Si chiamava Carmine Cerbera, di Casandrino, Napoli. Aveva 48 anni, docente di arte. Non so se avesse problemi, oltre quello enorme di essere precario, in attesa di una chiamata che non arrivava. Si è ucciso 2 anni e mezzo fa, in una giornata d novembre del 2012. Le ultime sue parole su FB sono dedicate, come molte precedenti, all’amarezza della sua condizione.
Davanti ad una tragedia come la conclusione volontaria di una vita non vien voglia né di urlare allo scandalo, né di cavalcare strumentalmente il comprensibile sdegno collettivo di generazioni di donne e uomini che hanno devoluto la propria vita all’idea nobile di insegnare. Che, affrontando prove, studiando, precarizzandosi consapevolmente, hanno accettato un gioco cui lo Stato li ha invitati a partecipare dicendoti: siediti, le regole sono queste. Alla fine riuscirai. Salvo poi, improvvisamente e senza un briciolo di scuse (anzi, con quel composto dileggio da salotto-bene, i choosy della Fornero, gli sfigati di Martone), dire che no, ci siamo sbagliati, quel gioco non si fa più in quel modo, le regole sono cambiate. Forse non giochi nemmeno più.
Nella condizione di Carmine si trovano oggi tanti che stanno sperando dal 3 settembre 2014. Da quando, cioè, un governo sprezzante, maldestro ed autoritario ha promesso loro di essere “stabilizzati” in 150mila. Alimentando speranze di donne e uomini che – in un alternarsi di smentite, conferme, variazioni di cifre (sempre minore, con il passare del tempo, il numero degli assumibili) – attendono la stabilizzazione del posto di lavoro da anni.
Dal 9 marzo sono in sciopero della fame i precari della Scuola di Roma, ma le adesioni arrivano da tutta Italia. “Riteniamo necessario e ormai inevitabile ricorrere a tale azione di protesta, in quanto non siamo più disposti a tollerare le prese in giro del Governo Renzi – si legge sul loro comunicato – Chiediamo a gran voce l’assunzione immediata e senza ricatto di tutti i precari della scuola, non subordinata all’accettazione dell’organico funzionale e del progetto di Riforma di cui non condividiamo minimamente contenuti e impostazione”. “Ci opponiamo con forza ad ogni tentativo di ricatto ed esprimiamo il nostro ‘no’ convinto nei confronti della politica di tagli e dequalificazione della scuola pubblica statale di questo governo, in continuità con i precedenti, e nei confronti del disconoscimento dei diritti di chi nella scuola pubblica lavora da anni in una condizione di precarietà che non è oltremodo tollerabile”.
Si tratta di affermazioni di notevole dignità, considerando anche il tentativo che Renzi sta facendo per fomentare una delle peggiori “guerre tra poveri” cui il nostro Paese – avvezzo a questo tipo di condizione – abbia assistito.
Primo elemento: le condizioni dei precari sono molto disomogenee, conseguentemente alla disomogeneità delle politiche scolastiche che hanno nei lustri alimentato il precariato: Gae, fasce differenti, ma – anche – modalità di accesso diverse (concorso, Pas, Tfa, per parlare delle più recenti). Tra essi – ulteriore differenza nella differenza – gli idonei al concorso di Profumo (che il Piano Buona Scuola prometteva di stabilizzare), che Renzi ha liquidato qualche giorno fa con un ingeneroso disprezzo: “Gli idonei non sono vincitori, altrimenti si chiamerebbero vincitori. Ci dispiace, ma loro dovranno fare il concorso”.
Secondo elemento: dal prossimo anno quello che il ddl chiama “organico dell’autonomia” sarà gestito interamente dal dirigente, che potrà proporre le cattedre e i posti funzionali utilizzando gli albi provinciali. E qui la seconda e la terza divaricazione grave. La chiamata diretta da parte dei dirigenti (uno degli elementi più allarmanti dell’inemendabile piano scuola configurato da Renzi), rappresenta una divergenza straordinaria rispetto alle modalità precedenti di reclutamento nell’ambito delle quali, peraltro, alcuni docenti andranno a ricoprire cattedre vere e proprie, altri a fare i tuttologi-tuttofare, con un mansionario extracontrattuale che li vedrà impegnati dalle supplenze al recupero, dai progetti, al CLIL, alla lotta alla dispersione.
Lo sciopero della fame indetto dai precari sta continuando: al momento si tratta di una staffetta – due giorni a docente. I docenti impegnati in questa forma di protesta hanno aperto una pagina FB su cui ciascuno può portare contributi e testimonianze.
C’è da complimentarsi con il pifferaio magico Renzi per un’operazione certamente ben riuscita: aver venduto come una generosa elargizione quello che da anni (il provvedimento era contenuto nella Finanziaria del 2007) era un atto dovuto, ribadito peraltro dalla Corte di Giustizia Europea. Essere riuscito a tenere sulle spine migliaia e migliaia di persone promettendo, millantando, rassicurando, e ascrivendosi a merito quanto doveva esser fatto, senza lesinare per l’operazione l’ormai conclamata aggettivazione retorica di regime: epocale, storico. Intanto registriamo l’abbattimento di un terzo del numero urlato a gran voce in settembre. Per il resto, rimangono molti elementi non chiari.
Continua ad essere invece chiarissimo il ricatto implicito costituito dall’inserimento dell’assunzione dei precari nel ddl e non, come chiesto dal Comitato per il sostegno alla Lipscuola, in un apposito decreto legge: assumiamo (meno) precari e voi accettate la delega (in bianco) al Governo. Peraltro la mancata calendarizzazione del provvedimento per la prossima settimana rende ancora più difficile la configurazione di quei tempi da guerra-lampo che il governo esigerebbe per l’approvazione.
Lo sciopero della fame dei precari e la rivendicazione dei loro diritti e della loro dignità, in questa cornice, dovrebbero – ora più che mai – essere una battaglia di tutto il mondo della scuola.