C’è una scena in “1992” da guardare facendo un esperimento mentale. Marcello Dell’Utri attraversa i corridoi di Publitalia e si ferma davanti a un maxischermo: in Sicilia la mafia ha appena ammazzato Salvo Lima. Dell’Utri, interpretato da Fabrizio Contri (il migliore del cast), si ferma un attimo di troppo. Osserva gli schermi, non dice una parola, si gira e continua la sua giornata di lavoro, ma in quell’attimo di riflessione c’è come un’ammissione: Dell’Utri sa, capisce, conosce la Mafia perché di quell’intreccio tra Cosa Nostra e politica è molto più che un osservatore.
Ecco, ora fate l’esperimento mentale: provate a immaginare quella scena trasmessa invece che su Sky Atlantic (va in onda stasera) su Rai1, Rai2, Rai3, una qualunque rete Mediaset, o perfino su La7. Difficile, vero? Altrettanto ostico immaginarla su Sky qualche anno fa, quando Dell’Utri invece che le carceri frequentava il Senato della Repubblica e Silvio Berlusconi decideva i destini di politici, giornalisti e italiani tutti. La serie ‘1992’, nata da un’idea di Stefano Accorsi e diretta da Giuseppe Gagliardi, racconta l’Italia con la sua sola esistenza, ancora prima dei (notevoli) titoli di testa. E’ una serie che si può fare soltanto adesso, pur con qualche rischio e con inevitabili code polemiche, e soltanto su una televisione satellitare che, per quanto in crescita, non è certo mainstream e sfugge a quella cappa che avvolge la tv generalista e impone soltanto fiction su Papi e biopic da insulina.
Tra i tavoli del buffet che ha seguito la proiezione dei primi due episodi, lunedì sera a Roma, c’erano reazioni sfumate. Nessuno entusiasta, nessuno completamente negativo, tutti un po’ sospesi. Luca Barbarossa, vincitore di Sanremo nel 1992 e invitato da Sky per un revival a tema, non ha smosso un clima incerto. Perché è quasi impossibile guardare ‘1992’ senza un certo disagio. I critici o i protagonisti dell’epoca potranno trovare un milione di difetti: non ha lo stesso ritmo di ‘Gomorra‘, non è altrettanto estrema, l’equilibrio tra fiction e realtà può confondere (ci sono personaggi veri, che fanno cose verosimili insieme ad altri di pura finzione che però assomigliano ad altri che, per discrezione o per evitare problemi legali non si potevano citare), il livello dei dialoghi oscilla, gli esperti della materia hanno già notato mille imperfezioni nel racconto del pool di Mani Pulite e i poliziotti fanno alcune cose che neanche l’ispettore Callaghan. Ma nell’insieme il prodotto funziona e resta a una distanza siderale dalle fiction per famiglie delle tv generaliste.
No, il disagio ha un’altra origine: deriva dal vedere su piccolo schermo la nostra storia recente. Vengono domande come “ma si può davvero citare Publitalia in una fiction senza avere grane legali?” ed è normale immaginare Silvio Berlusconi che scherza con uno sconosciuto oltre il muro della toilette, come si vede durante una convention noiosa? Siamo così poco abituati a vedere la nostra storia raccontata anche nelle sue ombre che quasi disturba. E’ vero, c’è stato il cinema di Elio Petri e Francesco Rosi che ha denunciato e raccontato, e in questi anni Marco Tullio Giordana – da ‘Pasolini’ alla ‘Meglio Gioventù’ a ‘Piazza Fontana’ – si è concentrato su alcuni snodi oscuri.
Ma ‘1992’ parla di personaggi ancora vivi e, chi più chi meno, attivi. Soprattutto, presuppone una specie di lettura condivisa della storia recente che non era affatto scontata fino a pochi anni fa (quando un premier poteva dire che i giudici sono “antropologicamente diversi” dal resto della razza umana). In sintesi: i magistrati sono buoni, la televisione berlusconiana ha corrotto l’immaginario collettivo e la politica, l’ascesa del Cavaliere si lega alla corruzione e alla mafia. Verità storiche, ma ancora impronunciabili in molti salotti televisivi dove bisogna sempre nascondersi dietro forme come “c’è chi dice che” e “presunti legami con boss”.
La scelta di ‘1992‘, almeno per quello che si capisce nelle prime due puntate, non è di fare una ‘contro-storia’ di Mani Pulite e neppure di darne una rappresentazione definitiva iperrealistica precisa fino al minimo dettaglio, di denuncia. Non è neppure una produzione ‘impegnata’ nel senso polveroso del termine. Anzi, sembra dare per scontato che le cose sono andate in un certo modo (i magistrati sono le guardie, i corrotti i ladri, senza grandi sovrastrutture sociologiche) e questo è, a modo suo, rivoluzionario in un Paese come l’Italia che continua a dividersi tra mille revisionismi.
Non è difficile immaginare che Sky avrà qualche problema per queste scelte autoriali. ‘Gomorra’ o ‘Romanzo Criminale‘ scandalizzavano qualche moralista che temeva effetti emulativi. ‘1992′ invece può turbare o indignare molte più persone, non soltanto quelli che contestano dettagli non fedeli alla realtà (tipo l’accento di Di Pietro). C’è il leghista animalesco e semianalfabeta che si ritrova in lista per il Parlamento soltanto perché ha picchiato qualche albanese, o l’industriale del bricolage che compra gli spot di ‘Non è la Rai’ perché viene convinto dal giovane pubblicitario (Stefano Accorsi) che quelle ragazzine saltellanti eccitano le fantasie dei padri molto più che quelle delle figlie. E la moda, non ancora passata, delle scuole alternative e costose da ricchi viene ridicolizzata raccontando le lezioni della scuola steineriana frequentata dalle figlie di Berlusconi. Ma soprattutto è facile aspettarsi che il gruppo Fininvest, tuttora il principale concorrente di Sky nel segmento della tv a pagamento, non gradirà di essere al centro della più grossa produzione stagionale dell’azienda di Rupert Murdoch.
Alla distanza ‘1992’ può crescere o sgonfiarsi, a seconda che gli elementi di pura fiction oscurino il racconto del Paese o che, invece, l’accumularsi di dettagli inizi a diventare più interessante delle peripezie di poliziotti, starlette, e improvvisati politici che sono i cardini attorno cui si snoda il racconto. ‘1992’ non è un prodotto perfetto e non diventerà di culto come altre fiction Sky, ma andava fatto. E ha dimostrato che questo tipo di serie si possono – e forse si devono – girare anche in Italia.
La prossima volta che Rai1 farà un santino di qualche Papa in due puntate o celebrerà qualche vecchio ciclista in bianco e nero, o quando Mediaset ci infliggerà altri carabinieri o poliziotti pieni di buoni sentimenti, avremo una ragione in più per indignarci.