Una vittoria memorabile, che non cancella le altre quattro sonore sconfitte e i molti dubbi su una nazionale, anzi un movimento intero, che proprio non riesce a progredire. Il Sei Nazioni 2015 si chiude con tante ombre e poche luci per l’Italia del rugby. L’ultima partita, disfatta in casa contro il Galles, è un po’ l’emblema di tutto il torneo: primo tempo giocato alla pari è chiuso sotto di un punto, poi due clamorose ingenuità a inizio ripresa che cambiano il match. E il punteggio (20-61) diventa un’umiliazione. Buone premesse, tanta volontà, disastro finale. Come anche contro Irlanda, Inghilterra e Francia.

Soltanto la partita con la Scozia ha avuto lieto fine. La vittoria di Murrayfield (con tanto cuore e una meta all’ultimo secondo) è un’impresa che entra di diritto nella storia del rugby azzurro (non fosse altro perché soltanto due volte l’Italia ha vinto in trasferta). Almeno per un anno la nostra nazionale evita il “cucchiaio di legno” (trofeo poco glorioso assegnato alla squadra che chiude il torneo con sole sconfitte). Ma non basta. Non basta per non sentirsi il brutto anatroccolo del rugby che conta, per spazzare i risolini dei commentatori britannici. Per superare quel senso di inferiorità sempre più evidente (che spesso sul campo si traduce anche in arbitraggi discutibili).
Negli ultimi quattro anni il rugby italiano non sembra essere migliorato. Anzi. Né a livello di club, dove le due franchigie azzurre in Celtic League sono fanalino di coda (e non hanno neppure il futuro assicurato). Né a livello di nazionale: la gestione del tecnico francese Jacques Brunel si sta rivelando fallimentare. Sicuramente per colpe non solo sue, ma i risultati dicono che dopo un avvio incoraggiante e l’ottimo Sei nazioni 2013, appena una vittoria negli ultimi due anni di torneo. E le sconfitte contro Francia (senza punti segnati) e Galles (peggior passivo casalingo) rappresentano forse il punto più basso della storia recente del nostro rugby.
All’orizzonte, ora, c’è un appuntamento decisivo per tutto il movimento. In autunno si disputeranno i Mondiali e l’Italia non ci arriva come avrebbe dovuto. Prestazioni desolanti (a volte umilianti). Una rosa con troppi buchi e pochi elementi di qualità. L’assenza di un numero dieci di livello internazionale è un problema atavico e irrisolto: il piccolo e vecchio Orquera resta l’unica apertura affidabile sui calci, con l’oriundo Haimona che è solo un buon difensore, e il talento Allan non ancora pronto per certi palcoscenici (chissà se lo sarà mai). La mischia resta un’eccellenza, ma ha tanti elementi avanti negli anni che presto non ci saranno più. Mentre fra i trequarti si affacciano diversi giovani ancora acerbi. Tutti punti di domanda a cui Brunel e la Federazione non hanno saputo dare una risposta.
Adesso ci sono cinque mesi per preparare i Mondiali, rassegna che segnerà la fine di questo ciclo. L’obiettivo della nazionale è passare il girone e raggiungere i quarti di finale, traguardo mai raggiunto finora. Ma per farlo bisogna battere almeno una fra Irlanda e Francia. Ed è davvero difficile pensare che questa squadra possa riuscirci. Anzi, è più probabile che ci si debba guardare alle spalle, dall’avanzata della Romania (avversario ostico nel girone di Coppa del Mondo) e della Georgia, che la settimana prossima dovrebbe superarci nel ranking e relegarci al 15esimo posto, dove non eravamo mai scivolati. Passi indietro e non in avanti, appunto.
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