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Isis e rivoluzioni: come interpretare cosa succede nel mondo arabo musulmano?

Cosa succede nel mondo arabo musulmano? Le cronache sono piene di notizie di morte, sunniti contro sciiti, sciiti contro sunniti, musulmani contro cristiani, schegge impazzite della galassia del terrorismo che attaccano turisti anche in quei paesi dove la situazione sembrava apparentemente meno problematica. Di fronte a questi avvenimenti, noi europei ci siamo scoperti frastornati, abbiamo dato libero sfogo alla paura, alla preoccupazione ingigantendo talvolta le pur gravi azioni di qualche scellerato. La nostra memoria ci ha trovato impreparati e non ci ha aiutato a capire fenomeni che sono accaduti anche da noi molto tempo fa. Nel sedicesimo secolo in Europa, dopo la Riforma protestante e lo Scisma anglicano, abbiamo anche noi scatenato guerre di religione. Ad esempio, la notte di San Bartolomeo, (agosto 1572) nella quale i cattolici uccisero in Francia migliaia e migliaia di ugonotti, i protestanti seguaci di Calvino. Questi eccidi non avvenivano solo perché erano in corso astratte dispute religiose, ma anche, come avviene oggi, per interessi di potere. Il richiamo a questi episodi del passato hanno la funzione di contestualizzare meglio la narrazione della stessa cronaca.

Sono convinto che oggi, l’opinione pubblica è stata lasciata sola a districarsi tra le analisi dei politici improntate spesso al catrastrofismo: “Siamo pronti a fare la nostra parte” senza dire che cosa significa, e i media che hanno captato e drammatizzato il disorientamento rigettandolo sul pubblico. Resta il fatto che quello che sta succedendo non è di facile lettura; e uno sguardo diacronico può essere utile per offrire una lettura razionale dei fatti e indirizzare meglio la nostra azione sulla base di questi elementi.

Le rivoluzioni che hanno investito il mondo arabo musulmano nel 2011 hanno visto l’Unione Europa assente. Essa si è barcamenata tra Michèle Alliot-Marie, ministro degli interni francese che proponeva al dittatore tunisino Ben Ali di fornirgli assistenza per la repressione della “marmaglia” che voleva cacciarlo, e la signora Catherine Ashton, Alto rappresentante degli affari internazionali dell’Ue, che scriveva sui giornali le sue lezioncine su cosa bisognava fare per raggiungere la democrazia. Nessuna azione concreta di accompagnamento che aiutasse le forze del cambiamento a consolidarsi, nel rispetto delle scelte che ogni paese poteva fare. Paralisi quindi, perché una volta saltate le certezze con cui l’Ue gestiva i rapporti con il sud del Mediterraneo – mantenendo i dittatori al loro posto perché garantivano stabilità e freno all’immigrazione clandestina, accettando tacitamente lo spregio delle libertà democratiche – come doveva, l’Ue, posizionarsi rispetto alla rivoluzione? Tutti gli schemi mentali di un vecchio modo di intendere la politica erano saltati e al suo posto, ancora oggi non si vede un indirizzo nuovo. L’Europa deve rivedere la sua politica mediterranea, non può archiviare ad esempio sic et simpliciter la Dichiarazione di Barcellona o ignorare il fallimento dell’Unione per il Mediterraneo voluta dalla Francia nel 2008.

A mio avviso, dopo un travaglio lungo che chiama in causa la politica degli stati europei e il colonialismo, la definizione arbitraria dei confini attraverso i quali si sono stati creati gli stati alla caduta dell’impero ottomano, i tentativi anche maldestri della politica degli arabi di scrollarsi il peso delle potenze che dicevano agli uomini di paglia messi là a governare cosa dovevano fare, le rivoluzioni del 2011 sono state le levatrici che hanno favorito questo parto che sta sotto i nostri occhi.

Ora qualcuno dei miei lettori potrà dire: basta con queste lagne sul colonialismo, dobbiamo abbandonare questo senso di colpa e guardare avanti. Giusto, ma non possiamo sapere dove andiamo se non sappiamo da dove veniamo. L’Europa ha saputo tessere una politica della memoria a proposito dell’Olocausto. Le parole “Mai più” sono ormai segnate nella nostra memoria, anche se non dobbiamo abbassare la guardia. E per la nostra storia coloniale? La formazione di una coscienza collettiva a proposito di questo passato ci permetterebbe, forse, di interpretare gli avvenimenti odierni in un’altra prospettiva. Tutto ciò non toglie nulla alla necessità di un’azione di prevenzione e di sorveglianza per affrontare altri omicidi procurati da cani sciolti o cellule dormienti. Ma tutto ciò, per quanto grave, non ha nulla a che fare con la propaganda dello Stato islamico che minaccia di prendere Roma. Non possiamo essere asserviti alla paura. Dobbiamo districarci in una grande confusione, tra messaggi contraddittori e capire che forse quei crimini che sono stati commessi ultimamente non sono state programmati né da Al Qaeda né dal Califfato, ma rivendicato da tutte e due.