La specialità del ministero delle Infrastrutture era la corsa alle poltrone. Leggendo gli atti allegati all’inchiesta Sistema, emerge che anche il viceministro Riccardo Nencini si era prodigato per far avere un’assunzione a un caro e vecchio amico: Enzo Collio, ex parlamentare socialista devoto al verbo craxiano. Per ottenere il risultato, Nencini attiva il capo della sua segreteria che si rivolge a Giulio Burchi, super-manager indagato per corruzione nell’inchiesta fiorentina.
Sintetizzano gli inquirenti: “Giulio Burchi, dopo aver incontrato Fabrizio Magnani, capo della segreteria del viceministro alle Infrastrutture Riccardo Nencini, fa emergere che quest’ultimo gli ha richiesto di trovare una sistemazione, possibilmente come revisore dei conti, a Enzo Collio, ex esponente del Partito socialista italiano”. Detto fatto. Collio riceve un incarico alla Mobilità Serenissima Srl. “Ti ringrazio anche a nome di Riccardo”, dice Magnani a operazione avvenuta. È il maggio 2014, Nencini è fresco di nomina: è diventato viceministro a fine febbraio. Il 28 Lupi telefona a Ercole Incalza per informarlo dell’incarico affidato a Nencini. “Dopo che tu hai dato la sponsorizzazione per Nencini l’abbiamo fatto viceministro”, confida Lupi a Incalza. “Hai messo la faccia quindi adesso sono cazzi tuoi, ora digli che non rompa i coglioni”. Una telefonata dai contenuti imbarazzanti.
Nencini ha smentito di essere stato nominato su consiglio di Incalza sottolineando – nel corso della trasmissione Piazza Pulita – che è “Renzi a nominare i viceministri”, sostenendo che i suoi rapporti con Incalza sono minimi e invitando Lupi a fare chiarezza. Cosa che ha fatto in un’intervista a Repubblica. “Io conoscevo poco Nencini e Del Basso De Caro, due persone peraltro bravissime. Sapendo che erano socialisti come Incalza, lo prendevo in giro”. A sua volta Nencini chiudeva con un tweet: “Ringrazio il ministro Lupi per aver chiarito il senso della telefonata con Incalza. Il chiarimento sgombra il campo da ogni malevola interpretazione”. Come Nencini anche Umberto Del Basso De Caro, oltre a essere socialista, è arrivato alle Infrastrutture. Al ministero tutti chiedono o distribuiscono incarichi. Lo dicono le indagini. Nencini è viceministro da meno di tre mesi quando il Ros annota: “Bisogna approfondire i rapporti tra il senatore Nencini e Burchi”. Già il 4 aprile, Mauro Del Bue viene intercettato mentre chiede a Burchi, “a nome del senatore Nencini”, come “cortesia” e “contributo”, di poter “sistemare due o tre persone con incarichi retribuiti”. “Ti volevo chiedere una cosa tu potresti dargli qualche contributo di questo tipo anche a Nencini… ci sono delle nomine da fare in giro…”. Le pretese non sono neanche elevate: “Non ci interessano presidenze, vicepresidenze, ci interessa sistemare due o tre persone in qualche ente dove ci sia anche il compenso perché poi la gente non lavora gratis. Cosa c’è in giro? Trenitalia? Cioè nei consigli di amministrazione, non gli apicali”.
Anche Burchi – continua il Ros – ha bisogno di qualcosa: “Essere sostenuto per ottenere un incarico in Terna”. Un mese dopo arriva la telefonata di Fabrizio Magnani, capo della segreteria di Nencini, che “chiede, a nome di quest’ultimo, se ha ‘un minimo di spazio’ in qualche collegio sindacale”. “Fabrizio Magnani della segreteria del viceministro Riccardo Nencini”, scrive il Ros, “chiede insistentemente a Burchi di trovare per conto del viceministro incarichi da conferire a persone non identificate nelle società direttamente riferibili a Burchi. E Burchi pretende per sé, da parte di Nencini, una qualche nomina in aziende a partecipazione statale”. Così funzionava il ministero. “Ma io inventavo…” ha provato a dire Giulio Burchi durante il suo interrogatorio, prima di ritrovarsi ad ammettere ciò che non poteva negare: che il “sistema” del duo Incalza-Perotti, lui, lo conoscesse a fondo, non è una congettura degli investigatori. È lo stesso Burchi, in più di un’occasione, a raccontarlo per telefono. Era pronto a rivelare tutto al sottosegretario di Matteo Renzi, Graziano Delrio, oggi tra i candidati a sostituire l’ex ministro Lupi. Voleva scomodare anche il deputato Pd Pippo Civati affinché intervenisse con un’interrogazione parlamentare.
Ad animare le sue parole, c’è l’aspirazione a rovesciare il sistema Incalza-Perotti per scavalcarlo, creando una sponda con il Pd, partito in cui contava parecchie conoscenze. Tra queste, sostiene Burchi, anche la governatrice del Friuli Venezia Giulia: “Qualcosa dovrebbe uscirmi perché adesso mi vuole nominare anche presidente della vecchia Padova – Venezia che si chiama Serenissima, che non ha più autostrade ma possiede 1’8 per cento. Allora Serracchiani vuole che io vada a fare il presidente che ci vuole mettere il suo vice amministratore”. Burchi oscilla tra due poli: la necessità di raccogliere le briciole che cadono dal tavolo del sistema Incalza e il desiderio di combatterlo. L’astio di Burchi raggiunge il suo apice il 19 febbraio 2014, quando Incalza è confermato nel suo ruolo. Parlando con Giovanni Gaspari Burchi s’infervora: “Dobbiamo tenerci Incalza fino al 2018 cazzo! Finché non muore!” Gaspari ribatte che Incalza “può contare su importanti sostegni sia politici che imprenditoriali: “Ma è veramente una schifezza tale che non ne posso più, mi viene anche a me da vomitare… si sono scatenati tutti alla difesa di Incalza oggi, sono passati da Alfano a Schifani ai general contractor… ma è possibile che a ‘sti stronzi non gli viene in mente che se queste lobby di affaristi lo sostengono…”. Burchi non sopporta la situazione: Incalza “favorisce sempre questo Perotti”, che viene nominato direttore generale dei lavori da molte imprese, fino a gestire 25 miliardi di appalti. E quindi – annota il Ros dei carabinieri – prende una decisione: “C’ho due o tre episodi circostanziati… prendo Pippo Civati che mi rompe sempre i coglioni così gli faccio fare una cosa utile”.
L’intenzione è di far presentare a Civati un’interrogazione parlamentare. “Non me ne ha mai parlato”, dice Civati al Fatto. Nella sua personale guerra a Incalza, il 3 aprile 2014, Burchi chiede all’ex parlamentare socialista Mauro Lo Bue di fissargli un appuntamento con Nencini per “metterlo in guardia su quello che avviene al ministero da trent’anni sotto il controllo di Incalza”. Dice: “Non vorrei che si facesse far su anche lui da Incalza, cioè io gli racconto delle storie vere che gli possono essere utili”.
di Antonio Massari e Davide Vecchi
Da Il Fatto Quotidiano del 21 marzo