Diciannove su 54, il 35 per cento. Tanti sono i deputati e senatori del partito di Alfano che hanno avuto a che fare con la magistratura. Per abuso d’ufficio, turbativa d’asta e persino per concorso esterno in associazione mafiosa. Condannati, assolti o archiviati. Ecco una rassegna
Dall’abuso d’ufficio alla turbativa d’asta fino al concorso esterno in associazione mafiosa. Reati da brivido quando toccano l’onorabilità e la fedina penale di un uomo politico. E non sono le uniche macchie. Riguardano i Nuovo centrodestra finiti a vario titolo nelle maglie della giustizia. Qualcuno è stato assolto, qualcun altro archiviato. Ma c’è anche chi è stato condannato. Il caso di Maurizio Lupi – peraltro non indagato – è solo l’ultima vicenda che investe un partito che in un anno e mezzo di vita ha già collezionato tanti incidenti di percorso. Che hanno portato nelle aule dei tribunali e agli onori delle cronache 19 parlamentari su 54. Il 35%. Percentuale che non cambia molto se si prende in considerazione l’intero gruppo parlamentare che, sia alla Camera che al Senato, unisce gli eletti del partito del ministro degli Interni Angelino Alfano a quelli dell’Udc di Pier Ferdinando Casini: in questo caso su 69 iscritti, i parlamentari attenzionati dalla magistratura salgono a 23, cioè il 33% del totale. Tanti, troppi, se consideriamo che nella squadra del governo di Matteo Renzi il Nuovo centro destra sta giocando un ruolo importantissimo sul fronte giustizia. Può infatti contare su un viceministro, Enrico Costa, titolare della carica proprio nel ministero di via Arenula guidato da Andrea Orlando (Pd). E poi sul relatore del disegno di legge anticorruzione, impantanato da due anni al Senato: Nico D’Ascola, ex forzista – già avvocato di Claudio Scajola e Gianpaolo Tarantini – passato nel novembre 2013 proprio nelle file del Ncd. Ma chi sono tutti questi politici? Ilfattoquotidiano.it li ha passati in rassegna.
PIERO AIELLO: senatore. È stato consigliere regionale in Calabria dal 1995 al 2013, passando dal Ccd a Forza Italia per poi finire in Ncd. Nel 2013 è entrato per la prima volta al Senato, eletto nelle liste del Popolo della libertà. Nel luglio dello stesso anno viene coinvolto in un’inchiesta in cui è accusato di aver favorito la cosca mafiosa dei Giampà in cambio di voti. Per due volte il gip ha respinto la richiesta di arresto. Nel febbraio 2015 la Direzione distrettuale antimafia ha chiesto il rinvio a giudizio. “Ho affrontato, negli anni, numerosissime campagne elettorali senza mai promettere e/o accettare nulla e di questo possono esserne testimoni tutti”, si è sempre difeso.
ANTONIO AZZOLLINI: senatore, presidente della commissione Bilancio di Palazzo Madama. Avvocato, classe 1953, passa dai Verdi al Pci-Pds fino al Partito popolare. Nella sua carriera politica ci sono poi, nell’ordine, Forza Italia, Pdl e Nuovo centrodestra. I suoi guai giudiziari, invece, iniziano nell’ottobre 2013 quando la Procura di Trani lo iscrive nel registro degli indagati nell’inchiesta sui lavori di ampliamento del porto di Molfetta, città di cui è stato sindaco dal 2006 al 2012. I reati ipotizzati sono associazione per delinquere, abuso d’ufficio, reati ambientali, truffa e falso. Per gli inquirenti l’ex primo cittadino avrebbe avallato l’opera pur sapendo che i costi iniziali sarebbero lievitati per la bonifica dei fondali marini, con un giro d’affari di circa 150 milioni. A dicembre 2014 Azzollini ha però trovato un solido supporto nei colleghi senatori: l’Aula ha negato alla Procura la possibilità di usare le intercettazioni telefoniche che lo riguardano.
MAURIZIO BERNARDO: senatore. Un passato nel Pdl, già noto alle cronache per l’omonimo “lodo” che, inserito nel disegno di legge anticrisi nel 2009, limitava l’azione della Corte dei Conti per danno erariale nei confronti di funzionari pubblici infedeli. Nel 2005, quando era assessore regionale lombardo alle Risorse idriche e ai servizi di pubblica utilità, Bernardo è stato indagato per traffico illecito di rifiuti. Accusa da cui è stato prosciolto nel 2007.
GIOVANNI BILARDI: senatore. È entrato nel consiglio comunale di Reggio Calabria nel 1993, restandoci per 14 anni e facendo la trafila: Partito socialdemocratico, Ccd, Ppi e Margherita. Nel 2007 fa il salto di qualità: è nominato assessore a Reggio Calabria. Approda al Senato nel 2013 ma nel frattempo ha cambiato casacca: viene eletto col Pdl. Sul suo conto c’è un avviso di garanzia per l’ipotesi di reato di peculato nell’ambito dell’inchiesta sulle “spese pazze” al Comune.
GIUSEPPE CASTIGLIONE: deputato e sottosegretario all’Agricoltura. È indagato con l’accusa di turbativa d’asta e abuso d’ufficio nell’inchiesta sull’appalto da 97 milioni di euro per la gestione del centro rifugiati di Mineo (Catania), assegnato nel 2014 con un ribasso dell’1%. Finendo così sotto la lente d’ingrandimento dell’Anticorruzione guidata da Raffaele Cantone. Il nome di Castiglione, che pure lo scorso anno non ricopriva incarichi pubblici in Sicilia, è stato tirato in ballo da Luca Odevaine, uomo chiave di “Mafia Capitale”. Nel 2012, da presidente della provincia di Catania, Castiglione ha gestito l’emergenza migranti affidando l’appalto ad un consorzio con sede in un ufficio affittato da un altro esponente di Ncd, Giovanni La Via. La sua iscrizione nel registro degli indagati è quindi un atto dovuto. Nel 1999, inoltre, Castiglione è stato arrestato insieme al suocero nell’inchiesta sull’ospedale Garibaldi di Catania. L’accusa: aver favorito imprese vicine a Cosa Nostra. Condannato a dieci mesi in primo grado per turbativa d’asta, è stato assolto in appello.
FABRIZIO CICCHITTO: deputato. Tessera 2232 della loggia P2, dopo diciotto anni passati in Parlamento col Partito socialista, nel 1999 si trasferisce in Forza Italia prima di sposare gli ideali di Ncd dopo la fine del Pdl. Nel 2009 Cicchitto è indagato per ricettazione dalla procura di Pescara in seguito alla pubblicazione del memoriale della ex moglie del parlamentare azzurro Sabatino Aracu. La donna raccontò ai magistrati che Aracu avrebbe consegnato all’allora capogruppo berlusconiano “somme certamente non inferiori a 500mila euro anche per sostenere la propria candidatura”. Un’accusa dalla quale Cicchitto è stato in seguito prosciolto.
FRANCESCO COLUCCI: senatore. È il parlamentare più longevo. Le cronache raccontano che ha varcato la soglia di Montecitorio nel 1972 grazie al Partito socialista italiano, per il quale ricoprì anche l’incarico di sottosegretario. Negli anni Novanta è stato accusato di tangenti per “corruzione elettorale”. Nel 1999 è però arrivata l’assoluzione: la prima sezione della corte d’Appello di Milano lo ha giudicato innocente. In quel caso a difenderlo ci ha pensato l’avvocato Umberto Del Basso De Caro, ex socialista ora nel Pd, attuale sottosegretario alle Infrastrutture, pluricitato nella recente inchiesta che ha portato all’arresto Ercole Incalza.
NUNZIA DE GIROLAMO: deputato, capogruppo alla Camera. Entra in Parlamento nel 2008 col Pdl. Cinque anni dopo diventa ministro dell’Agricoltura del governo Letta e in seguito, nonostante un passato da berlusconiana di ferro, aderisce a Ncd. La sua ascesa subisce una battuta d’arresto nel gennaio 2014. I fatti che la vedono coinvolta risalgono al 2012: nel corso di alcune conversazioni con Michele Rossi e Felice Pisapia, rispettivamente manager e direttore amministrativo della Asl di Benevento, la parlamentare campana avrebbe cercato di imporre le proprie nomine nell’azienda sanitaria. Messa sotto accusa, decide di rassegnare le dimissioni affermando però di essere vittima di un “linciaggio mediatico”. Iscritta nel registro degli indagati con l’ipotesi di abuso di ufficio.
ULISSE DI GIACOMO: senatore. Dopo due anni come assessore alla Salute nella Regione Molise, viene eletto al Senato nel 2008 col Pdl. Il suo nome è salito agli onori della cronaca quando è subentrato a Silvio Berlusconi in seguito al voto sulla decadenza del leader forzista. Dopo la scissione del Pdl ha scelto il Nuovo centrodestra contribuendo a rafforzare i numeri della maggioranza di governo. In passato è stato messo sotto indagine nell’ambito dell’inchiesta sulla Turbogas di Termoli, ma la sua posizione è stata archiviata.
ROBERTO FORMIGONI: senatore. A gennaio l’ex presidente della Lombardia è stato condannato in primo grado per diffamazione (pena sospesa) per aver definito i Radicali “criminali e maestri di manipolazione”. I suoi problemi con la giustizia non si fermano certo qui: Formigoni è infatti imputato nel processo che lo vede accusato di associazione a delinquere e corruzione in un filone dell’inchiesta sulla sanità lombarda. Secondo i pubblici ministeri avrebbe garantito protezione alla fondazione Maugeri, attiva nel settore della riabilitazione sanitaria nella Regione guidata in passato dal “Celeste”. Già in precedenza, comunque, Formigoni è finito a processo. Nel 2002 è stato rinviato a giudizio per un’inchiesta sulla bonifica di Cerro (Milano), da cui è stato assolto sia in primo grado che in appello. Nel 2009 ha ricevuto un avviso di garanzia per lo sforamento dei limiti di concentrazione delle polveri sottili in Lombardia. La sua posizione è stata archiviata.
CARLO GIOVANARDI: senatore. L’ex ministro per i Rapporti con il Parlamento del secondo e terzo governo Berlusconi è noto per le sue dichiarazioni spericolate. Una di queste gli è costata una denuncia per diffamazione. Nel corso di una puntata della Zanzara (Radio24), parlando della morte del giovane Federico Aldrovandi, disse che nella foto che ritrae il giovane privo di vita la “macchia rossa che è dietro (la testa, ndr) è un cuscino, non è sangue”. Gli atti del procedimento sono stati inviati al Senato, che dovrà pronunciarsi per far proseguire o bloccare l’iter. Lui si è sempre difeso: “Non ho mai detto che la foto è modificata”.
MAURIZIO LUPI: deputato, ex ministro delle Infrastrutture. Dimessosi dal governo Renzi per il caso Incalza, uomo di punta di Comunione e Liberazione, aveva già ricevuto in passato due avvisi di garanzia. Il primo nell’ambito dell’inchiesta “Cascina”, quando contro di lui era stato ipotizzato il reato di abuso d’ufficio per aver dato la Cascina San Bernardo in concessione alla Compagnia delle Opere. Fatti che riguardano il periodo in cui Lupi era assessore allo Sviluppo del territorio al Milano (1997-2001). Il procedimento si è chiuso con il proscioglimento nell’udienza preliminare perché “il fatto non sussiste”. Nel 2014, poi, viene indagato dalla Procura di Tempio per una nomina ai vertici dell’Autorità portuale del Nord Sardegna e di Cagliari. “Ho seguito le procedure”, le parole di Lupi. A Cagliari il processo è stato archiviato.
ANTONINO MINARDO: deputato. Nipote di Riccardo Minardo, noto alle cronache per essere stato arrestato nel 2011 con l’accusa di associazione a delinquere e truffa ai danni dello Stato, Antonino è stato condannato in Cassazione a 8 mesi di reclusione per abuso d’ufficio. I fatti risalgono a quando l’ex assessore provinciale allo Sport di Ragusa era presidente del Consorzio autostrade siciliane e riguardano la nomina illegittima dell’allora direttore generale dell’ente, effettuata senza selezione né utilizzo del personale già presente al suo interno.
BRUNO MANCUSO: senatore. Sindaco di Sant’Agata di Militello (Messina) dal 2004 al 2013, è approdato al Senato per la prima volta in questa legislatura. I suoi precedenti con la giustizia risalgono a un presunto reato di voto di scambio in occasione delle Amministrative del 2009. Il pubblico ministero aveva chiesto una condanna a 8 mesi di reclusione e 5 anni di interdizione dai pubblici uffici. Ma il 29 ottobre 2013 Mancuso è stato assolto perché “il fatto non sussiste”. Dal 2014 il senatore è stato invece indagato per associazione a delinquere finalizzata al falso in una inchiesta della procura di Patti su un giro di appalti sospetti (“Operazione Camelot”) per un centinaio di milioni di euro e rinviato a giudizio. Prima udienza il 19 maggio.
ALESSANDRO PAGANO: deputato. Siciliano doc, è stato assessore al Bilancio e ai Beni culturali della prima giunta regionale di Totò Cuffaro. Nato politicamente in Forza Italia (della quale in passato ha guidato la macchina organizzativa sull’isola), nel 2008 è eletto per la prima volta alla Camera con il Pdl. A novembre 2013, dopo essere stato riconfermato a Montecitorio, passa a Ncd. L’anno prima però è stato condannato in appello a 5 mesi e dieci giorni per concorso in abuso d’ufficio. Secondo l’accusa, fra il 2007 e il 2008 Pagano avrebbe fatto pressioni sui dirigenti dell’ospedale Sant’Elia di Caltanissetta per la nomina di un primario. Nel 2014 il deputato è stato assolto in Cassazione.
VINCENZO PISO: deputato. Uomo forte del centrodestra a Roma, è stato coinvolto nel Laziogate, l’inchiesta sul presunto boicottaggio della lista di Alessandra Mussolini alle elezioni regionali del 2005 poi vinte dal centrosinistra. All’epoca dei fatti era vicepresidente del consiglio comunale di Roma e venne indicato come possibile complice del leader della Destra Francesco Storace. Per Piso, però, è arrivata l’assoluzione sia in primo grado che in appello.
RENATO SCHIFANI: senatore, capogruppo a Palazzo Madama. Ex democristiano, nel 1995 entra in Forza Italia e dopo aver fatto il consigliere comunale a Palermo diventa senatore. Nel 2008 viene eletto presidente del Senato, ma all’ascesa politica corrisponde anche l’avvio di una inchiesta a suo carico. Schifani viene infatti indagato per concorso esterno in associazione mafiosa per una vicenda che risale agli anni che precedono il suo ingresso in Parlamento, quando era avvocato esperto di diritto amministrativo. A ottobre 2014 la sua posizione viene definitivamente archiviata. Anche se con molta fatica. Nelle motivazioni il gip Vittorio Anania scrive infatti che “sono emerse talune relazioni con personaggi inseriti nell’ambiente mafioso o vicini a detto ambiente nel periodo in cui lo Schifani era attivamente impegnato nella sua attività di legale civilista ed esperto in diritto amministrativo”. Tali relazioni che però “non assumono un livello probatorio minimo per sostenere un’accusa in giudizio tanto più che, a prescindere dalla consapevolezza dell’indagato dell’effettiva caratura mafiosa dei suoi interlocutori, tali condotte si collocano per lo più in un periodo ormai lontano nel tempo (primi degli anni Novanta). Fatti per i quali opererebbe, in ogni caso, la prescrizione”.
PAOLO TANCREDI: deputato. Dal consiglio comunale di Teramo a Montecitorio passando per Palazzo Madama. Sempre grazie a Forza Italia. La sua passione per Berlusconi si è interrotta con la fine del Popolo della Libertà. E così Tancredi ha abbracciato il progetto di Angelino Alfano. Nel 2010, quando era senatore, è stato indagato per corruzione nell’inchiesta sulla costruzione dell’inceneritore di Teramo. Il “no” all’utilizzo delle intercettazioni arrivato dall’Aula della Camera ha comunque impedito l’accelerazione del procedimento a suo carico.
PIETRO LANGELLA: senatore. Infine il caso di un parlamentare a carico del quale non risultano problemi diretti con la giustizia e per questo non conteggiato nelle nostre statistiche. Il nome della sua famiglia è però legato alla storia della camorra. Suo padre Giovanni era infatti un boss della zona vesuviana e fu ucciso nel 1991 in un agguato davanti ad un bar. Si trattò di un regolamento di conti. Langella jr, eletto nelle liste del Popolo della Libertà, ha sempre chiesto “di essere giudicato per i fatti, non per la mia parentela, perché non è giusto che le colpe dei padri debbano ricadere in eterno su figli e nipoti”. Rivendicando così la fedina penale pulita.
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