Non facciamo la metro a Genova, neppure il collegamento ferroviario per il Triveneto. Ma con quei soldi, volentieri, rifacciamo il salotto della Casta. L’elenco delle opere inserite nella Legge Obiettivo del 2001 comprende oggi 315 interventi “strategici”. Quelli destinati al Paese e ai comuni mortali – strade, porti, ferrovie etc – vengono realizzati a passo di lumaca e in molti casi sospesi, per mancanza di fondi. Quelle destinate alla Casta dei politici invece sono andate a razzo.
L’ultimo rapporto sullo stato di attuazione della Legge 443/2001 rivela che le opere completate a valere sui fondi Cipe sono solo l’8% rispetto ai fondi stanziati. Ben diverso il tasso relativo alla scheda n. 108 che riguarda 24 interventi a favore delle sedi che sono “rappresentanza delle istituzioni”. Pur facendo parte dello stesso programma, il tasso di opere concluse è del 50%, una su due. E tutti gli interventi sono partititi. Ecco una selezione di cosa è stato fatto. E di cosa avremmo potuto fare.
FATTO – Camera – Aulette parlamentari – 16,4 mln
Situate nell’immobile di via Campo Marzio. Un “regalo” che la Camera si concede per i 150 anni dell’unità d’Italia, a carico dei contribuenti di 16,4 milioni di euro (otto di oneri finanziari). I lavori partono nel 2008 e procedono spediti. Tre anni dopo gli onorevoli possono già accomodarsi. La nuova aula, inaugurata il 16 giugno 2011, sarà un gioiello di tecnologia con 286 postazioni attrezzate con i più avanzati impianti per il voto, una sala regia per le riprese, postazioni per interpreti e traduttori.
NON FATTO – Genova, metro Brin-Canepari
L’unica linea di metropolitana di Genova esistente non vedrà ancora per molto tempo l’attivazione del prolungamento verso ovest, da Brin a Canepari. Addirittura in questo caso su 269 milioni di euro previsti per l’opera non ci sono fondi disponibili. Ad oggi si è fatta strada una terza ipotesi e cioè quella che prevede un nuovo accordo (non ancora siglato) con le FS, che consentirebbe di utilizzare due dei binari della linea merci del campasso, in modo da non creare disagi agli edifici circostanti.
FATTO – Senato – S.Maria di Aquiro – 26,4 mln
S.Maria di Aquiro in Piazza Capranica, una superficie di 4.200 metri quadri su più vani destinati ad uso “uffici del Senato”. L’immobile era stato acquistato nel 2003 per 9 milioni di euro con la motivazione di trovare ulteriore spazio per gli onorevoli. Sull’acquisto indagò la Procura di Perugia perché l’amministrazione del Senato aveva comprato la proprietà da una società intestata a un senatore allora in carico, il centrista Franco Righetti. Nel 2004 la delibera Cipe per la ristrutturazione con una spesa preventivata di 17 milioni, il doppio di quanto speso per l’acquisto. I lavori si sono conclusi nel 2013, con un solo anno di ritardo sulla tabella di marcia. Il costo definitivo è stato di 26,4 milioni.
NON FATTO – Metropolitana di Catania
Nell’ultima revisione della Legge Obiettivo sono indicati una trentina di progetti infrastrutturali per una delle più popolose e sconnesse aree della Sicilia. Non tutte vedranno la luce, alcune con molti anni di ritardo. Tra le altre, la metro che collega l’Aeroporto Fontanarossa al centro di Catania. Il progetto definitivo esiste dal marzo 2006 con 6,9 km e 8 stazioni. Ma dei 430 milioni necessari per realizzarla sono a disposizione solo 90 milioni di euro, sufficienti a consentire la costruzione del primo lotto funzionale lungo 1,3 chilometri. Non se ne parla prima del 202o. Mancano poi soldi per altri interventi deliberati in passato, ad esempio il completamento del raddoppio della linea Fs Messina-Catania, pontenziamento della linea ferroviaria Giampilieri-Fiumefreddo. Costa 2,7 milioni di euro ma al 31 dicembre 2014 ha una disponibilità di soli 49mila euro.
FATTO – Quirinale – Impianti, consolidamento e restauro – 12 mln
Anche la Presidenza della Repubblica non ha badato a spese. Negli ultimi cinque anni, sempre grazie a delibere Cipe a valere sui fondi della Legge Obiettivo ha ottenuto un grande intervento di manutezione straordinaria per la rearealizzazione del sistema di distribuzione elettrico ad alta affidabilità a servizio dell’intero compendio, interventi di adeguamento e riqualificazione degli impianti elettrici, di rilevazione incendi, telefonici e di telegestione. L’intervento si è svolto in due lotti, il primo è partito nel 2008 ed è terminato nel 2010 con una spesa di 2,7 milioni, il secondo è partito a fine settembre 2008 ed è terminato due anni fa, al costo di 9,4 milioni.
NON FATTO – Completamento metropolitana di Torino
Anche la metropolitana di Torino, la cui prima tratta già ha portato significativi benefici alla mobilità cittadina, necessita di finanziamenti per il suo prolungamento. In particolare sono stati previsti dei prolungamenti della linea 1 nelle tratte 3, 4 e 6. I finanziamenti necessari ammontano a circa 974 milioni di euro mentre al momento sono disponibili solamente 366 milioni. Al 31 dicembre 2014 mancano 608 milioni e il progetto è destinato a vedere la luce ben oltre la previsione della delibera Cipe che riporta la data 202o.
FATTO – Camera, Complesso del Seminario – 6,6 mln
L’edificio del Seminario ha una lunga storia di lavori pubblici. Iniziò alla fine degli anni 90 con una consulenza da 1,8 milioni di euro per il programma di “restauro e consolidamento”. E proseguì nella decade successiva con i lavori di compartimentazione antincendio e di realizzazione della centrale e della rete del complesso. La delibera del Cipe è del 2007, i lavori partono nel 2009 e vengono assegnati con una gara informale tra “ditte di comprovata fiducia e riservatezza dell’Amministrazione” perché “ricorrono le particolari misure di sicurezza e riservatezza dei luoghi ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs 163/2006”. Oggi sono all’87%.
NON FATTO – Veneto, il sistema ferroviaro resta al palo
Sono poi i soldi che si potevano usare in Veneto per il previsto potenziamento del sistema ferroviario tra Treviso, Padova, Castelfranco Veneto, una delle tratte pendolari dove si viaggia come sardine. Il progetto da 314 milioni doveva essere completato anni fa ma l’unica linea in fase di realizzazione è la Venezia-Mira e solo per la parte delle stazioni.
FATTO – Senato della Repubblica – Complesso della Minerva – 23,9 mln
Restauro, ristrutturazione e adeguamento impiantistico, del complesso Minerviano attiguo al Palazzo della Minerva ed edifici conventuali, per la realizzazione di un nuovo “Polo Culturale”. L’appalto viene aggiudicato nel 2003 per un importo di 17,7 milioni di euro. Anche in questo caso senza gara ma con procedura ristretta in virtù dei requisiti di “riservatezza e sicurezza” della sede. I lavori per l’ultimo lotto sono ancora in corso, l’importo per ora speso è pari a 23,9 milioni di euro, sei più di quanto accordato all’impresa costruttrice, quasi 10 più del costo preventivato in origine con la delibera Cipe del 2002.
Costi della politica
Infrastrutture, la Casta rifà il salotto ma non le opere: così sono stati spesi i soldi
Da Genova a Catania, dal Triveneto al Piemonte ecco l'elenco delle opere rimaste senza fondi. E dove sono andati? Per rifare il make-up ai palazzi del potere sono stati spesi invece 350 milioni di fondi attinti sempre dai finanziamenti strategici della Legge Obiettivo. Ecco una selezione di cosa è stato fatto. E di cosa avremmo potuto fare
Non facciamo la metro a Genova, neppure il collegamento ferroviario per il Triveneto. Ma con quei soldi, volentieri, rifacciamo il salotto della Casta. L’elenco delle opere inserite nella Legge Obiettivo del 2001 comprende oggi 315 interventi “strategici”. Quelli destinati al Paese e ai comuni mortali – strade, porti, ferrovie etc – vengono realizzati a passo di lumaca e in molti casi sospesi, per mancanza di fondi. Quelle destinate alla Casta dei politici invece sono andate a razzo.
L’ultimo rapporto sullo stato di attuazione della Legge 443/2001 rivela che le opere completate a valere sui fondi Cipe sono solo l’8% rispetto ai fondi stanziati. Ben diverso il tasso relativo alla scheda n. 108 che riguarda 24 interventi a favore delle sedi che sono “rappresentanza delle istituzioni”. Pur facendo parte dello stesso programma, il tasso di opere concluse è del 50%, una su due. E tutti gli interventi sono partititi. Ecco una selezione di cosa è stato fatto. E di cosa avremmo potuto fare.
FATTO – Camera – Aulette parlamentari – 16,4 mln
Situate nell’immobile di via Campo Marzio. Un “regalo” che la Camera si concede per i 150 anni dell’unità d’Italia, a carico dei contribuenti di 16,4 milioni di euro (otto di oneri finanziari). I lavori partono nel 2008 e procedono spediti. Tre anni dopo gli onorevoli possono già accomodarsi. La nuova aula, inaugurata il 16 giugno 2011, sarà un gioiello di tecnologia con 286 postazioni attrezzate con i più avanzati impianti per il voto, una sala regia per le riprese, postazioni per interpreti e traduttori.
NON FATTO – Genova, metro Brin-Canepari
L’unica linea di metropolitana di Genova esistente non vedrà ancora per molto tempo l’attivazione del prolungamento verso ovest, da Brin a Canepari. Addirittura in questo caso su 269 milioni di euro previsti per l’opera non ci sono fondi disponibili. Ad oggi si è fatta strada una terza ipotesi e cioè quella che prevede un nuovo accordo (non ancora siglato) con le FS, che consentirebbe di utilizzare due dei binari della linea merci del campasso, in modo da non creare disagi agli edifici circostanti.
FATTO – Senato – S.Maria di Aquiro – 26,4 mln
S.Maria di Aquiro in Piazza Capranica, una superficie di 4.200 metri quadri su più vani destinati ad uso “uffici del Senato”. L’immobile era stato acquistato nel 2003 per 9 milioni di euro con la motivazione di trovare ulteriore spazio per gli onorevoli. Sull’acquisto indagò la Procura di Perugia perché l’amministrazione del Senato aveva comprato la proprietà da una società intestata a un senatore allora in carico, il centrista Franco Righetti. Nel 2004 la delibera Cipe per la ristrutturazione con una spesa preventivata di 17 milioni, il doppio di quanto speso per l’acquisto. I lavori si sono conclusi nel 2013, con un solo anno di ritardo sulla tabella di marcia. Il costo definitivo è stato di 26,4 milioni.
NON FATTO – Metropolitana di Catania
Nell’ultima revisione della Legge Obiettivo sono indicati una trentina di progetti infrastrutturali per una delle più popolose e sconnesse aree della Sicilia. Non tutte vedranno la luce, alcune con molti anni di ritardo. Tra le altre, la metro che collega l’Aeroporto Fontanarossa al centro di Catania. Il progetto definitivo esiste dal marzo 2006 con 6,9 km e 8 stazioni. Ma dei 430 milioni necessari per realizzarla sono a disposizione solo 90 milioni di euro, sufficienti a consentire la costruzione del primo lotto funzionale lungo 1,3 chilometri. Non se ne parla prima del 202o. Mancano poi soldi per altri interventi deliberati in passato, ad esempio il completamento del raddoppio della linea Fs Messina-Catania, pontenziamento della linea ferroviaria Giampilieri-Fiumefreddo. Costa 2,7 milioni di euro ma al 31 dicembre 2014 ha una disponibilità di soli 49mila euro.
FATTO – Quirinale – Impianti, consolidamento e restauro – 12 mln
Anche la Presidenza della Repubblica non ha badato a spese. Negli ultimi cinque anni, sempre grazie a delibere Cipe a valere sui fondi della Legge Obiettivo ha ottenuto un grande intervento di manutezione straordinaria per la rearealizzazione del sistema di distribuzione elettrico ad alta affidabilità a servizio dell’intero compendio, interventi di adeguamento e riqualificazione degli impianti elettrici, di rilevazione incendi, telefonici e di telegestione. L’intervento si è svolto in due lotti, il primo è partito nel 2008 ed è terminato nel 2010 con una spesa di 2,7 milioni, il secondo è partito a fine settembre 2008 ed è terminato due anni fa, al costo di 9,4 milioni.
NON FATTO – Completamento metropolitana di Torino
Anche la metropolitana di Torino, la cui prima tratta già ha portato significativi benefici alla mobilità cittadina, necessita di finanziamenti per il suo prolungamento. In particolare sono stati previsti dei prolungamenti della linea 1 nelle tratte 3, 4 e 6. I finanziamenti necessari ammontano a circa 974 milioni di euro mentre al momento sono disponibili solamente 366 milioni. Al 31 dicembre 2014 mancano 608 milioni e il progetto è destinato a vedere la luce ben oltre la previsione della delibera Cipe che riporta la data 202o.
FATTO – Camera, Complesso del Seminario – 6,6 mln
L’edificio del Seminario ha una lunga storia di lavori pubblici. Iniziò alla fine degli anni 90 con una consulenza da 1,8 milioni di euro per il programma di “restauro e consolidamento”. E proseguì nella decade successiva con i lavori di compartimentazione antincendio e di realizzazione della centrale e della rete del complesso. La delibera del Cipe è del 2007, i lavori partono nel 2009 e vengono assegnati con una gara informale tra “ditte di comprovata fiducia e riservatezza dell’Amministrazione” perché “ricorrono le particolari misure di sicurezza e riservatezza dei luoghi ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs 163/2006”. Oggi sono all’87%.
NON FATTO – Veneto, il sistema ferroviaro resta al palo
Sono poi i soldi che si potevano usare in Veneto per il previsto potenziamento del sistema ferroviario tra Treviso, Padova, Castelfranco Veneto, una delle tratte pendolari dove si viaggia come sardine. Il progetto da 314 milioni doveva essere completato anni fa ma l’unica linea in fase di realizzazione è la Venezia-Mira e solo per la parte delle stazioni.
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Mondo
A Gaza è finita la tregua: Israele attacca Hamas sulla Striscia. “Oltre 350 morti, molti bambini”. Tel Aviv: “Colpiremo fino alla restituzione di tutti gli ostaggi”
Cronaca
La lettera del Papa dall’ospedale: “Dobbiamo disarmare le parole per disarmare le menti e la Terra”
Da Il Fatto Quotidiano in Edicola
Trump-Putin, oggi la telefonata. Media: “Usa pensano a riconoscere la Crimea come russa”. Tasse e debito: corsa al riarmo dell’Est Europa
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Non esiste possibilità di un'Unione Europea che conti nel mondo se questa è priva di una difesa europea. Ogni entità politica deve avere tra i suoi principali scopi la conservazione di sé, la propria autodifesa. Altrimenti può essere un'organizzazione economica o commerciale o altro, ma non un'unione politica". Lo sostiene in un'intervista al Corriere della Sera l'ex presidente della Commissione europea José Manuel Durão Barroso, a Roma per un incontro in ricordo di Franco Frattini, ex vicepresidente della stessa commissione, aggiungendo di accogliere favorevolmente la risoluzione del Consiglio europeo di passare, in materia di difesa, dall'unanimità alla maggioranza qualificata, eccezion fatta per le operazioni militari con mandato esecutivo.
"Tutti i passi per assicurare all'Ue un processo decisionale più efficace vanno bene - aggiunge l'ex premier portoghese - Nella fattispecie però non credo che a frenarle sia il voto a maggioranza: spesso l'argomento viene usato come pretesto da quanti dichiarano di voler andare avanti, ma in realtà no. Nei trattati esiste già la possibilità di 'cooperazioni rafforzate' tra alcuni Paesi, basta rispettarne i principi. Sono previsti dall'articolo 20 del Trattato di Lisbona e la massa critica sufficiente per procedere oggi c'è".
"Intese specifiche quali sono le cooperazioni rafforzate vanno raggiunte da almeno nove Stati membri e, siamo onesti, su molte domande non possiamo ambire all'unanimità - spiega Barroso - Attualmente i nove ci sono. E c'è anche abbastanza massa critica per sostenere l'Ucraina". Quanto al programma Rearm Europe di difesa europea approvato dal Consiglio e nella sostanza dal Parlamento, dice ancora, "coloro che sono pronti dovrebbero andare avanti. Francia, Germania e altri lo sono. Allo stesso tempo devono rimanere aperti, come prevedono i trattati, a ulteriori Paesi che potrebbero aggiungersi. È una geometria variabile estensibile a Stati non dell'Ue, come è adesso la Gran Bretagna. Penso che questo dibattito istituzionale di frequente sia una scusa, perché le cose quando lo vogliamo davvero siamo capaci di farle. Importante è superare la frammentazione nell'industria della difesa. Se ogni Paese investe nella rispettiva difesa non aumenteremo quella europea".
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - Si tratta ancora sul testo della mozione del Pd in vista del voto in Parlamento sulle comunicazioni della premier Meloni in vista del Consiglio Ue. Un accordo sul testo, dopo la lunga riunione di ieri, ancora non è stato trovato. A quanto si apprende, al momento a tenere lontani maggioranza del partito e i riformisti dem è l'aggettivo "radicalmente" voluto dalla segretaria Elly Schlein a proposito dei cambiamenti da apportare a ReErm Eu.
Sulla necessità di invocare modifiche al progetto di difesa Ue di Ursula von del Leyen, invece, le diverse anime del partito si sono trovate d'accordo. "La Schlein vuole marcare la differenza dal Piano, i riformisti pensano invece che ci vogliano debito europeo e difesa comune", sottolinea chi segue le trattative da vicino.
Al testo della mozione lavora già da ieri un gruppo ristretto composto dai capigruppo Francesco Boccia e Chiara Braga, il responsabile Esteri Peppe Provenzano, i capigruppo di commissione Stefano Graziano, Enzo Amendola, Piero De Luca, Tatiana Rojc e Alessandro Alfieri. Una riunione del tavolo ristretto era prevista per stamattina, prima dell'Assemblea dei Gruppi delle 11,30, ma al momento ancora non è iniziata.
Roma, 18 mar (Adnkronos) - "Spero ci sia la volontà politica per evitare di dividerci di nuovo. Questo è un passaggio storico. Non possiamo sbagliare, è troppo importante. La politica estera e i temi della difesa europea magari non sono decisivi per il consenso elettorale, ma sono fondamentali per la costruzione della credibilità di un soggetto politico e della costruzione di un’alternativa di governo". Lo dice al Foglio Alessandro Alfieri, senatore del Pd e coordinatore di Energia popolare, a proposito della mozione del Pd sulle comunicazioni di Giorgia Meloni in vista del Consiglio Ue.
"Lavoriamo a un documento che sottolinei le criticità del piano sulle quali il governo dovrebbe negoziare con la Commissione – dalla necessità di non sbilanciare il costo del riarmo troppo sui bilanci nazionali, alla necessità di investimenti che contribuiscano a far crescere la collaborazione industriale trai i paesi europei e gli acquisti e programmi comuni tra pesi – ma che confermi comunque che questo è oggi un passaggio necessario per garantire la sicurezza dell’Europa", sottolinea il senatore dem.
Roma, 18 mar (Adnkronos) - La tregue in Ucraina "ci sarà, è inevitabile. Trump e Putin si sono spinti troppo avanti. Hanno tagliato fuori dal confronto l’Europa che rompe le scatole e ora, escludendo gli altri, hanno obbligato se stessi a portare a casa il risultato. Non possono fallire, non possono tornare alla casella di partenza". Lo dice Romano Prodi a 'Avvenire'.
Ma "la pace è un’altra cosa. È più complicata perché si tratta di definire aspetti complessi. A cominciare dai problemi territoriali. Certo di solito una tregua finisce con il rendere definitivi accordi provvisori", sottolinea l'ex presidente della commissione Ue. Sulla difesa europea, Prodi spiega: "Ora è il momento di farci il nostro ombrello. Penso a un lungo e indispensabile cammino verso la difesa comune. Penso a risorse aggiuntive che vengano progressivamente messe insieme da tutti i Paesi Ue. Penso a risorse spese in modo coordinato e unito. Se aumentiamo le spese militari senza organizzare una politica estera e una difesa comune, sono soldi buttati via".
Prodi, tra le altre cose, parla della situazione del Pd: "In Europa non esiste un Paese in cui un partito abbia la maggioranza. Ecco il tema: creare la compagnia di viaggio" e con il M5s "c’è tanta distanza. Troppa. Questo gioco della separazione quotidiana vuol dire condannarsi alla sconfitta. E invece la sfida è trovare una capacità di mediare avanzando. Servono proposte innovative. Servono proposte che emozionano. Che prendono il cuore. Perchè c’è metà del Paese che non va più a votare. E perchè i giovani non si convincono con proposte in contrasto tra loro".
(Adnkronos) - Serie di attacchi aerei di Israele nella Striscia di Gaza, ripresi nella notte su ordine di Benjamin Netanyahu, che ha ordinato "la ripresa della guerra" contro Hamas, dopo che gli sforzi per estendere il cessate il fuoco sono falliti. Il bilancio delle vittime continua a salire. Secondo il direttore del ministero della Sanità della Striscia, Mohammed Zaqout, i morti sono saliti "ad almeno 330, per la maggior parte donne e bambini palestinesi, mentre i feriti sono centinaia"
Secondo quanto appreso dall'Afp da due fonti del movimento di resistenza islamico, tra le vittime c'è anche il generale di divisione Mahmoud Abu Watfa, che era a capo del ministero dell'Interno del governo di Hamas.
L'ufficio del primo ministro Netanyahu ha dichiarato che lui e il ministro della Difesa Israel Katz hanno dato istruzioni alle Forze di Difesa Israeliane (Idf) di intraprendere “un'azione forte contro l'organizzazione terroristica di Hamas” nella Striscia di Gaza. “Questo fa seguito al ripetuto rifiuto di Hamas di rilasciare i nostri ostaggi, così come al suo rifiuto di tutte le proposte ricevute dall'inviato presidenziale statunitense Steve Witkoff e dai mediatori”, ha dichiarato l'ufficio di Netanyahu in un post su X. “Israele, d'ora in poi, agirà contro Hamas con una forza militare crescente”, ha dichiarato l'ufficio di Netanyahu in una dichiarazione riportata dal Times of Israel, aggiungendo che i piani per la ripresa delle operazioni militari sono stati approvati la scorsa settimana dalla leadership politica.
Israele continuerà a combattere a Gaza "fino a quando gli ostaggi non saranno tornati a casa e non saranno stati raggiunti tutti gli obiettivi", ha affermato Katz.
La Casa Bianca dal canto suo ha confermato che Israele ha consultato l'amministrazione americana prima di lanciare la nuova ondata di raid. "Hamas avrebbe potuto rilasciare gli ostaggi per estendere il cessate il fuoco, invece ha scelto il rifiuto e la guerra", ha detto il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, Brian Hughes, al Times of Israel, dopo la ripresa dei raid israeliani contro la Striscia di Gaza.
Dal canto suo Hamas ha dichiarato che Netanyahu, con la sua decisione di "riprendere la guerra", "ha condannato a morte gli ostaggi" che si trovano ancora a Gaza. "Netanyahu e il suo governo estremista hanno deciso di sabotare l'accordo di cessate il fuoco - accusa il movimento in una nota - La decisione di Netanyahu di riprendere la guerra è la decisione di sacrificare i prigionieri dell'occupazione e di imporre loro la condanna a morte”. Hamas denuncia poi che il premier israeliano continua a usare la guerra a Gaza come "una scialuppa di salvataggio" per distrarre dalla crisi politica interna.
Hamas ha quindi esortato i mediatori internazionali a “ritenere l'occupazione israeliana pienamente responsabile della violazione dell'accordo” e ha sottolineato la necessità di “fermare immediatamente l'aggressione”.
Il cessate il fuoco era rimasto in vigore per circa due settimane e mezzo dopo la conclusione della prima fase, mentre i mediatori lavoravano per mediare nuovi termini per l'estensione della tregua. Hamas ha insistito per attenersi ai termini originali dell'accordo, che sarebbe dovuto entrare in vigore nella sua seconda fase all'inizio del mese. Questa fase prevedeva che Israele si ritirasse completamente da Gaza e accettasse di porre fine definitivamente alla guerra in cambio del rilascio degli ostaggi ancora in vita. Sebbene Israele abbia firmato l'accordo, Netanyahu ha insistito a lungo sul fatto che Israele non porrà fine alla guerra fino a quando le capacità militari e di governo di Hamas non saranno state distrutte. Di conseguenza, Israele ha rifiutato anche solo di tenere colloqui sui termini della fase due, che avrebbe dovuto iniziare il 3 febbraio.
Gli Houthi dello Yemen "condannano la ripresa dell'aggressione del nemico sionista contro la Striscia di Gaza". "I palestinesi non verranno lasciati soli in questa battaglia e lo Yemen continuerà con il suo sostegno e la sua assistenza e intensificherà il confronto", minaccia il Consiglio politico supremo degli Houthi, che da anni l'Iran è accusato di sostenere, come riportano le tv satellitari arabe.
Genova, 18 mar. (Adnkronos) - Tragedia nella notte a Genova in via Galliano, nel quartiere di Sestri Ponente, dove un ragazzo di 29 anni è morto in un incendio nell'appartamento in cui abitava. L'incendio ha coinvolto 15 persone di cui quattro rimaste ferite, la più grave la madre del 29enne, ricoverata in codice rosso al San Martino. Altre tre persone sono state ricoverate in codice giallo all'ospedale di Villa Scassi. Sul posto la polizia che indaga sulla dinamica.
Dalle prime informazioni si sarebbe trattato di un gesto volontario del giovane che si sarebbe dato fuoco.
Milano, 17 mar. (Adnkronos Salute) - Bergamo, 18 marzo 2020: una lunga colonna di camion militari sfila nella notte. Sono una decina in una città spettrale, le strade svuotate dal lockdown decretato ormai in tutta Italia per provare ad arginare i contagi. A bordo di ciascun veicolo ci sono le bare delle vittime di un virus prima di allora sconosciuto, Sars-CoV-2, in uscita dal Cimitero monumentale.
Quell'immagine - dalla città divenuta uno degli epicentri della prima, tragica ondata di Covid - farà il giro del mondo diventando uno dei simboli iconici della pandemia. Il convoglio imboccava la circonvallazione direzione autostrada, per raggiungere le città italiane che in quei giorni drammatici accettarono di accogliere i defunti destinati alla cremazione. Gli impianti orobici non bastavano più, i morti erano troppi. Sono passati 5 anni da quegli scatti che hanno sconvolto l'Italia, un anniversario tondo che si celebrerà domani. Perché il 18 marzo, il giorno delle bare di Bergamo, è diventato la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.
La ricorrenza, istituita il 17 marzo 2021, verrà onorata anche quest'anno. I vescovi della regione hanno annunciato che "le campane di tutti i campanili della Lombardia" suoneranno "a lutto alle 12 di martedì 18 marzo" per "invitare al ricordo, alla preghiera e alla speranza". "A 5 anni dalla fase più acuta della pandemia continuiamo a pregare e a invitare a pregare per i morti e per le famiglie", e "perché tutti possiamo trovare buone ragioni per superare la sofferenza senza dimenticare la lezione di quella tragedia". A Bergamo il punto di partenza delle celebrazioni previste per domani sarà sempre lo stesso: il Cimitero Monumentale, la chiesa di Ognissanti. Si torna dove partirono i camion, per non dimenticare. Esattamente 2 mesi fa, il Comune si era ritrovato a dover precisare numeri e destinazioni di quei veicoli militari con il loro triste carico, ferita mai chiusa, per sgombrare il campo da qualunque eventuale revisione storica. I camion che quel 18 marzo 2020 partirono dal cimitero di Bergamo furono 8 "con 73 persone, divisi in tre carovane: una verso Bologna con 34 defunti, una verso Modena con 31 defunti e una a Varese con 8 defunti".
E la cerimonia dei 5 anni, alla quale sarà presente il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, sarà ispirata proprio al tema della memoria e a quello della 'scoperta'. La memoria, ha spiegato nei giorni scorsi l'amministrazione comunale di Bergamo, "come atto necessario per onorare e rispettare chi non c'è più e quanto vissuto". La scoperta "come necessità di rielaborare, in una dimensione di comunità la più ampia possibile, l'esperienza collettiva e individuale che il Covid ha rappresentato".
Quest'anno è stato progettato un percorso che attraversa "tre luoghi particolarmente significativi per la città": oltre al Cimitero monumentale, Palazzo Frizzoni che ospiterà il racconto dei cittadini con le testimonianze raccolte in un podcast e il Bosco della Memoria (Parco della Trucca) che esalterà "le parole delle giovani generazioni attraverso un'azione di memoria". La Chiesa di Ognissanti sarà svuotata dai banchi "per rievocare la stessa situazione che nel 2020 la vide trasformata in una camera mortuaria". Installazioni, mostre fotografiche, momenti di ascolto e partecipazione attiva, sono le iniziative scelte per ricordare. Perché la memoria, come evidenziato nella presentazione della Giornata, "è la base per ricostruire".