E se guardassimo, per una volta, una mostra fotografica al di là delle foto che contiene? Allestire una mostra fotografica significa, anzitutto, porre le immagini in relazione con l’ambiente che le ospita. Significa darle un ritmo, farla ‘scorrere’ con un valore aggiunto nella proposta di lettura e di percezione.
Se non c’è una visione lunga (e larga) su come ‘confezionare’ la mostra stessa, si rischia di depotenziare il valore dell’autore e delle sue immagini. Diamo pure per assodata la qualità della materia prima – le fotografie –, ma vogliamo parlare anche del ‘vestito’ che la mostra indossa?
Dunque, ammesso e non concesso di disporre di budget adeguati, è opportuno – per così dire – chiedere aiuto a un buon sarto. Uno ‘stilista’ che prende le misure al corpus fotografico, esplora gli spazi e, forte di un bagaglio insieme estetico, artigianale, tecnico e culturale, gli cuce addosso un abito ad hoc.
E’ appena stata inaugurata, per fare un esempio, la mostra Italia Inside Out (a Milano, Palazzo della Ragione, fino al 21 giugno) e chi può vada a vederla. Anche – appunto – per il suo sorprendente allestimento. Si tratta di una visione sull’Italia, un affresco a più mani e più occhi, quelli di alcuni tra i migliori fotografi italiani selezionati da Giovanna Calvenzi, photo editor di lungo corso tra i più appassionati e competenti; ma quello che qui vogliamo considerare è lo spiazzamento sorprendente che ci avvolge inatteso, tutto legato alla soluzione espositiva, all’abito. Impensabile descriverlo a parole, va vissuto in prima persona, essendo un’esperienza sensoriale, un’atmosfera in cui immergersi, un viaggio da fare… magari in treno.
Chi ha materializzato questo percorso si chiama Peter Bottazzi, non nuovo ad allestimenti ricchi di suggestioni ma sempre appropriati rispetto ai luoghi e alle immagini. Ancora lui è, infatti, l’equilibrista dietro la grande mostra dedicata a Steve McCurry in corso a Monza (Villa Reale, fino al 6 aprile). Qui la soluzione di allestimento parte da un vincolo dato: un lungo e costoso restauro ha da poco restituito alla fruizione pubblica le antiche sale del piano nobile e dunque, per evitare danni, qualsiasi utilizzo di quegli spazi non può prevedere alcun intervento sulle pareti.
Ecco allora che – di necessità virtù – Peter Bottazzi ha realizzato qui un macchinoso e immaginifico (in senso quasi leonardesco) allestimento che vede le fotografie sospese e aggrappate a strutture di legno appositamente realizzate. Si crea un percorso ‘anticamente interattivo’, con foto che vivono tra gli spettatori e con gli spettatori, in una sorta di teatralizzazione dove arredi, quadri, stucchi, porte e specchi delle sale diventano la scenografia.
Naturalmente esistono autori e progetti che richiedono, al contrario, un approccio minimalista, quasi etereo, fatto di sottrazione, ma solo un’acuta sensibilità estetica potrà suggerire la soluzione più adatta di volta in volta.
Visitando mostre fotografiche si incontrano statisticamente, in tema di allestimento, alcune proposte riuscite, altre fallite, molte neanche tentate.
E mentre si chiede alla fotografia di aprirsi sempre più a una visione contemporanea e trasversale, visionaria e concettuale, fino a sussurrare da parte di alcuni che perfino il fotogiornalismo può virare verso la ‘messa in scena’ (è di questi giorni il ‘caso Troilo’ al World Press Photo), quasi sempre di contro ci si continua ad accontentare di mostre senza un pensiero di editing e senza una formula espositiva calzata su quelle specifiche foto e solo su quelle, su quello specifico autore e solo su quello, in quello specifico spazio e solo in quello.
In definitiva, la tinta di una parete, il materiale di una cornice, la scelta del formato delle stampe le une rispetto alle altre, la loro sequenza, il percorso espositivo, la tipologia dell’illuminazione, gli eventuali inserimenti di altre suggestioni (tappeti sonori, proiezioni, pannelli, installazioni), sono ingredienti da inventare e dosare di volta in volta che possono fare la differenza.
Per rendersene conto c’è solo una cosa da fare: visitando una mostra fotografica, oltre a guardare le immagini esposte, guardate attorno ad esse, guardate attorno a voi. Attivate tutti cinque sensi: la mostra si trasforma in un’esperienza che vi porta da qualche parte o resta un trito allineamento di cornici, solitamente nere? Gli autori di una mostra, insomma, sono sempre due: il fotografo e chi la mostra l’ha concepita. O forse no, sono addirittura tre. E il terzo sei proprio tu mentre la visiti.