Di chilometri Sergio Lovrinovich ne fa circa trentamila l’anno. Poca roba, perché spesso usa l’aereo e perché il caporedattore della guida Michelin si muove molto meno rispetto ai suoi colleghi. I ‘mitici ispettori’, invece, ogni anno si sciroppano circa ottocento visite ad alberghi e ristoranti, assaggiando i piatti, controllando le stanze, guardando come vengono serviti gli altri clienti, ispezionando i centri benessere e gli altri servizi dell’albergo. Il tutto in incognito, con prenotazioni sotto falso nome e un anonimato che può scomparire, solo a volte, rigorosamente quando il conto è stato saldato è c’è bisogno di qualche informazione supplementare.
“Per la guida Michelin l’anonimato è fondamentale – precisa il caporedattore -. Perché dobbiamo essere nelle stesse condizioni nelle quali si troveranno i nostri lettori, che sono i clienti tipici di questo tipo di strutture”. E’ mai capitato di essere scoperto? “Qualche è volta. Ma non ho mai sentito pressioni da parte della cucina. Noi dobbiamo essere liberi di ordinare qualsiasi piatto, anche quelli ‘minori’ e non dobbiamo limitarci ai piatti migliori dello chef”. “Dopo il pernottamento in albergo e le prime valutazioni – spiega Lovrinovich – la giornata inzia con la colazione e una visita alla struttura”. Accoglienza, posizione dell’hotel, pulizia, livello dei servizi e il prezzo sono alcuni dei parametri presi in esame dall’ispettore che, in sostanza, deve rispondere a una domanda: “Consiglieresti questo albergo a un amico?”.
A pranzo è il ‘momento del ristorante’: l’ispettore valuta il menu, il rapporto qualità-prezzo, servizio, stagionalità dei prodotti, lista dei vini. E mentre aspetta guarda cosa succede negli altri tavoli. Se qualcuno si lamenta o il servizio è poco efficiente. Ordina almeno tre piatti che, per i ristoranti ‘top’, diventano anche quattro o cinque. Il ristorante sarà valutato anche a cena, perché bisogna testare il maggior numero di piatti presenti in menu per capire “le qualità tecniche dello chef e se la qualità generale è costante”.
Spesso con gli studi di una scuola alberghiera alle spalle, l’aspirante ispettore deve seguire un percorso di formazione di 6-12 mesi dove impara le regole della casa e come si valuta una struttura. Poi parte l’affiancamento con il collega esperto fino a quando è libero di addentrarsi in menu e stanze d’albergo. Alla fine di ogni visita compila un report e tutto sarà poi esaminato insieme ai colleghi per decidere se una struttura può entrare o meno nella guida o, addirittura, ricevere qualche stella.
Il lavoro sul campo è abbinato a una continua fase di “scouting” grazie agli albergatori che segnalano le aperture di nuovi ristoranti nella zona, alle indicazioni dei clienti, alle auto candidature e alle infomazioni che arrivano dagli uffici turistici. “C’è sempre qualcosa da scoprire. Il livello medio è in crescita e oggi lo chef non è più solo un dipendente, ma spesso tenta l’avventura imprenditoriale”. E vuole arrivare a quella benedetta stella. Forse perché siamo nell’era di Trip Advisor e dei commenti alla portata di tutti, Lovrinovich assicura che gli chef sono contenti di ricevere la visita degli ispettori. Salvo poi lamentarsi se il verdetto non è quello che speravano. Quando esce la guida infatti quelli che non ce l’hanno fatta a volte si lamentano, chiedono speigazioni. E allora tocca a Lovrinovich rispondere e, senza rivelare i voti, indicare in termini generici le aree lacunose. Una piccola consulenza che può valere oro.