I verbali degli interventi decisi per fronteggiare l’esondazione del torrente Fereggiano, che il 4 novembre 2011 provocò la morte di 6 persone, furono taroccati per escludere responsabilità penali e politiche del sindaco, Marta Vincenzi e dell’assessore Domenico Scidone, dei funzionari comunali e della Protezione Civile. Andrea Rimassa, testimone al processo in corso a Genova, ha raccontato la sua verità sulle ore concitate che seguirono l’alluvione. E ha spiegato che gli imputati decisero di truccare le carte per evitare di essere chiamati in causa per la leggerezza e l’incompetenza con la quale fronteggiarono la catastrofe; e “perché fra poco si vota“, gli avrebbe ricordato uno dei personaggi coinvolti, il dirigente comunale Sandro Gambelli. Secondo Rimassa si decise di truccare i verbali in modo da scaricare le responsabilità di politici e funzionari anche perché di lì a poco si sarebbero tenute le primarie del Pd per designare il candidato-sindaco e ci si preoccupava di non rovinare la reputazione del partito e del sindaco in carica, Marta Vincenzi. Le primarie premiarono Marco Doria che divenne sindaco di Genova nella primavera del 2012.
Vincenzi è stata rinviata a giudizio per omicidio colposo plurimo, disastro, e, appunto, falso. Accuse che condivide con altre quattro persone. L’assessore alla Protezione civile dell’epoca, Domenico Scidone, i dirigenti comunali Gianfranco Delponte, Pierpaolo Cha e Sandro Gambelli. Alla sbarra c’è anche Roberto Gabutti, ex coordinatore dei volontari incaricati di monitorare il livello dei torrenti genovesi. Gabutti però risponde soltanto del falso per i verbali taroccati.
Rimassa, che finora ha evitato imputazioni, è un funzionario della Protezione Civile del comune di Genova. Era presente durante la riunione in cui venne deciso – racconta lui – di alterare la verità dei fatti scrivendo nei verbali destinati alla procura delle Repubblica, che l’esondazione del Fereggiano, si era verificata con mezz’ora d’anticipo, certificando la presenza sull’argine del torrente di un controllore che in realtà si trovava altrove. Gli “errori” di valutazione dei responsabili impedirono di dare l’allarme alla popolazione e furono fatali ad una signora albanese di 29 anni, Shiprese Djala, alle sue figlie, Gioia 8 anni e Gianissa, 10 mesi; a Serena Costa, 18 anni, annegata mentre tornava a casa dopo essere andata a prendere il fratellino a scuola, ad Angela Chiaramonte ed Evelina Pietranera.
Proprio la decisione di non chiudere le scuole chiama in causa Vincenzi e Scidone. Rimassa ha riferito ai giudici che l’assessore “decise in prima persona di tenere aperte le scuole. Temeva che chiuderle in presenza di un’emergenza ridotta avrebbe prodotto malcontento e che un inflazionamento di allarmi avrebbe fatto sottovalutare i successivi”. Il testimone ha riferito della sorpresa con cui il sindaco Vincenzi accolse il verbale taroccato, che egli stesso le consegnò nella buvette del Comune, “come mi disse di fare Gambelli, immagino per non lasciare traccia di un invio via web. Lei lesse ad alta voce la ricostruzione, manifestando stupore. Io fui sorpreso dalla sua reazione perché il contenuto era già stato diffuso e lo conosceva. Mi parve vi stese preparando il terreno… Quando si seppe che la polizia mi aveva convocato e io dissi tutto, venne messa da parte. Mi davano dell’infame e sono stato messo alla gogna dai superiori e anche dai miei colleghi”.