Patto del Nazareno, Renzi e Berlusconi “i Costretti Sposi”. L’accordo “s’ha da fare”
Matteo Tramaglino e Silvialucia sono i promessi sposi. Nel loro cammino verso "le nozze" s'imbattono in don Abbondio Gianni Letta, l'Azzeccagarbugli Coppi, don Rodrigo Verdini, fra Cristoforo Delrio, Lauragertrude Boldrini. Ci pensa la provvidenza, ma Silvialucia s'invaghisce d'un altro Matteo
La storia non lo dice, ma Renzo è Renzie, Lucia Mondella è Silvio Berlusconi. Il giovin Matteo è Tramaglino, e il benedetto matrimonio che s’ha da fare – e al più presto – è il Patto del Nazareno. Gli Sposi, loro malgrado, sono Promessi. Forse Silvialucia è una civetta immorale – per come dice il cardinal Bagnasco – però ama di sincero amore l’altro Matteo, il Salvini, il Paperino fomentatore di tumulti ai forni di Milano. Mentre Renzi, come Paperon de’ Paperoni, ama solo banche e assicurazioni.
Il Cardinale Borromeo è Giorgio Napolitano; l’Innominato è Giuliano Ferrara, costretto ad avallare tutte le trame di don Rodrigo, ossia Denis Verdini; mentre a farsi strumento della Provvidenza c’è Beppe Grillo, che in quel ramo del Parlamento (che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di deputati e senatori, scansando Mario Monti a seconda dell’uscita o dell’iscrizione al gruppo misto) raduna il suo gregge. Belante, va da sé.
DON ABBONDIO E I BRAVI
Don Rodrigo Verdini scommette con il cugino Attilio, Luca Lotti, di combinare il matrimonio e spedisce il più bravo tra i suoi bravetti, Oscar Farinetti, a cercare un curato per le nozze. Con la retina in testa, il Giglio al bavero e l’antico baffo, sul limitare di via Sant’Andrea delle Fratte, il beffardo Farinetti aspetta. È il Griso, lui. Attende l’arrivo di Gianni Letta, ossia don Abbondio. Il curato, stanco di pregare, già pregusta la cena (fagiolini a euro 80,00 cadauno) preparatagli dalla Perpetua, Francesca Pascale. È un’intrighina, lei, ma pur sempre una brava cuoca. Il Griso, intanto, sbarra la strada al curato e gli intima: “Questo matrimonio s’ha da fare, e in fretta!”.
AZZECCA-GARBUGLI
L’episodio getta nello sconforto Renzi, ma Perpetua Pascale, la domestica di don Abbondio, lo convince dell’opportunità del Patto, ops, delle Nozze; e gli suggerisce di prendere comunque Silvialucia e, con sua mamma Fedelinagnese nata Confalonieri, di consultare un fior di avvocato. Questi è Franco Coppi detto Azzecca-garbugli, il quale, inizialmente, vuole aiutare la ragazza e avvalorare l’accusa di essere una civetta (indegna dunque del matrimonio) ma, venendo a capire in che guaio si finisce a contrastare il Patto, li caccia via.
FRA CRISTOFORO E DON RODRIGO
Ai tre, allora, non resta che rivolgersi a fra Cristoforo Delrio, il Graziano. Questi, inorridito, decide di affrontare direttamente don Rodrigo Verdini e convincerlo a lasciare liberi i due giovani. Ma il don, forte del proprio proposito, caccia il frate in malo modo. Allora fra Cristoforo Delrio – alla testa dei suoi nove figli, tutti fraticelli – lancia un terribile anatema. E don Rodrigoverdini, colpito, più che il saio scorge una toga – e già vive un presagio.
LA NOTTE DEGLI IMBROGLI
Intanto Fedelinagnese propone un’idea agli Sposi Costretti: portare Silvialucia al cospetto di Wladimir Luxuria a Muccassassina e lì, sulle note del Tuca Tuca, alla presenza di almeno due testimoni, sottoscrivere l’unione civile con Salvini. La pensata è presto accolta. A far da palo ci sono Tonio Ghedini e Maurizio Landini detto Gervasio. Quest’ultimo è il cugino tonto di Renzo Renzi, ed essendo tonto non si accorge dell’irruzione in discoteca dei bravi che, sulle note di “una lacrima sul Griso”, tentano di sedurre la ragazza approfittando del lento. Silvialucia è sì, civetta, ma è controllata a vista da mamma Fedelinagnese, che – una volta fallita l’unione civile per sopravvenuto prefetto, inviato da Angelino Alfano! – porta via l’innocente strappandola ai bravetti.
ADDIO MONTI
È una struggente traversata quella di Silvialucia – in viaggio verso il convento di Cesano Boscone, in Lombardia – ed è nella corsa dal Lungotevere fino a via Nazionale, tra i quartieri di Roma, che, confortata da mammà, intona il suo addio al “rione Monti” (lì dove abita proprio Giorgio Napolitano, il cardinale Borromeo).
LA MONACA DI MONZA
Giunta a Cesano Boscone, “pochi passi distante da Monza”, Silvialucia viene poi accompagnata dalla madre guardiana, suor Ilda delle consorelle di santa Boccassina, al convento di Monza. È qui che, sotto il severo controllo di suor Lucia dell’Annunziata, madre badessa, vive la famosa Monaca di Monza, ovvero Lauragertrude Boldrini. La “signora” prende sotto protezione la giovane e, in men che non si dica, le cambia tutte le declinazioni. Delle Olgettine fa degli Olgettini, di Dudù – il cagnetto di Silvialucia – fa Dudà. E, in rispetto alla parità di genere estesa agli animali domestici, del bue fa una bua (caduto/a vittima delle attenzioni di Egidio – “scellerato di professione”, zoofilo e seduttore di bovini – il/la quadrupede avvia un percorso di coming out verso una nuova identità grazie a Lauragertrude; e, sventurato com’è, se chiamato non risponde).
I TUMULTI DI MILANO
Renzi, intanto, cerca ricovero all’Expo. Il giudice Raffaele Cantone, suo amico, è momentaneamente assente, e il giovane, rimasto per strada, si ritrova coinvolto nei disordini di piazza. Non si tratta dei tumulti dei forni: a infiammare Milano sono le proteste organizzate dalla Compagnia delle Opere. I ciellini, rabbiosi per l’arresto di Ercole Incalza, tentano l’assalto ai negozi di Rolex. Renzi si fa trascinare dalla folla e digita un numero impressionante di tweet in difesa di Maurizio Lupi, criticando la giustizia che sta sempre dalla parte dei gufi e non #cambiamaiverso. Tra i suoi follower, un “birro” in incognito cerca di condurlo in questura, magari per presentarlo come nipote di Barack H. Obama, ma Renzi, stanco, si ferma a Eataly dove il poliziotto viene a conoscenza della sua vera identità e lo denuncia al Griso Farinetti, che lesto arriva – accompagnato dalla Nibbia, cioè Carlotta De Franceschi – e lo trae in arresto.
L’INNOMINATO
Don Rodrigoverdini chiede aiuto all’Innominato, ovvero Giuliano Ferrara, intelligentissimo e finissimo stratega che, questa volta, non indugia nel castello delle proprie teorie e va per le spicce: chiama Lauragertrude e, con l’aiuto dello scellerato Egidio, si fa portare Silvialucia e la trae prigioniera nella propria fortezza, in Toscana. L’Innominato – forgiato com’è nella tempra dei totalitarismi – riflette sulle proprie responsabilità e sulle trame di cui s’è reso autore; cerca anche una risposta ai dubbi che ormai lo assalgono, visti i risultati del primo patto del Nazareno (quello tra il Royal Baby e il Royal Cav.); quando, al sopraggiungere della sera, legge nel volto di Silvialucia la disperazione, vi vede altresì la propria conversione. Preda dei rimorsi, cerca sollievo nel ricordo di quando, giovinetto, nel mausoleo di Mosca, sulla piazza Rossa, vide la Salma imbalsamata di Acciaio, le spoglie del padre della patria sovietica: “Stalin perdona molte cose per un atto antirevisionista”.
IL CARDINALE BORROMEO
L’Innominato trascorre una notte orribile funestata anche dal pianto di Silvialucia, che – dopo aver fatto promessa di non bere più Sanbitter, di non ballare nella tavernetta di Arcore e di non andare più per Bunga – a furia di lacrimare fa gocciare dalle gote anche il cerone. Per l’aere della vallata, intanto, s’odono le campane a festa. È un segno. Il cardinale Federigo Borromeo (antenato di Beatrice), qui impersonato da Giorgio Napolitano, è in visita pastorale. Spinto dall’inquietudine e accompagnato da Emanuele Macaluso, l’Innominato si presenta in canonica per parlargli. E i tre, guardandosi negli occhi, si commuovono al ricordo dei bei piani quinquennali, dei kolchoz e dell’amata Pravda. Le parole più toccanti, sono quelle del Cardinale Borromeo: “Compagni, abbiamo perso tempo con Trotskiy, Kamenev, Zinov’ev e Bucharin. Dobbiamo forse perdere adesso i nostri giorni con una Daria Bignardi, solo per far sposare i due Nazareni riluttanti?”.
LA POSTA
L’Innominato torna alla propria fortezza e libera Silvialucia. Impegnandosi a cambiare vita, Ferrara spedisce Silvialucia a casa di don Ferrante e donna Prassede, ossia Alessandro Sallusti e Daniela Santanchè, coppia di signori milanesi, che finalmente possono accogliere la ragazza, in attesa che venga a prenderla, per portarla con sé, il Matteo giusto: Salvini. La storia non lo dice ma i lanzichenecchi a Cinque stelle sono in agguato, calano dal web e seminano i virus ovunque facendo sballare perfino i sondaggi di Alessandra Ghisleri. I monatti – Luigi De Magistris a Napoli e Vincenzo De Luca in tutta la Campania – assolvono al loro compito abietto: portare il colera informatico in tutte le email per tutte le primarie a venire. Come nel capolavoro Disney di Edoardo Segantini e Giulio Chierchini I Promessi Paperi, più che la Peste, scoppia la Posta.
LA PROVVIDENZA
Nel frattempo, la Provvidenza, attende alla propria opera con da un lato Beppe Grilloche accoglie nel suo motoscafo ormeggiato a Portofino le tante vittime degli hacker, e dall’altro l’Innominato, sempre più fervente testimone del collettivismo socialista deciso a scacciare dalle mura del proprio castello gli ultimi piritolli liberali e sincronizzare finalmente il cronometro con l’orologio del Cremlino.
IL FINALE
A dispetto della peste e della posta, la Provvidenza mette tutto a posto. La storia non lo dice, ma il cardinal Borromeo solleva Silvialucia dal voto di bunghità e benedice l’arrivo di Salvini. La Provvidenza, però, vede proprio lungo: Salvini arriva ma dice no a Silvialucia. Perderà la testa per una bella Tosa di nome Flavia. E partirà per Verona. La storia non lo dice ma di Sergio Mattarella, infine – ossia il cocchiere Pedro che si conduce in carrozza mentre la storia si consuma – non si dice punto nulla.
Ps.Era pronto il convolo. Doveva avvenire fra 33 giorni, 33 ore, 33 minuti e qualche secondo, com’è d’uopo a regola di disneyana parodia. La storia non lo dice, ma è stato Wladimir Luxuria a fornire a Berlusconi la famosa raggiera D&G di spilli d’argento da mettere in testa come Lucia (per il silicone e la tintura, invece, è dotato di suo).
Mentre Renzi, nel ruolo di giovine ammodo, s’è vestito coi panni forniti da Brunello Cucinelli, sarto degli umili in cachemire.