L’isola venuta dal freddo
Il gioco da tavolo I coloni di Catan, inventato da Klaus Teuber, è ormai diventato un fenomeno planetario. Disponibile in oltre 30 lingue, è diffuso in una cinquantina di Paesi e giocato da più di 22 milioni di giocatori in tutto il mondo; sfuggirgli è perciò praticamente impossibile. Ma sotto il misterioso nome di Catan che luogo si cela?
Catan è un’isola che a ogni partita cambia aspetto, perché formata da esagoni, dai colori accesi e brillanti, posizionati a caso all’inizio della gara; gli esagoni (campi coltivabili, colline, foreste, montagne, pascoli) producono le materie prime (argilla, grano, lana, legno, minerali) che servono a costruire i luoghi necessari per arrivare alla vittoria.
Si legge nell’introduzione di Teuber al romanzo storico ispirato al gioco, opera della scrittrice tedesca Rebecca Gablé (I coloni di Catan, Milano, Armenia, 2005; orig. ted.: 2003):
mi avevano affascinato i vichinghi che […] con le loro imbarcazioni
avevano fatto rotta per l’Islanda, la Groenlandia e l’America, ed
erano riusciti a colonizzare con successo ed in maniera duratura per
lo meno l’Islanda […]. L’Islanda era disabitata, e l’isola non doveva
essere conquistata, bensì creata dal nulla […] Anche Catan
inizialmente è disabitata, e viene civilizzata nel corso del gioco. Ci
si procura legname, si estraggono minerali, si allevano pecore, si
ricava argilla con cui si producono mattoni (p. 5 sg.).
L’isola di Catan, anche se l’Islanda propriamente non è, le deve in ogni caso molto.
Da “Katan” a “Canaan”
Già nel 1995, anno in cui viene messo in commercio dalla Franckh-Kosmos (Stuttgart), Die Siedler von Catan vince in Germania tutti i premi possibili: lo Spiel des Jahres, il Deutscher Spiele Preis, l’Essener Feder. Il gioco sarebbe stato tradotto in Italia l’anno dopo col titolo I coloni di Katan, in continuità con l’edizione uscita in Francia (Les Colons de Katäne, 1995). Quel Katan, non si sa bene perché, sarebbe poi diventato Catan, su cui raccontano storie stravaganti (cfr. Andrea Angiolino, Beniamino Sidoti, Dizionario dei giochi. Da tavolo, di movimento, di carte […], Bologna, Zanichelli, 2010, p. 268): qualcuno l’ha voluto collegare alla città di Catania e, fra le varie ipotesi, si è ‘invocato’ a spiegazione perfino Satana (in francese: Satan).
Ipotesi bizzarre, come sono bizzarre alcune delle innumerevoli espansioni della versione base; fra le più pittoresche The Communication in Catan (2000), realizzata per conto della compagnia di telecomunicazioni francesi Alcatel, in cui mutano, rispetto alla versione originale, sia i terreni (rurale, residenziale, metropolitano, industriale, high tech) che le materie (telefono fisso, tv via cavo, telefono cellulare, Internet, risorse multimediali); The Settlers of Canaan (2002), con scenari ispirati alla Bibbia e agli antichi ebrei, le cui diverse tribù sono impegnate a edificare la terra di Canaan (e a costruire il muro di Gerusalemme).
Un gioco davvero per tutti?
Chi ha ragione fra le due tipologie di giocatori? I coloni che mettono in atto precise strategie per aggiudicarsi la vittoria, pur non rinunciando del tutto a confidare nella buona sorte, o quelli che s’affidano senza esitare alla dea bendata, ritenendo il gioco ideato con questo spirito?
È stato lo stesso Teuber a dichiarare – sembra peraltro che ai Coloni di Catan, a detta di chi lo conosce, non vinca mai – di aver voluto creare un passatempo i cui vincitori non sarebbero stati i giocatori di maggior talento. Il suo intento era di dar vita a un gioco ‘democratico’, in cui un bambino avrebbe dovuto avere le stesse possibilità di vittoria di un adulto; questo perché in generale, secondo l’autore, i giochi non devono insegnare nulla e nemmeno occupare troppo i nostri pensieri: devono solo divertire, facendo passare il tempo. Nient’altro.
Detta così, se stiamo ai fatti, I coloni di Catan appaiono un gioco per tutti. Chi ci gioca sa però molto bene che a governarli è un sistema ‘alla tedesca’, che coinvolge il giocatore in qualsiasi momento della gara, non solo quando è il suo turno; la meccanica che vi è alla base ti può far fare domande del tipo: “Com’è possibile che durante il mio turno io non abbia guadagnato nulla, mentre gli altri si sono arricchiti?”. Una particolarità che, soprattutto ai giocatori vecchio stile, potrebbe non piacere.
di Massimo Arcangeli, Sandro Mariani, Matteo Roberti