Cronaca

Papa Francesco a Napoli contro la retorica, i luoghi comuni e una certa Chiesa

Papa Francesco a Napoli ha guardato in faccia la città parlando con fermezza dei suoi mali. Non sono stati discorsi di circostanza o moraleggianti ma parole ferme, prese di posizione convinte portate avanti con la stessa tenacia già vista in Calabria.

“Cari napoletani, non lasciatevi rubare la speranza. Non cedete alle lusinghe di facili guadagni o di redditi disonesti: questo è pane per oggi e fame per domani. Reagite con fermezza alle organizzazioni che sfruttano e corrompono i giovani, che sfruttano e corrompono i poveri e i deboli con il cinico commercio della droga e altri crimini”. E’ uno schiaffo di realtà dato “caritatevolmente” sui volti di chi ricopre ruoli di responsabilità e con le proprie decisioni – può e non lo fa – incidere sui destini di una collettività.

Ma il Santo Padre nelle sue numerose tappe si è rivolto direttamente ai napoletani, un popolo un po’ argentino e come lui figlio della fine del mondo. Questa è la vera magia che Bergoglio ha creato nel corso della storica visita nella metropoli all’ombra del Vesuvio: un grande abbraccio vero, sentito, vissuto. E come spesso accade: Napoli ha conquistato con empatia e schiettezza, il Sommo Pontefice.


Parole, silenzi e gesti che hanno scosso una città addormentata e assuefatta a un torpore indotto che come canta Pino Daniele “invece e c’aiutà c’abboffano e’ cafè”. Si, perchè il percorso di speranza tracciato da Papa Francesco a Napoli e in generale nel Mezzogiorno d’Italia dev’essere organizzato, costruito, incanalato.

Invece, è stridente come un pezzo d’Italia sia stato abbandonato, emarginato, messo alla porta, tagliato fuori dal resto del Paese. Il Sud non entra e non è mai entrato davvero nell’agenda di vari governi che si sono succeduti, compreso l’ultimo. Solo promesse, elemosine, progetti-scatole vuote, finto efficientismo e giochetti di potere sulla pelle dei gonzi, i cafoni, i terroni, i sempre “chiagn’ fott”.

Sembra già sia stato deciso come una parte d’Italia sia destinata a ripartire e salvarsi. I sommersi siamo noi. La Campania è una piccola Grecia. Da soli non ce la facciamo. La visita del Pontefice è una spallata. E’ rompere il malefizio. Chiamare con il proprio nome le cose: responsabilità, futuro, spirito di povertà, dignità. Non solo parole – dicevo – ma silenzi e soprattutto gesti. E’ il linguaggio, la grammatica, la comunicazione che il Papa ha adoperato per entrare nella coscienza di una città – che come suggeriva monsignor Gennaro Matino – non deve cercare una requiem di morte ma la pace civile.

Napoli è il mondo se resta connessa. Al contrario diventa landa selvaggia e serbatoio di odio e violenza se è ripiegata su se stessa. Da Napoli i giovani non devono più scappare, fuggire, rimuovere le radici e nascondere la parlata (accogliete tutti e insegnate il napulitano, lingua cosi dolce). Napoli deve riprendersi Napoli e il suo destino. Partendo dalla stessa Chiesa presieduta da un cardinale: Crescenzio Sepe, “bravo” nei siparietti in dialetto, popolare e simpatico ma in concreto ammantato di quel potere che lo stesso padre Bergoglio nel suo difficile pontificato sta tentando di estirpare dalla Chiesa di Roma.

E durante la visita non sono mancati nei suoi discorsi riferimenti generali che toccano da vicino anche lo stesso arcivescovo partenopeo. I discorsi a braccio di Papa Francesco – con un gesto eclatante ha gettato via i fogli – hanno entusiasmato : “La corruzione che ‘spuzza’ e la delinquenza non sfigurino il volto di questa bella città. E di più, non sfigurino la gioia del vostro cuore napoletano. Ai criminali e a tutti i loro complici oggi io umilmente, come fratello, ripeto: convertitevi all’amore e alla giustizia”.
Come la sua attenzione nell’ascolto e il dedicare una parola per ogni detenuto del carcere di Poggioreale che con lui ha condiviso il pranzo. “Nella vita non bisogna mai spaventarsi delle cadute, l’importante è sapersi sempre rialzare. Dio dimentica e cancella sempre i nostri peccati e poi il primo Santo della chiesa è stato un ladro”.

Ora tocca a Napoli fare la sua parte: mettere in circolo, a sistema queste energie belle, rompere la depressione che da anni la attanaglia con i lutti di camorra, la sindrome del “nonsipuotismo”, la malapolitica e far emergere il bello, il positivo che da millenni più che città la fa regno di un popolo.

@arnaldcapezzuto