Calcio

“La nazionale agli italiani”. Mancini scatena la polemica sugli oriundi

Le convocazioni del ct della Nazionale scatenano la polemica. L'ex attaccante della Samp: "Se uno è nato in Italia merita di giocarci, chi non lo è, anche se ha dei parenti, credo che non lo meriti"

Il 10 giugno 1934 Raimundo Orsi segnò il gol del pareggio nella finale della Coppa Rimet contro la Cecoslovacchia. La rete di Angelo Schiavio durante i tempi supplementari permise all’Italia di Vittorio Pozzo di laurearsi per la prima volta campione del mondo. Raimundo Orsi era nato ad Avellaneda, una piccola città portuale vicino Buenos Aires. Fu uno dei primi oriundi a vestire la maglia della Nazionale. Quel giorno in campo c’era anche Enrique Guaita da Entre Rios. Il pioniere, tuttavia, fu l’attaccante Julio Libonatti da Rosario, Argentina, quindici volte in gol con l’Italia.

Anche se la convocazione di italiani d’origine affonda le radici nella notte dei tempi continua a far discutere. È bastato che Antonio Conte chiamasse a Coverciano Eder e Franco Vazquez per riaccendere il dibattito. L’innesco sono le parole di Roberto Macini: “Io so che la Nazionale dev’essere degli italiani. Se uno è nato in Italia merita di giocarci, chi non lo è, anche se ha dei parenti, credo che non lo meriti”. Apriti cielo, nonostante la tradizione vanti precedenti recentissimi come Thiago Motta e Gabriel Paletta in Brasile e Mauro German Camoranesi, protagonista della spedizione campione del mondo in Germania nel 2006.

Non ha perso tempo l’attuale ct dell’Italia a difendere la scelta di vestire d’azzurro l’attaccante della Sampdoria, nato a Lauro Muller ma con un bisnonno trevigiano, e il fantasista del Palermo, venuto al mondo a Tanti da mamma di origine padovana. Anzi, ha piazzato prima la stoccata: “C’era stata l’occasione di confrontarci qualche tempo fa e avevo chiesto di fare uno stage proprio per valutare alcuni ragazzi prima ancora di convocarli. Magari avremmo avuto un po’ tutti le idee chiare – spiega Conte – Questi mesi mi hanno insegnato che è meglio lavorare a testa bassa. Non sono il primo e non sarò l’ultimo a convocare questi, tra virgolette, oriundi. Nell’ultimo mondiale erano 83 su 700 giocatori. Sono le regole, noi le seguiamo. D’altronde, come la metti la metti, qualche polemica si può sempre creare”. Poi ha proseguito: “Non ho mai forzato nessuno, perché è una cosa che devono vivere dentro. La maglia azzurra non deve essere un ripiego per chi non riesce a conquistare un posto nel Paese che sente più suo. La Nazionale è per i migliori, bisogna dimostrare di essere bravi e di meritarla sul campo”.

Al fianco dell’allenatore azzurro si è schierato anche il presidente della Figc Carlo Tavecchio che ha ricordato la presenza di Camoranesi nel 2006 e ha aggiunto che “Conte ha la libertà assoluta di individuare le persone che hanno titolo per giocare: se uno ha la cittadinanza può giocare, è cittadino italiano quindi il discorso è chiuso”. In difesa di Vazquez si schiera anche l’allenatore del Palermo, Giuseppe Iachini: “Ha la mamma italiana, più italiano di lui… – dice il tecnico rosanero – Se uno sente un’appartenenza sulla base di un legame affettivo tanti discorsi in più servono a poco”.  Per Zdenek Zeman la questione della ‘globalizzazione’ del calcio può diventare un’opportunità: “Se è possibile chiamare gli oriundi, vuol dire che è possibile. Chi cresce in un paese deve mettersi in mostra. Bisogna fare meglio di quelli che vengono da fuori”.

Ma Mancini non è il solo a pensarla negativamente sugli oriundi. Sulla stessa lunghezza d’onda si trova Andrea Mandorlini, allenatore alla guida dell’Hellas Verona: “Io sono più per gli italiani veri. Vedo gli oriundi ancora come una situazione un po’ da sperimentare, anche se in realtà lo abbiamo già fatto tanto tempo fa. Facciamo tanto per far crescere i giovani e poi pensiamo agli oriundi. Sarebbe meglio dedicarci di più ai ragazzi”.