All’arrivo da un viaggio in Costa Rica, nascosto in alcuni flaconi di bagnoschiuma, i militari hanno infatti trovato un chilo e 200 grammi di cocaina, che secondo l'accusa sarebbero destinati allo spaccio
A 20 anni dall’arresto di suo padre è finito in carcere anche lui. Il figlio di Roberto Savi, capo della Banda della Uno Bianca, è stato arrestato dalla Guardia di finanza in aeroporto a Bologna. All’arrivo da un viaggio in Costa Rica, nascosto in alcuni flaconi di bagnoschiuma, i militari gli hanno infatti trovato un chilo e 200 grammi di cocaina, che secondo l’accusa sarebbero destinati allo spaccio. Arrivati a perquisire la casa le fiamme gialle avrebbero infatti trovato e sequestrato due bilancini di precisione, sostanze da taglio e altro materiale utilizzato per il confezionamento di stupefacenti. Al ragazzo sono stati sequestrati anche due telefoni cellulari e 1.500 dollari in contanti.
Roberto Savi, in carcere dal novembre 1994, tra il 1987 e il 1994, quando era in servizio come poliziotto nella questura di Bologna si macchiò della morte di 24 persone e del ferimento dio oltre 100. A capo della banda della Uno Bianca, composta quasi tutta da poliziotti in servizio (eccetto Fabio Savi, fratello di Roberto), per sette anni il gruppo terrorizzò l’Emilia Romagna con rapine a supermercati e banche che spesso si lasciavano dietro una fila di morti. Tutto finì il pm di Bologna Valter Giovannini scoprì che dietro quella banda c’erano Savi e soci.
Padre e figlio non si vedono da quel novembre 1994, quando il ragazzo aveva appena 9 anni. Da allora al giovane fu cambiato il cognome: “Non ho un buon pensiero di mio padre. Nei primi anni mia madre mi portava a trovarlo e per un periodo ci siamo anche scritti. Ma crescendo io ho deciso di interrompere tutto questo”, spiegò il ragazzo in una intervista del gennaio 2012 all’emittente radiofonica Radio Nettuno. “Posso dire che comunque lui mi ha sempre detto di non commettere i suoi stessi errori”, spiegò. “Nonostante tutto se anche uscisse dal carcere non vorrei averci nulla a che fare”.