Per la famiglia Sinopoli è diventata una battaglia perché nessun altro operaio si faccia male. Ora a dare peso alle loro denunce sui presunti difetti di quel macchinario ci sono le relazioni della polizia giudiziaria e poi le parole di un pubblico ministero. Pasquale Sinopoli e sua sorella Teresa dal 6 febbraio 2013, giorno in cui il loro fratello Christian morì, lottano perché la macchina che lo ha ucciso sia ritirata dal commercio o modificata. A lottare c’è anche Ilaria, la compagna con cui Christian ha avuto due figlie, una nata un mese dopo la morte del papà. Il ragazzo, 37 anni, veniva da Formigine, a due passi da Modena, e lavorava dal 2001 per la System Logistics di Fiorano, che esporta in tutto il mondo i suoi magazzini verticali automatici, giganteschi armadi con i cassetti mobili, utilizzati dalle più importanti imprese del mondo. Proprio mentre controllava uno di questi Christian è rimasto con la testa schiacciata da un cassetto. “Quel macchinario ha già causato due morti”, spiega Pasquale Sinopoli. L’azienda, contattata da ilfattoquotidiano.it difende il prodotto: “Per quanto riguarda i magazzini Modula la System Logistics evidenzia che tutti i macchinari prodotti e venduti dall’azienda sono stati ritenuti dallo Spisal e dal Ministero per lo sviluppo economico conformi ai requisiti di sicurezza previsti dalle Direttive della Comunità europea”.

L’incidente risale al 6 febbraio 2013. In un capannone a Vicenza due operai stanno finendo di montare il Modula Sintes1 1.7 (questo è il modello della macchina in questione), ma si accorgono che fa strani rumori. Subito i due (che non sono dipendenti della System) chiamano l’azienda produttrice che manda uno dei suoi migliori tecnici, Christian Sinopoli. Tolto il riparo laterale sinistro della macchina, Sinopoli chiede a uno dei due operai di andare sull’altro lato, dove si trovava la pulsantiera, e di premere il bottone per fermare il test della macchina. Questa, prima di arrestarsi, dovrebbe girare per un po’ fino a riposizionarsi, ma succede una cosa inattesa: dopo pochi istanti si blocca. Avvicinatisi per vedere che cosa sia accaduto i due operai trovano Sinopoli con la testa incastrata nel macchinario.

I due ispettori dello Spisal, ufficio della azienda sanitaria che opera anche come polizia giudiziaria, a quel punto fanno rapporto alla Procura di Vicenza. Con due ipotesi: Christian forse è inciampato mentre si avvicinava, o forse l’altro operaio ha rimesso in moto per sbaglio i cassetti. Secondo gli ispettori tuttavia “la causa dell’infortunio è da individuare nel fatto che il test di collaudo può essere eseguito solo con la macchina in funzionalità automatica cioè senza sicurezza migliorata e soprattutto può funzionare con i ripari laterali aperti”.

C’è poi un fatto importante anche secondo il pubblico ministero Paolo Pecori. A segnalarlo è ancora lo Spisal: un incidente del 2005, “con una dinamica molto simile” e sempre con un macchinario Modula, in cui morì un collega di Christian. Allora le indagini a Modena furono archiviate. Ora il pm vicentino torna sul caso: l’azienda avrebbe ignorato “i segnali di pericolo provenienti da un infortunio mortale avvenuto con analoghe modalità”, si legge nell’avviso di conclusione indagini. La famiglia Sinopoli (difesa dall’avvocato Edoardo Bortolotto) non si dà pace: “Se dopo il primo caso fosse cambiato qualcosa, forse nostro fratello sarebbe ancora vivo”, spiega Pasquale. Nelle memorie difensive presentate in Procura a Vicenza, l’ad della System Luigi Panzetti spiega che dopo quella morte nel 2005 nessuno chiese miglioramenti alla sicurezza del macchinario. Miglioramenti che, sostiene la difesa, furono comunque fatti dall’azienda prima del 2013.

Tuttavia secondo il pm (che ha recentemente chiesto il rinvio a giudizio per Panzetti con l’accusa di omicidio colposo, e del legale rappresentante Franco Stefani per illecito amministrativo) quel macchinario il 6 febbraio 2013 aveva dei difetti: tra questi, si legge nell’avviso di conclusione indagini, l’assenza di un sensore che lo bloccasse all’apertura della paratia laterale e quella di un segnale acustico.

L’azienda System intanto, contattata da ilfattoquotidiano.it, si è limitata a spiegare che il ministero per lo Sviluppo economico e lo Spisal li hanno ritenuti “conformi”. Eppure lo Spisal, pochi mesi dopo la morte di Christian, aveva segnalato al ministero la “presunta non conformità” della macchina. L’azienda, interpellata dal Ministero, si era difesa sostenendo che per l’utente finale, cioè il cliente, il Modula è sicuro. E questo lo dice anche lo Spisal nel suo rapporto.

Ma nello stesso rapporto si segnalano soprattutto i problemi di sicurezza per chi, come Christian, monta, ripara o fa manutenzione della macchina. La difesa dell’azienda di fronte a queste critiche è strettamente giuridica: secondo un decreto legislativo del 2008, durante il collaudo gli ispettori non avrebbero avuto diritto di segnalare all’autorità nazionale di sorveglianza (cioè in questo caso al ministero), le eventuali irregolarità. Potevano farlo solo se la macchina fosse stata in servizio. Ma siccome la macchina che uccise Sinopoli non era in servizio, ma in collaudo, il ministero chiude la pratica e dà ragione all’azienda senza entrare nel merito dei rilievi sulla sicurezza mossi dallo Spisal. E poi, scrive il funzionario ministeriale, il collaudo lo fanno solo gli operai della System Logistics.

Ma Pasquale Sinopoli non ci sta: “Christian era uno dei migliori operai della System, era formato sulla sicurezza, eppure è morto lo stesso”. I familiari chiamano in causa la Direttiva macchine, la legge europea sui macchinari, che sancisce come questi debbano funzionare in sicurezza dalla fase di montaggio sino alla rottamazione. E ora sperano nel processo. Spiegano di non avere voluto accettare una trattativa per avere un risarcimento prima. In cambio avrebbero dovuto rinunciare a costituirsi parte civile: “A noi interessa che chi ha sbagliato paghi e che vengano messe a norma le macchine”, spiega Pasquale. L’azienda dal canto suo dice di attendere gli esiti del procedimento penale e “ritiene che in tale sede saranno accertati i fatti”.

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