di consapevolezza. Scoprire di essere parte di un tutto molto più complesso. Scegliere un cammino religioso.
Ma tralasciando ora questi aspetti dello yoga, che sono peraltro i più importanti, è da rimarcare come sia quello del rilassamento il momento in cui il praticante tenta di ‘spegnere’ la mente. Già. Basta la semplice prospettiva per far sobbalzare la coscienza dell’uomo occidentale, da sempre convinto che sia proprio la capacità di pensare a rendere l’uomo ciò che è. Ma è grazie all’immobilità e agli occhi dell’attenzione rivolti all’interno della persona che il praticante yoga può osservare il proprio paesaggio mentale (ne parlavamo qui) e quindi vivere nella pienezza del momento (e qui).
Questo nuovo stato della coscienza permette di imparare – lentamente e con grande pazienza – a rallentare il circo dei pensieri, scomporlo e poi tentare, prima con immensa difficoltà e poi via via più agevolmente, di inserire tra un pensiero e l’altro un non-pensiero. Come se fosse una spada, uno spazio bianco, un vuoto.
Con l’esercizio della pratica, senza la quale ogni parola – compresa questa – è assai poco credibile, si può imparare pazientemente ad allargare questo spazio bianco e aumentare la separazione, lo spazio tra un pensiero e l’altro. Così possiamo infilare un po’ di vuoto nel pieno-troppo-pieno della vita di oggi. Se anche riuscissimo a farlo una volta al giorno e per un (quasi) insignificante brandello di tempo, la nostra mente sovraccarica di impegni, propositi, ricordi e informazioni ne trarrà un immenso giovamento.
Ed era proprio questa la lezione più profonda di Patanjali, il più importante teorico dello yoga. Negli Aforismi dello yoga scriveva: “Lo yoga è l’inibizione delle funzioni mentali. Allora il soggetto riposa nella sua essenza” (Aforismi dello yoga, Magnanelli 1991, a cura di P. Magnone). In fondo, perché non provare? Staccare la spina durante lo yoga può aiutare a vivere al meglio il resto della giornata fuori dallo yoga. Davvero.