Il presidente del Consiglio in un'intervista a Repubblica torna sul passo indietro dell'ex ministro delle Infrastrutture, ma chiarisce che "ci si dimette per questioni politiche ed etiche, non per gli avvisi di garanzia". Di D'Alema che ha attaccato la sua gestione "leaderistica e arrogante" del partito dice: "Parole che stanno bene in bocca a una vecchia gloria del wrestling"
Maurizio Lupi ha deciso di dimettersi, ma questo non significa che anche gli altri sei sottosegretari del governo Renzi debbano fare la stessa scelta. Perché “ci si dimette per questioni politiche ed etiche, non per gli avvisi garanzia“. Quindi non tocca anche ai dem Barracciu, Del Basso De Caro, De Filippo, Bubbico, Faraone e a Castiglione di Nuovo centrodestra fare un passo indietro? “Assolutamente no”. A dirlo è il presidente del Consiglio che in un’intervista a Repubblica ribadisce: “Per me un cittadino è innocente finché la sentenza non passa in giudicato. Del resto, è scritto nella Costituzione“. Quindi “perché dovrebbe dimettersi un politico indagato? Le condanne si fanno nei tribunali, non sui giornali“.
Matteo Renzi respinge le accuse di ‘doppiopesismo’ tra l’ex ministro delle Infrastrutture Lupi – che ha lasciato l’incarico a seguito del coinvolgimento nell’inchiesta sulle tangenti per le Grandi Opere, anche se non è indagato – e i sottosegretari: “Ho chiesto le dimissioni a Orsoni quando, patteggiando (per finanziamento illecito, ndr), si è dichiarato colpevole. Ho commissariato per motivi di opportunità politica il Pd di Roma (a seguito dell’inchiesta su Mafia Capitale, ndr) nonostante il segretario locale fosse estraneo alle indagini. A suo tempo avevo auspicato il passo indietro della Cancellieri (che da ministro della Giustizia che si era interessata alla scarcerazione di Giulia Ligresti, ndr) sempre con una motivazione strettamente politica.
Altro che due pesi e due misure: le dimissioni si danno per una motivazione politica o morale, non per un avviso di garanzia”. Renzi inoltre considera la decisione di Lupi “una valutazione giusta e saggia”, “una scelta personale e molto degna”. Il suo successore, procede, “sarà decisivo per far ripartire l’Italia“, ma specifica che “non è importante in una logica interna di partiti“. Il governo vuole “uno bravo”, puntualizza, per cui “il colore della tessera non ci interessa”. Poi riflette anche su Ercole Incalza, il superdirigente delle Grandi opere finito in carcere su richiesta della Procura di Firenze: “Indipendentemente dalle indagini – sottolinea Renzi – un eccesso di permanenza al potere negli stessi posti non è mai positivo”.
Quanto a Vincenzo De Luca – sindaco decaduto di Salerno e condannato in primo grado per abuso d’ufficio che ha vinto le primarie del Pd in Campania e che sfiderà Caldoro alle regionali – Renzi spiega che “ha fatto una scelta diversa, considera giusto chiedere il voto agli elettori e si sente forte del risultato delle primarie”. Ma sulla modifica della legge Severino, in linea con quanto già dichiarato dai ministri Orlando e Boschi, il premier ribadisce che “non è all’ordine del giorno, non è un tema in discussione”.
Nel corso dell’intervista il premier parla anche di Massimo D’Alema, che al convegno sulla sinistra nel Pd a Roma ha attaccato la sua gestione “leaderistica e arrogante” del partito. “Gli iscritti diminuiscono, si diventa centro d’attrazione per il trasformismo italiano”, ha dichiarato l’ex presidente del Consiglio, aggiungendo che “le forze che sostengono Renzi sono fuori dal Pd, non sono gli iscritti. Abbiamo un partito senza un popolo e un popolo senza partito”. Parole che, dice Renzi a Repubblica, fanno parte di “un lessico che non mi appartiene. Espressioni che stanno bene in bocca a una vecchia gloria del wrestling, più che a un ex primo ministro”. Poi scherza: “Credo fosse arrabbiato per Roma-Fiorentina: ha capito che il vero giglio magico è sceso in campo all’Olimpico… Compito del Pd è cambiare l’Italia, sia che D’Alema voglia sia che D’Alema non voglia. E noi lo faremo”.