Quando i parlamentari vogliono menare il can per l’aia utilizzano solitamente due strumenti: la commissione parlamentare d’inchiesta e la richiesta del parere.
Alla prima si ricorre di solito per le grandi tematiche. Abbiamo la mafia, per esempio. Un problema storico e a quanto pare irrisolvibile. Potevamo non avere una commissione d’inchiesta antimafia? Infatti, ce l’abbiamo e pure permanente visto che si riproduce di legislatura in legislatura. Come la mafia medesima, d’altra parte, che permane e prolifera nonostante le estenuanti audizioni della commissione anti, le indagini, le acquisizioni di rapporti e documenti riservati, le missioni nazionali e internazionali degli estenuati commissari, la grande mobilitazione di mezzi e risorse, la proliferazione d’indirizzi politici e mezzi giudiziari.
Il caso Moro è un’altra questione grave. Sono passati quasi quarant’anni dal sequestro e dall’uccisione del leader democristiano e nonostante le numerose inchieste e processi non siamo riusciti a strappare la verità su aspetti importanti della vicenda. Cosa facciamo allora? Ci facciamo sopra la solita commissione parlamentare d’inchiesta che, tra un annuncio e l’altro di clamorose novità, riuscirà sicuramente a riempire qualche pagina di giornale e a farci brancolare nel buio nei prossimi decenni.
Poi ci sono i pareri. Che le Eccellenze Loro sembrano chiedere agli esperti proprio per non arrivare a prendere una qualche decisione. Già, perché quando vogliono una cosa, anche sbagliata, deputati e senatori decidono e basta. Come è capitato per la legge elettorale più vergognosa del pianeta, il famoso Porcellum: Silvio Berlusconi e soci per introdurla non ebbero bisogno di tante consulenze.Volevano la legge e la decisero.
Quando invece pare proprio non vogliano arrivare ad una conclusione, ecco la richiesta di parere proliferare miracolosamente tra gli scranni. Come sta capitando in questi mesi con la cancellazione dei vitalizi per gli ex parlamentari condannati. Ormai anche i muri di Montecitorio e Palazzo Madama lo sanno: per revocare gli assegni pensionistici a questi manigoldi e indegni basterebbe, in forza della famosa autodichia (legislazione interna delle Camere), una semplice delibera dei due uffici di presidenza di Montecitorio e Senato. Solo che così facendo si colpirebbero gli interessi di tanti amici e amici degli amici che, tra una condanna e l’altra, quei privilegiatissimi trattamenti riscuotono da anni.
Si mena perciò il can per l’aia con i benedetti pareri. L’ideale è che siano discordi. E difatti. Il Senato ha ingaggiato il giurista Cesare Mirabelli, che ha concluso che quei vitalizi non si possono toccare, mentre il consulente scelto dai vertici della Camera, Valerio Onida, è giunto a sostenere che gli assegni dei condannati si possono tagliare eccome, ma a una condizione: che non siano i soli perché per farlo andrebbero rivisti anche quelli di tutti gli altri parlamentari.
Onore al merito, in mezzo e con decisione si è collocato il presidente Grasso, che il parere se l’è scritto da sé arrivando a posizioni del tutto diverse e chiarendo, come sostiene anche il questore Laura Bottici del Movimento 5 Stelle, che gli assegni non sono intoccabili e che gli uffici di presidenza possono decidere sul taglio quando e come vogliono.
Morale: mentre resta da evadere l’ulteriore richiesta di parere dei capi dei gruppi parlamentari presenti in Senato, la confusione regna sovrana. Proprio come in Parlamento vogliono coloro che non desiderano decidere, ma solo e sempre tirare a campare.
@primodinicola