A essere “uno e trino” ci è abituato, visto che nel 2013 ricopriva contemporaneamente gli incarichi di presidente, amministratore delegato e direttore generale dell’Anas. Poi Pietro Ciucci, per raggiunti limiti di età, decise di autolicenziarsi da quest’ultima carica assegnandosi una buonuscita di 1,8 milioni di euro comprensiva di indennità di mancato preavviso. Ora però da solo ci resterà non per propria scelta: è successo che martedì anche il terzo componente del consiglio di amministrazione della società che gestisce della rete stradale, Sergio Dondolini, direttore generale del ministero dei Trasporti, ha dato le dimissioni. La seconda, il direttore del dipartimento Debito pubblico del Tesoro Maria Cannata, ha lasciato all’inizio dell’anno. Così ora Ciucci, indagato per abuso d’ufficio per i ritardi e le anomalie nella costruzione della statale Maglie-Leuca, si ritrova da solo a difendere la reputazione dell’azienda a cui fanno capo oltre 20mila chilometri di strade e 905 di autostrade. Azienda finita sotto la lente dell’Autorità nazionale anticorruzione per la vicenda del crollo del viadotto siciliano Scorciavacche e citata più volte nell’ordinanza dell’inchiesta Sistema, quella che ha portato all’arresto dell’ex capo struttura di missione delle Infrastrutture Ercole Incalza e alle dimissioni del ministro Maurizio Lupi.

“Questa azienda non ha niente a che fare con le tangenti, siamo citati in tre paginette su 268, ma non ci sono fatti corruttivi, solo telefonate intercettate”, sostiene il manager in un’intervista a Repubblica. Le “paginette” sono quelle in cui si legge dell’affidamento all’ingegnere pigliatutto Stefano Perotti dell’incarico di direttore dei lavori di un macro lotto della A3 Salerno-Reggio Calabria e di un anticipo di tre mesi della consegna del viadotto sulla Palermo-Agrigento – che avrebbe poi ceduto in diversi punti subito dopo l’inaugurazione – “per fare prendere un premio a impresa e dirigenti”. “Nessun fatto corruttivo”, ribadisce Ciucci, promettendo querela contro Salvatore Adorisio, ad di una società di Incalza e Perotti, che nelle intercettazioni parla di “un giro di bustarelle che fa paura”.

Il grande boiardo di Stato, ex amministratore delegato della Società per lo Stretto di Messina, rivela poi che da anni si sta “battendo per introdurre il profilo reputazionale negli appalti”, ma “niente, parlo al vento. Siamo ostaggi delle grandi aziende, è questa la verità. E se seguiamo la legge, come l’Anas fa pedissequamente, ci riduciamo all’impotenza”. Ben venga allora il piano anticorruzione nelle partecipate pubbliche lanciato dal governo attraverso il braccio armato dell’Anac di Raffaele Cantone. Anzi, “noi, all’Anas, lo abbiamo introdotto da anni. Proteggiamo chi denuncia, controlliamo lettere e mail di segnalazione, anche quelle anonime. I nostri audit e i nostri bilanci passano tutti gli esami della Corte dei conti”. L’Anac però, nella relazione sullo stato di attuazione della statale 640 tra Agrigento e Caltanissetta, ha criticato il modus operandi di Anas, sottolineando che ha rinunciato a qualsiasi contenzioso nei confronti del contraente generale per i ritardi sui tempi della presentazione della progettazione esecutiva… “Facciamo opere complicate, rischiose”, è la replica di Ciucci. “E le procedure portano via molto più tempo dell’esecuzione dei lavori”. Non solo, “il nuovo codice degli appalti in dieci anni ha subito seicento modifiche, mi dice lei come si fa a lavorare così?”.

Quanto agli uomini al centro del Sistema scoperchiato dall’inchiesta di Firenze, il presidente e ad senza consiglieri spiega che con Incalza ha “lavorato a lungo” e “non mi ha mai fatto una pressione”. Mentre Perotti “appena ho letto i giornali l’ho cacciato, prima non avevo motivo”.

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