Ancora una volta, gli scritti dei grandi meridionalisti del passato trovano un riscontro perfettamente congruente in studi e ricerche attualissimi. Francesco Saverio Nitti, politico lucano e grande esperto di finanze, ne “Il bilancio dello Stato dal 1862 al 1897” sostenne che l’Italia del Regno delle Due Sicilie portava in dote “minori debiti e più grande ricchezza pubblica”, fino a ricordare che nel primo periodo si ebbe un notevole “esodo di ricchezza dal Sud al Nord”.
Dunque, al contrario di quanto – purtroppo – si continua a leggere e dire a sproposito circa l’incapacità – persino genetica – delle genti del Sud di produrre sviluppo e progresso, lo scenario senza veli e pregiudizi è ben diverso: gli Stati preunitari versavano in condizioni tra loro affini, se non congruenti. La grande soluzione di continuità che innescò la creazione e l’accrescimento del divario tra Nord e Sud del paese furono proprio il processo di unificazione risorgimentale e, soprattutto, le successive politiche in materia di industrializzazione e infrastrutturazione.
In “La finanza italiana e l’Italia meridionale”, ancora Nitti: “Nei venti anni che seguirono l’unità, le più grandi fortune furono fatte quasi esclusivamente dagli imprenditori di opere di Stato: e fra essi non vi erano quasi meridionali, come un documento parlamentare, presentato dall’on Saracco, dimostra a evidenza. La situazione della Valle Padana ha reso più facile la formazione delle industrie, cui la politica finanziaria dello Stato, in una prima fase, e in una seconda le tariffe doganali, hanno preparato l’ambiente; di quasi tutte le industrie di cui lo Stato italiano negli ultimi trenta anni ha voluto assumere la protezione, nessuna quasi è meridionale: dalla siderurgia allo zucchero, dalle industrie navali alle industrie tessili, ecc., tutto è nelle mani degli stessi gruppi capitalistici”.
E questa è, come si suol dire, storia nota. Cosa oltremodo interessante è scoprire come recenti ricerche condotte dai ricercatori Vittorio Daniele (UniCz) e Paolo Malanima (Cnr) abbiano portato nuovi riscontri scientifici a quanto sosteneva Nitti. Un loro articolo molto interessante del 2013, riporta una indagine accurata inerente la nascita e l’evoluzione delle disparità regionali nel nostro paese. Il divario economico tra Nord e Sud come noi lo conosciamo nacque solo alla fine dell’Ottocento. Nel 1861 tutto il paese unificato presentava prevalentemente una economia preindustriale (64% di lavoratori in campo agricolo, la restante parte suddivisa tra industria e servizi). I due scienziati riportano una assenza di differenze significative nello sviluppo industriale, per tutto il primo decennio successivo all’unificazione. Il grafico che riporto, (con il consenso degli autori), mostra chiaramente come il numero dei lavoratori impiegati nell’industria fosse sopra la media nazionale in Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Campania e Sicilia. Già nel grafico che fotografa la situazione del 1911 si assiste alla formazione del “triangolo industriale” in Nord-Ovest.
Nel 1891, solo il 19% dei lavoratori era impiegato nell’industria (21% al Nord e 16% al Sud). Dunque, il divario industriale era ancora esiguo su base territoriale. Vi erano regioni più e meno industrializzate in tutte le zone del Paese. Nell’articolo viene specificato che la prima grande ondata di emigrazione coinvolse oltre 5 milioni di cittadini italiani provenienti prevalentemente da Veneto, Venezia Giulia e Piemonte, (“relatively underdeveloped areas of the North”). Dopo il 1900, prevalse il numero di emigranti provenienti dal Sud. La concentrazione di industrie nel Nord del Paese si accentuò nel periodo tra le due Guerre. I dati relativi al reddito pro capite sono congruenti con quelli inerenti l’occupazione nell’industria.
L’immagine di sopra mostra come, rispetto alla media nazionale, il Gdp (cioè Pil) su base regionale era distribuito in modo diverso da come avremmo potuto immaginare: al Sud solo la Calabria e la Basilicata presentavano un Pil pro capite inferiore alla media nazionale, nel 1891. L’ultima immagine che ho tratto dal lavoro di Daniele del 2013, mostra in modo palese come la situazione sia drammaticamente peggiorata in termini di polarizzazione “geografica”, nel corso dei decenni. A 150 anni dall’unificazione, lo scenario è quello che si legge, senza bisogno di commenti, nel grafico sottostante.