Nove mandamenti mafiosi (indicati persino da wikipedia), una storica guerra tra Stidda e Cosa Nostra, boss di prima grandezza finiti in manette solo negli ultimi anni. La mafia ad Agrigento, insomma, è tutt’altro che assente. Eppure Silvio Alessi, il candidato sindaco di Agrigento indicato da Forza Italia, uscito vincitore dalle primarie del Pd, pochi giorni fa era inciampato sull’argomento. “La mafia? Non ne so parlare, non penso sia presente qui. Ad Agrigento ci sono disagio sociale e microcriminalità, questo sì” aveva dichiarato al quotidiano Repubblica. Una frase che aveva accesso la miccia della polemica. “Sono sicuro che Alessi sia pienamente consapevole della pericolosità del fenomeno mafioso e che avrà modo, al più presto, di chiarire la sua posizione” è stata la replica piccata del segretario democratico Fausto Raciti (nella foto), che ha costretto Alessi ad aggiustare il tiro.
“Le mie dichiarazioni – dice il candidato sindaco di Agrigento – non sono state riportate per come espresse: facendo riferimento alla microcriminalità avevo fatto presente come la situazione di Agrigento fosse, fortunatamente, ancora sotto controllo. Pertanto non si vede microcriminalità in giro per Agrigento come invece accade in tante altre città siciliane e italiane. Il rispetto della legalità e la lotta alla mafia sono dei punti saldi”. Una sorta di pezza per provare a coprire un buco troppo macroscopico per passare inosservato. Perché Cosa Nostra nell’Agrigentino ha una tradizione antica. Una storia che finisce sulla pagine dei giornali negli anni ’80, con la scalata dei Cuntrera-Caruana, partiti da Siculiana per poi diventare miliardari con il traffico di stupefacenti tra il Canada e il Sudamerica. Gli anni ’80 nell’Agrigentino sono anche segnati da una violentissima faida che ha come epicentro i comuni di Palma di Montichiaro e Canicattì: da una parte i “viddani” della Stidda, dall’altra gli uomini delle famiglie di Cosa Nostra.
Ma non è solo mafia in bianco e nero quella agrigentina. Gli ultimi boss di prima grandezza sono finiti in manette nel 2010: a comandare nella provincia di Pirandello, Bernardo Provenzano aveva piazzato Gerlandino Messina e Giuseppe Falsone. Il primo è stato arrestato a Favara il 23 ottobre del 2010, pochi mesi dopo il fermo di Falsone, che era invece latitante a Marsiglia. Ma non solo: tra i boss dell’agrigentino avrebbe trovato protezione anche Matteo Messina Denaro, l’ultima grande primula rossa di Cosa Nostra. Il boss di Castelvetrano sarebbe stato in contatto con Leo Sutera, capomafia di Sambuca di Sicilia. Ecco perché, quando Sutera viene arrestato nel 2013, il procuratore aggiunto di Palermo Teresa Principato protesta direttamente con il Csm: secondo il suo punto di vista l’arresto di Sutera avrebbe fatto fallire la cattura di Messina Denaro. “La mafia ad Agrigento è dappertutto” è invece una dichiarazione rilasciata dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi al periodico Grandangolo, nello stesso periodo. Come dire che, al netto della “microcriminalità” citata da Alessi, la provincia di Agrigento rimane ancora oggi terra importante per gli uomini di Cosa Nostra. E d’altra parte, come rilevato da Enrico Deaglio alcuni anni fa, nell’Agrigentino chi si ferma alla terza versione dei fatti è considerato un superficiale.