Le Guerrilla Girls, le cattive ragazze dell’arte, che da trent’anni irrompono nei musei mascherate da gorilla, sono tornate. Una mostra, al Matadero di Madrid (fino a 26 aprile 2015), celebra il loro attivismo, iniziata a metà degli anni Ottanta, quando hanno cominciato a protestare contro la quasi assenza di donne artiste nelle gallerie d’arte, nei musei e nelle collezioni degli Stati Uniti. Da allora, il collettivo, formato da cinquanta artiste che si sono alternate negli anni e che nascondono la propria identità con il travestimento da gorilla – l’anonimato, spiegano, è un mezzo per rafforzare i messaggi che vogliono trasmettere perché distoglie l’attenzione dalle singole persone – non ha mai smesso di dare battaglia. Il loro marchio di fabbrica è una domanda: “Le donne devono essere nude per entrare nei musei?” E spiegano la provocazione con le percentuali: l‘85% dei nudi presenti nei musei, nella sezione di arte contemporanea, è femminile, ma meno del 5% di chi espone in questi spazi è donna.
A colpi di humour e parodie – usando pseudonimi come Gertrude Stein, Diane Arbus, Tina Modotti, Frida Kalho, Anais Nin – le Guerrilla Girls hanno manifestato il proprio dissenso attraverso la creazione di poster con cui hanno tappezzato i bagni dei musei e le strade di città come New York, Londra, Atene, Bilbao, Montreal, Rotterdam, Sarajevo e Shanghai. Il loro sito www.guerrillagirls.com contiene una serie di messaggi e iniziative irriverenti. “Noi usiamo il senso dell’umorismo per diffondere informazioni, provocare discussioni e mostrare che le femministe possono essere divertenti”, spiegano. Concetto che hanno ribadito in diverse interviste e che è rintracciabile in gran parte del materiale prodotto. Come ad esempio il poster con elencati i pregi dell’essere un’artista donna. Tra questi: “lavorare senza la pressione del successo; essere coscienti che la propria carriera potrebbe decollare dopo gli ottant’anni; essere rassicurate dal fatto che qualsiasi tipo di arte che si farà verrà bollata come femminile; potere scegliere tra carriera e maternità; essere incluse nelle versioni revisionate della storia dell’arte; non dover affrontare l’imbarazzo di essere chiamate geni; potere apparire nelle riviste d’arte con il travestimento da gorilla”.
I loro messaggi e le loro performance sono state ospitate in oltre 90 università e musei. Hanno realizzato installazioni per la Biennale di Venezia e progetti di strada in giro per il mondo. Sono state citate e intervistate dai principali media americani e internazionali. Oltre ai manifesti, hanno anche creato libri come Bitches, Bimbos and Ballbreakers: The Guerrilla Girls’ Guide to Female Stereotypes (Stronze, oche e rompiscatole: la guida delle Guerrilla Girl’s agli stereotipi femminili), che descrive come i pregiudizi sulle donne sono cambiati nel corso delle diverse epoche e The Guerrilla Girls’ Art Museum Activity Book (L’activity group delle Guerrila Girls al museo d’arte), un libro scherzoso di esercizi, con test paradossali. Dopo trent’anni di attività le cattive ragazze dell’arte non sembrano ancora stanche e spronano chiunque ne avesse voglia a imitarle: “Servono più lamentele creative, fatti, umorismo e pellicce finte – scrivono sul loro sito. – E ancora: più apparizioni, azioni e lavori creativi”. E aggiungono: “Noi possiamo essere chiunque, noi possiamo essere ovunque”.