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Banche Popolari, Montebelluna verso le nozze riparatrici con 1 miliardo di rosso

Veneto Banca e la Vicenza di Zonin di punti in comune sembrano averne più di uno, a partire dai funambolismi contabili. Tanto che ha senso chiedersi se si arriverà all'aggregazione con i conti in ordine o se sarà l'ennesima operazione "di sistema" i cui costi si spalmeranno sulla collettività

I vertici di Veneto Banca lo hanno definito l’anno del “coraggio”per sottolineare la difficoltà delle sfide affrontate nel 2014. Come se l’istituto avesse potuto fare spallucce di fronte ai conti disastrati, alle pressioni della Banca d’Italia e della Bce e alle inchieste giudiziarie. Più realisticamente per la Popolare di Montebelluna si è trattato di un annus horribilis segnato da un aumento di capitale da 474 milioni, dalla conversione in azioni di un prestito obbligazionario da 350 milioni e dalla decisione di cedere la quota di controllo di Banca Intermobiliare e di Banca Ipibi Financial Advisor. Misure importanti, ma non certo sufficienti a mettere in sicurezza la banca, come testimonia la decisione confermata in questi giorni di effettuare ulteriori rettifiche di valore sui crediti, portando gli accantonamenti a 779 milioni, e svalutazioni prudenziali sugli avviamenti per 671 milioni di euro. Mettendo insieme tutto, nel 2014 Veneto Banca ha fatto una “manovra” da circa 2,5 miliardi di euro e – per effetto di rettifiche e di svalutazioni – chiude l’esercizio con una perdita netta “monstre” di 968 milioni di euro. Una cosa mai vista. A fronte di un patrimonio netto dichiarato di 3,74 miliardi di euro, la maxi perdita se ne mangia il 25,8% e il patrimonio netto scende a poco più di 2,77 miliardi, in calo del 7,1% rispetto al 2013. La svalutazione degli avviamenti, sostengono a Montebelluna, ha “impatto solo sulle scritture contabili e senza alcun riflesso su cash flow, liquidità, solidità, coefficienti patrimoniali e redditività prospettica” e sarà senz’altro così.

La svalutazione degli avviamenti, sostengono a Montebelluna, ha “impatto solo sulle scritture contabili e senza alcun riflesso su cash flow, liquidità, solidità, coefficienti patrimoniali e redditività prospettica” e sarà senz’altro così. Tuttavia, al di là delle operazioni straordinarie che hanno portato a una straordinaria perdita d’esercizio, non è che la banca abbia brillato sotto il profilo della gestione ordinaria. Due esempi per capirci: nel 2013 il margine di intermediazione ammontava a 902 milioni di euro (dato pro forma esclusa Banca Intermobiliare che non rientra più nel perimetro di consolidamento di Veneto Banca) e nella relazione degli amministratori veniva salutato come la conferma della “capacità del gruppo Veneto Banca di generare reddito con la propria gestione caratteristica”. Nel 2014 questa capacità si è ridotta e il margine è sceso a 855 milioni (-5,2%). Stesso discorso per le commissioni nette che nel 2014 scendono del 6,6% a 288,4 milioni dai 308,8 milioni del 2013. Se la crisi economica ha avuto sicuramente un suo peso su questi dati negativi, resta comunque la domanda delle domande nel caso di Veneto Banca: com’è che si sono rese improvvisamente necessarie tutte queste svalutazioni e accantonamenti se lo scorso anno l’amministratore delegato Vincenzo Consoli (ora direttore generale) presentava un bilancio 2013 in perdita per 96,1 milioni di euro, sottolineando che detta perdita si era determinata “in attuazione di una rigorosa politica di accantonamenti”? Oggi la perdita è decuplicata, mentre Consoli ci informa che “il risultato 2014 vuole rappresentare il punto di partenza da cui affrontare con ritrovato slancio i prossimi anni”.

La sensazione è che nei prossimi mesi ne vedremo delle belle, specie se – come sembra – Montebelluna e Vicenza decidessero di approfondire l’ipotesi di aggregazione tra le due Popolari che – rivalità a parte – di punti in comune sembrano averne più di uno, a partire dai funambolismi contabili. Sarà interessante mettere a confronto i due piani industriali “stand alone”. Quello di Veneto Banca è stato approvato ma verrà reso noto nei prossimi giorni, mentre quello della Popolare di Vicenza, già disponibile, sembra il frutto di menti molto fantasiose, come del resto è un ipotesi del tutto fantasiosa che di qui a un anno la popolare vicentina continui a marciare da sola. E così vai con previsioni e numeri, come il CET1 ratio “superiore al 13% nel 2019 (superiore al 12% nel 2017)”, per non parlare degli utili che nel 2019 ammonteranno esattamente a 313 milioni (201 milioni nel 2017). Giova ricordare che la banca presieduta da Gianni Zonin ha appena chiuso l’esercizio con una perdita di 758 milioni di euro, svalutazioni per 1,5 miliardi di euro e ha evitato la bocciatura agli stress test della Bce solo grazie a una mossa dell’ultimo istante, cioè la decisione di riscattare anticipatamente un bond convertendolo in azioni, cioè in capitale. Se tra tutte le aggregazioni possibili quella tra Vicenza e Montebelluna pare la più probabile (anche perché nessuna delle due banche è quotata e ciò permetterebbe una maggiore flessibilità nelle valutazioni) ha senso chiedersi se ci si arriverà con i conti in ordine o se sarà l’ennesima operazione “di sistema” cui la politica e gli organismi di vigilanza ci hanno abituato, i cui costi naturalmente si spalmeranno sulla collettività.

Aggiornato dall’autore il 26 marzo 2015 alle 20.49