Nel 1978 i militari italiani (allora li chiamavamo cittadini con le stellette, ma erano altri tempi) conquistarono il diritto ad avere una rappresentanza. Elettiva, ma rigorosamente “interna” alle Forze armate. Ogni categoria votava i suoi rappresentanti (ufficiali, sottufficiali, leva) e in ogni consiglio, grande o piccolo, della rappresentanza il presidente era sempre il più alto in grado. Insomma, non granché e Falco Accame, ammiraglio dimissionario per aver cercato di difendere le ragioni dei suoi uomini contro lo Stato maggiore, allora presidente della commissione Difesa per il partito socialista, diceva a gran voce che sarebbero servite solo a scegliere tra le pere e le mele per il rancio. Non era questa l’opinione della maggioranza dei militari di quel variopinto movimento che andava sotto il nome di militari democratici, che si saldava con tutti gli altri movimenti per i diritti, compreso ad esempio quelli della polizia (allora, ricordo a chi è troppo giovane e agli smemorati, era ancora militare) che tre anni dopo conquistarono invece il diritto al sindacato.
Nell’anno di grazia 2015, 37 anni dopo quella conquista, tutto è cambiato. I ventenni non sanno neppure cosa sia stata l’Unione Sovietica, i maschi italiani diventano adulti senza aver fatto neanche un giorno di naja, abbiamo persino i matrimoni gay (scusate: tutto il mondo civile li ha, non l’Italia). “Cambia lo superficial/cambia también lo profundo/cambia el modo de pensar/cambia todo en este mundo” canta e ci emoziona Mercedes Soza.
Non si emozionano invece i nostri governanti che dopo 37 anni di immobilismo fanno come se nulla fosse. Anzi, no, la generala Pinotti, una vera miracolata, transitata da senatrice a ministra della Difesa senza che nessuno abbia capito in virtù di quali meriti, è cambiata. Ma per smentirsi. Nel 2008 firmò una proposta di legge dove si riconosceva ai militari un sia pur limitato diritto a costituire associazioni. Nel 2014, dopo che la Corte europea dei diritti dell’uomo scrive due storiche sentenze che ribadiscono il diritto dei militari a costituirsi in sindacato, manda il sottosegretario Alfano (lei non aveva tempo, impegnata com’era a dire in giro che avrebbe potuto essere il prossimo presidente della Repubblica) al Senato per spiegare che, sì, la Corte di Strasburgo dice così ma noi ce ne freghiamo alla grande. Il linguaggio è un po’ più forbito e arzigogolato ma la sostanza è quella. Della serie che se c’è da togliere diritti lo facciamo di corsa con la scusa che ce lo chiede l’Europa, mentre se i diritti devono essere riconosciuti, scopriamo che a noi piace Salvini o magari anche Farange o quella nobildonna della Le Pen. Insomma, ci accorgiamo che l’Europa ci opprime e non ci piace.
Grosso modo il concetto espresso da Gioacchino Alfano, lo ha ripetuto qualche giorno fa l’altro sottosegretario, il già generale nonché ex presidente del Cocer, Domenico Rossi intervenuto a un convegno organizzato a Roma da Assodipro, associazione che vuole promuovere i diritti sindacali tra e per i militari. Rossi ha spiegato che il governo non ha nessuna intenzione di muoversi sulla strada disegnata dalla Corte di Strasburgo e che prima di pronunciarsi vuole aspettare le proposte di riforma della rappresentanza che sono in discussione alle Camere. Della serie vai avanti tu che a me viene da ridere. Le proposte di legge, soprattutto quelle firmate Pd, assumono in gran parte il punto di vista delle gerarchie e del ministero. Una caratteristica rilevata durante quel convegno da due presenze per così dire “esterne” alla militarità anche se su posizioni politiche diversissime: Laura Puppato, senatrice Dem, e Renata Polverini, deputata forzista. Entrambe hanno in sostanza detto che i diritti, anche quelli dei militari, sono questione troppo importante per limitarne la discussione alle sole commissioni Difesa. Troppa contiguità con le gerarchie e una visione troppo ristretta per immaginare che si possano fare dei veri passi avanti. Mutatis mutandis, un parafrasi dell’aforisma clemenceauniano sulla guerra troppo importante per lasciarla fare ai generali (soprattutto quelli italiani, aggiungerei).
Al convegno romano di Assodipro, aperto da una interessantissima relazione del suo presidente Emilio Ammiraglia, era presente anche Jean-Hugues Matelly, il tenente colonnello della Gendarmeria francese dal cui ricorso è scaturita una delle due sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo. Matelly ha spiegato come il presidente Hollande abbia creato una commissione per studiare le modifiche all’ordinamento conseguenti alle sentenze, non tacendo tuttavia le forti resistenze dell’establishment militare.
Un dettaglio, che vale la pena di citare: il capo di Stato maggiore dell’Aeronautica Pasquale Preziosa ha mandato un biglietto per scusarsi dell’assenza ma augurando buon lavoro. Pura formalità, se volete, ma significativa vista l’indifferenza, se non l’aperta ostilità, con cui di solito iniziative come questa sono accolte dalle gerarchie. D’altra parte pochi giorni prima sul suo tavolo era arrivata una delibera del Cocer Aeronautica con la quale si chiedeva l’apertura di un confronto sulle sentenze della Corte di Strasburgo. Che, tradotto dal linguaggio felpato del rapporto gerarchico, significa più esplicitamente: “Vogliamo il sindacato”.
Certo con un ministro che se potesse si metterebbe le spalline da maresciallo d’Italia, un presidente del Consiglio che attacca i sindacati un giorno si e uno anche e più ancora dei sindacati attacca i diritti dei lavoratori con le sue bugie sul lavoro e sullo #statesereni (chiedere a Enrico Letta per qualche dettaglio in più), con il partito della nazione (lo chiamano PD, ma è un errore) che esegue gli ordini delle gerarchie militari (ma anche di quelle finanziarie e industriali) e le destre che a loro volta tentano un recupero facendo un balzo su terreni a loro sconosciuti (e, diciamocelo, con un surplus di faccia di tolla niente male) con proposte di legge che riconoscono il diritto di associazione ai militari, la situazione appare disperata.
E in prospettiva lo potrebbe essere ancora di più se si realizzeranno i propositi contenuti nelle linee guida per il Libro bianco (lo avevano promesso per dicembre…), come ha spiegato al convegno Guido Bottacchiari, tenente colonnello del Cocer Aeronautica. Il punto 68 di queste linee guida dice, testuale, “occorre pertanto interrogarsi se la condizione di militare e le relative assolute peculiarità, anche di impiego e di stato giuridico, non possano essere meglio garantite e rese di maggiore utilità per il Paese riconoscendo a tale condizione una differenza tanto marcata dal pubblico impiego da superare il rapporto di genere e specie che, fino ad ora, ha condizionato entrambi i domini”. “Superare il rapporto di genere e specie”: scherziamo? neppure un intellettuale marxiano degli anni Settanta avrebbe osato tanto. “Condizionato entrambi i domini”: che vor dì? Per qualsiasi persona dotata un intelletto non deviante, una frase del genere non significa una beneamata. Ma per gli autori delle pompose linee guida, generali e burocrati assortiti, invece vuol dire: siete così diversi che non potete aspettarvi nulla. Dunque neppure chiedetelo. Come vedete qui da noi “no cambia nada en este mundo (militar)”. Ma ci sono sempre quelli che vogliono tener vivi gli ideali perché altrimenti, scriveva Ennio Flaiano nel Taccuino del marziano, “chi rifiuta il sogno deve masturbarsi con la realtà”. Doloroso.
Toni De Marchi
Giornalista
Lavoro & Precari - 26 Marzo 2015
Militari: l’insostenibile leggerezza dei diritti
Nel 1978 i militari italiani (allora li chiamavamo cittadini con le stellette, ma erano altri tempi) conquistarono il diritto ad avere una rappresentanza. Elettiva, ma rigorosamente “interna” alle Forze armate. Ogni categoria votava i suoi rappresentanti (ufficiali, sottufficiali, leva) e in ogni consiglio, grande o piccolo, della rappresentanza il presidente era sempre il più alto in grado. Insomma, non granché e Falco Accame, ammiraglio dimissionario per aver cercato di difendere le ragioni dei suoi uomini contro lo Stato maggiore, allora presidente della commissione Difesa per il partito socialista, diceva a gran voce che sarebbero servite solo a scegliere tra le pere e le mele per il rancio. Non era questa l’opinione della maggioranza dei militari di quel variopinto movimento che andava sotto il nome di militari democratici, che si saldava con tutti gli altri movimenti per i diritti, compreso ad esempio quelli della polizia (allora, ricordo a chi è troppo giovane e agli smemorati, era ancora militare) che tre anni dopo conquistarono invece il diritto al sindacato.
Nell’anno di grazia 2015, 37 anni dopo quella conquista, tutto è cambiato. I ventenni non sanno neppure cosa sia stata l’Unione Sovietica, i maschi italiani diventano adulti senza aver fatto neanche un giorno di naja, abbiamo persino i matrimoni gay (scusate: tutto il mondo civile li ha, non l’Italia). “Cambia lo superficial/cambia también lo profundo/cambia el modo de pensar/cambia todo en este mundo” canta e ci emoziona Mercedes Soza.
Non si emozionano invece i nostri governanti che dopo 37 anni di immobilismo fanno come se nulla fosse. Anzi, no, la generala Pinotti, una vera miracolata, transitata da senatrice a ministra della Difesa senza che nessuno abbia capito in virtù di quali meriti, è cambiata. Ma per smentirsi. Nel 2008 firmò una proposta di legge dove si riconosceva ai militari un sia pur limitato diritto a costituire associazioni. Nel 2014, dopo che la Corte europea dei diritti dell’uomo scrive due storiche sentenze che ribadiscono il diritto dei militari a costituirsi in sindacato, manda il sottosegretario Alfano (lei non aveva tempo, impegnata com’era a dire in giro che avrebbe potuto essere il prossimo presidente della Repubblica) al Senato per spiegare che, sì, la Corte di Strasburgo dice così ma noi ce ne freghiamo alla grande. Il linguaggio è un po’ più forbito e arzigogolato ma la sostanza è quella. Della serie che se c’è da togliere diritti lo facciamo di corsa con la scusa che ce lo chiede l’Europa, mentre se i diritti devono essere riconosciuti, scopriamo che a noi piace Salvini o magari anche Farange o quella nobildonna della Le Pen. Insomma, ci accorgiamo che l’Europa ci opprime e non ci piace.
Grosso modo il concetto espresso da Gioacchino Alfano, lo ha ripetuto qualche giorno fa l’altro sottosegretario, il già generale nonché ex presidente del Cocer, Domenico Rossi intervenuto a un convegno organizzato a Roma da Assodipro, associazione che vuole promuovere i diritti sindacali tra e per i militari. Rossi ha spiegato che il governo non ha nessuna intenzione di muoversi sulla strada disegnata dalla Corte di Strasburgo e che prima di pronunciarsi vuole aspettare le proposte di riforma della rappresentanza che sono in discussione alle Camere. Della serie vai avanti tu che a me viene da ridere. Le proposte di legge, soprattutto quelle firmate Pd, assumono in gran parte il punto di vista delle gerarchie e del ministero. Una caratteristica rilevata durante quel convegno da due presenze per così dire “esterne” alla militarità anche se su posizioni politiche diversissime: Laura Puppato, senatrice Dem, e Renata Polverini, deputata forzista. Entrambe hanno in sostanza detto che i diritti, anche quelli dei militari, sono questione troppo importante per limitarne la discussione alle sole commissioni Difesa. Troppa contiguità con le gerarchie e una visione troppo ristretta per immaginare che si possano fare dei veri passi avanti. Mutatis mutandis, un parafrasi dell’aforisma clemenceauniano sulla guerra troppo importante per lasciarla fare ai generali (soprattutto quelli italiani, aggiungerei).
Al convegno romano di Assodipro, aperto da una interessantissima relazione del suo presidente Emilio Ammiraglia, era presente anche Jean-Hugues Matelly, il tenente colonnello della Gendarmeria francese dal cui ricorso è scaturita una delle due sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo. Matelly ha spiegato come il presidente Hollande abbia creato una commissione per studiare le modifiche all’ordinamento conseguenti alle sentenze, non tacendo tuttavia le forti resistenze dell’establishment militare.
Un dettaglio, che vale la pena di citare: il capo di Stato maggiore dell’Aeronautica Pasquale Preziosa ha mandato un biglietto per scusarsi dell’assenza ma augurando buon lavoro. Pura formalità, se volete, ma significativa vista l’indifferenza, se non l’aperta ostilità, con cui di solito iniziative come questa sono accolte dalle gerarchie. D’altra parte pochi giorni prima sul suo tavolo era arrivata una delibera del Cocer Aeronautica con la quale si chiedeva l’apertura di un confronto sulle sentenze della Corte di Strasburgo. Che, tradotto dal linguaggio felpato del rapporto gerarchico, significa più esplicitamente: “Vogliamo il sindacato”.
Certo con un ministro che se potesse si metterebbe le spalline da maresciallo d’Italia, un presidente del Consiglio che attacca i sindacati un giorno si e uno anche e più ancora dei sindacati attacca i diritti dei lavoratori con le sue bugie sul lavoro e sullo #statesereni (chiedere a Enrico Letta per qualche dettaglio in più), con il partito della nazione (lo chiamano PD, ma è un errore) che esegue gli ordini delle gerarchie militari (ma anche di quelle finanziarie e industriali) e le destre che a loro volta tentano un recupero facendo un balzo su terreni a loro sconosciuti (e, diciamocelo, con un surplus di faccia di tolla niente male) con proposte di legge che riconoscono il diritto di associazione ai militari, la situazione appare disperata.
E in prospettiva lo potrebbe essere ancora di più se si realizzeranno i propositi contenuti nelle linee guida per il Libro bianco (lo avevano promesso per dicembre…), come ha spiegato al convegno Guido Bottacchiari, tenente colonnello del Cocer Aeronautica. Il punto 68 di queste linee guida dice, testuale, “occorre pertanto interrogarsi se la condizione di militare e le relative assolute peculiarità, anche di impiego e di stato giuridico, non possano essere meglio garantite e rese di maggiore utilità per il Paese riconoscendo a tale condizione una differenza tanto marcata dal pubblico impiego da superare il rapporto di genere e specie che, fino ad ora, ha condizionato entrambi i domini”. “Superare il rapporto di genere e specie”: scherziamo? neppure un intellettuale marxiano degli anni Settanta avrebbe osato tanto. “Condizionato entrambi i domini”: che vor dì? Per qualsiasi persona dotata un intelletto non deviante, una frase del genere non significa una beneamata. Ma per gli autori delle pompose linee guida, generali e burocrati assortiti, invece vuol dire: siete così diversi che non potete aspettarvi nulla. Dunque neppure chiedetelo. Come vedete qui da noi “no cambia nada en este mundo (militar)”. Ma ci sono sempre quelli che vogliono tener vivi gli ideali perché altrimenti, scriveva Ennio Flaiano nel Taccuino del marziano, “chi rifiuta il sogno deve masturbarsi con la realtà”. Doloroso.
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Roma, 29 dic. (Adnkronos) - "Chi sta usando i farmaci sotto prescrizione medica può tranquillamente guidare. Come faceva l'anno scorso". Così Matteo Salvini in una diretta social. "Ovviamente ci sono farmaci che impediscono di guidare nelle ore successive, però esattamente come l'anno scorso chi prende dei farmaci oncologici. Abbiamo istituito un tavolo tecnico proprio per andare incontro alle centinaia di migliaia di pazienti che dietro somministrazione medica usano dei farmaci".
Roma, 29 dic. (Adnkronos) - “Costruttivo, senza pregiudizi, determinato, ma sempre improntato ad un dialogo costante con il governo per fare davvero gli interessi dei lavoratori. Il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, in questi anni ha avuto il merito di confrontarsi con le istituzioni, criticando e proponendo allo stesso tempo soluzioni, senza però mai cercare, a differenza degli altri sindacati, il pretesto dello scontro e dell’istigazione alla rivolta sociale. A lui va il mio apprezzamento e il sincero ringraziamento di come ha svolto la sua delicata e fondamentale funzione, sempre e solo dedicata a tutelare davvero chi lavora”. Così, la senatrice di Forza Italia e vice presidente del Senato, Licia Ronzulli.
Roma, 29 dic. (Adnkronos) - "Ringraziamo Luigi Sbarra per il grande e costruttivo contributo che, alla guida della Cisl, ha dato alla tutela degli interessi dei lavoratori in Italia ed al mondo delle relazioni industriali. Ha guidato il sindacato con una vera visione strategica e con la consapevolezza che il dialogo tra le parti sociali e’ la chiave per rendere il sistema produttivo sempre più equo, dinamico e sostenibile. Lo ha fatto rispettando il ruolo e l’autonomia sindacale, senza mai trasformare la Cisl nell’appendice di una parte politica. Abbiamo sottoscritto la sua proposta di partecipazione dei lavoratori agli utili dell’azienda e continueremo a sostenerla politicamente in Parlamento. Auguriamo a Luigi Sbarra di continuare a contribuire, con la stessa dedizione, al bene dell’Italia”. Lo afferma il presidente di Noi Moderati Maurizio Lupi.
Roma, 29 dic. (Adnkronos) - "Avere ridotto del 25 per cento, dal 14 al 28 dicembre, nei primi quindici giorni del nuovo Codice della strada, il numero di morti sulle strade è qualcosa che dovrebbe rendere orgoglioso me e voi". Lo dice Matteo Salvini in una diretta social.
"Mi faccio carico volentieri se c'è qualche polemica, ho le spalle larghe, ho rischiato 6 anni per aver bloccato immigrati clandestini. Quindi figurarsi se per salvare vite umane non mi faccio carico di qualche polemica e degli attacchi di Vasco o di radical chic di sinistra".
Roma, 29 dic. (Adnkronos) - “Come dice Renato Brunetta sul Sole24Ore ‘in un carcere sovraffollato, luogo di isolamento, umiliazione, malattia e morte, la pena rischia di perdere la certezza dell'esempio, che è la vera fonte di legittimazione della potestà punitiva, per trasformarsi invece in certezza della recidiva’. È vero, e non conviene a nessuno un modello di pena che incentiva i detenuti a tornare a delinquere o a cominciare a farlo se detenuti ingiustamente. La sua proposta di indulto parziale, per il reinserimento sociale e lavorativo dei detenuti, merita attenzione e una iniziativa parlamentare trasversale. Sarebbe infatti positivo che anche nella maggioranza la proposta di Brunetta, che ha alle spalle una lunga militanza nel centrodestra, venisse raccolta e rilanciata. La situazione nelle carceri è incivile ed inaccettabile, quindi bisogna agire con urgenza”. Lo afferma il deputato di +Europa Benedetto Della Vedova.
Roma, 29 dic. (Adnkronos) - “Una manovra nella quale emerge la totale mancanza di visione economica del governo Meloni: competitività, occupazione, giovani, sanità, ambiente, riduzione del debito pubblico e concorrenza sono state le note a margine di una legge di bilancio in cui la parte più consistente è stata occupata dalle mancette elettorali dei partiti di maggioranza. Tutto questo è stato fatto calpestando la democrazia parlamentare, riducendo al minimo non solo le possibilità di modifica ma anche di dibattito”. Lo afferma il segretario di Più Europa Riccardo Magi.
“Per fortuna, grazie alle poche modifiche fatte alla Camera, è stato possibile introdurre alcune cose positive. Attraverso un nostro emendamento, con buona pace dei pro-vita, è stato rafforzato il fondo per corsi di informazione e prevenzione rivolti a studenti delle scuole secondarie di primo e di secondo grado, relativamente alle tematiche della salute sessuale e dell’educazione sessuale e affettiva; inoltre è stato confermato e rafforzato il bonus psicologo ed è stato istituito il Fondo per il servizio di sostegno psicologico in favore delle studentesse e degli studenti. Sono piccoli ma importanti passi avanti, nonostante - conclude Magi - un governo oscurantista e antiscientifico”.
Roma, 29 dic. (Adnkronos) - Se l'obiettivo del 2024 era quello di rafforzare il Pd e blindare la leadership, Elly Schlein può chiudere l'anno con un bilancio positivo. I dem sono nettamente il primo partito dell'opposizione e chi vince, si sa, difficilmente viene messo in discussione. Se a questo, però, la segretaria sperava di aggiungere anche l'avvio di un nuovo centrosinistra da contrapporre alla destra di Giorgia Meloni, le cose non sono andate per niente bene. La coalizione ancora non c'è, un'alternativa solida e credibile nemmeno e gli esiti dello sforzo 'testardamente unitario' di Schlein tutti da verificare. Sarà la sfida cruciale del 2025. E le insidie non mancano.
IL MANTRA DELL'UNITA', SCHLEIN E L'INEDITA PAX DEM - All'assemblea nazionale Pd di metà dicembre, Schlein ha presentato la nuova tessera dem per il 2025. Dopo gli occhi di Enrico Berlinguer del 2024, sarà uno slogan indicativo a segnare la direzione dell'anno che sta per iniziare: 'Unità'. "E' una parola bellissima e impegnativa ma soprattutto un programma, un metodo, un approccio alle cose”, ha spiegato la segretaria. Un messaggio rivolto ad alleati riottosi ma anche all'interno. Con Schlein si è realizzata una inedita pax dentro il Pd. Complice l'approccio unitario di Stefano Bonaccini, il perdente al congresso. Hanno pesato anche i continui appuntamenti elettorali del 2024: un voto quasi ogni mese è stato argine alle polemiche interne. E un Pd insolitamente poco litigioso è stato premiato nei consensi riportando i dem stabilmente ben sopra il 20 per cento e accorciato la distanza da Fdi di Meloni. Schlein riuscirà a mantenere la pax anche nel 2025?
DAL TIMORE DEL SORPASSO M5S ALLE EUROPEE AL PD PIGLIATUTTO - Se c'è un dato di chiarezza che il 2024 ha portato nel campo delle opposizioni è quello sui rapporti di forza. Il Pd chiude l'anno in uno stato di salute che era difficile prevedere. Era aprile, mancavano appena due mesi alle europee, quando tutti i sondaggi davano il Movimento 5 Stelle a una incollatura dai dem. Il timore del sorpasso serpeggiava tra i capanelli Pd in Transatlantico. Dopo due mesi di campagna elettorale in cui Schlein ha battuto il Paese insistendo su pochi temi chiave - la difesa della sanità pubblica, lavoro e salari innanzitutto -, è finita con quasi 15 punti di scarto tra i due partiti: 24,1 il Pd e 9,9 i 5 Stelle. Una caratterizzazione che ha premiato. Insieme alla potenza di fuoco, squadernata in termini di preferenze, dal 'partito degli amministratori': Stefano Bonaccini, il recordman del Sud Antonio Decaro, Dario Nardella, Giorgio Gori, Matteo Ricci, l'ex-presidente Nicola Zingaretti.
Un trend che si è confermato anche con le vittorie 6 a 0 nei capoluoghi di regione a giugno. E poi in autunno nelle regionali in Emilia Romagna e Umbria: con Michele De Pascale, sindaco di Ravenna, il Pd vola al 42,9% e arriva al 30,2% con Stefania Proietti, sindaca civica di Assisi. E pure in Liguria dove la vittoria è sfuggita di un soffio ad Andrea Orlando, il Pd è comunque primo partito con il 27,6%, doppiando quasi Fdi. Ma accanto al successo dem, ci sono i 5 Stelle in caduta libera, la quasi scomparsa a livello regionale delle formazioni centriste. Schlein riuscirà a dar vita a una coalizione competitiva?
SCHLEIN LA ZEN E LE TENSIONI CON I 5 STELLE - "Il mio avversario è la destra di Meloni, non dirò mai una sola parola contro le altre forze di opposizione". Schlein la Zen. E' questo il segno che la segretaria del Pd ha dato ai rapporti, spesso molto difficili, con i 5 Stelle e Giuseppe Conte nel corso dell'anno che si sta chiudendo. Sono state soltanto due le volte, in cui Schlein ha rotto la linea che si è autoimposta. La prima quando in un incontro alla Camera, Conte le disse in faccia che il Pd è un partito "bellicista". Dopo 24 ore e con i dem in subbuglio, arrivò la replica: "Dal M5S esigo rispetto, basta con i continui attacchi e le mistificazioni che non servono a costruire l’alternativa. Se Conte attacca più noi che il governo Meloni sbaglia strada".
La seconda quando Conte annullò le primarie per le comunali a Bari alla vigilia dei gazebo. “Non ci sono più le condizioni per svolgere seriamente le primarie”, disse il leader M5S a seguito di alcune inchieste giudiziarie. Sulla 'questione morale', non ci fu Zen di sorta a tenere Schlein. La segreteria andò a Bari e dal palco la replica a Conte fu durissima in difesa dell'onorabilità del Pd e con l'accusa ai 5 Stelle di slealtà. “Ritirarsi dalle primarie a tre giorni dal voto è uno schiaffo alle persone perbene. Una scelta unilaterale che rappresenta un favore alle destre”. Fu rottura e alla fine a vincere a Bari è stato il candidato dem, Vito Leccese, al secondo turno con il 70%. Da allora, la segretaria ha ripreso la linea Zen. Nonostante un fine anno teso con i 5 Stelle che, pure dopo la vittoria di Conte su Grillo alla Costituente, restano riottosi all'alleanza: 'progressisti indipendenti', la definizione del leader M5S. Che ha fatto vacillare la pazienza di Schlein. "So bene che i processi di maturazione richiedono pazienza ma allo stesso tempo -ha detto la segretaria all'assemblea nazionale di metà dicembre- non possiamo passare il prossimo anno ognuno a farci gli affari propri, pensando rinviare alla vigilia delle politiche la sintesi e la costruzione dell'alternativa che dobbiamo alla nostra gente". Riuscirà Schlein a stringere un'alleanza organica con i 5 Stelle?
IL CENTRO E I SUOI FEDERATORI - "Il rischio è quello di avere una Quercia addirittura senza cespugli, ma solo circondata dall'erba". Parola di Romano Prodi dopo le regionali in Emilia Romagna e Umbria. Un rischio sentito da molti nel Pd, specie da chi avverte la mancanza di una gamba centrista alla coalizione che si cerca di costruire. Diversa dal fu Terzo Polo di Matteo Renzi e Carlo Calenda. In questi mesi si è parlato di possibili federatori: da Beppe Sala per un'area liberale e riformista a Ernesto Maria Ruffini con un taglio più cattolico-democratico. Al momento i lavori sono in corso ma il successo è tutt'altro che scontato. Schlein, da parte sua, sulle ipotesi in campo non ha proferito parola. C'è chi sostiene che un eventuale federatore del centro potrebbe diventarlo dell'intera coalizione 'scippando' a Schlein la candidatura a palazzo Chigi. Riuscirà Schlein a conquistare la premiership della coalizione?
DE LUCA, ARMI E SALVA MILANO, I PRIMI NODI DEL 2015 - Nell'anno che sta per aprirsi, ci sono almeno due o tre nodi che Schlein troverà già ad attenderla. Due sono materie parlamentari: la questione dell'Ucraina e delle armi e quella del cosiddetto Salva Milano. Su entrambe le questioni ci sono diverse sfumature tra i dem e su entrambe il Pd è sotto il fuoco amico di M5S e anche di Alleanza Verdi e Sinistra. Il rischio di una spaccatura delle opposizioni è quasi una certezza. A gennaio poi è attesa la sentenza della Consulta sul referendum contro l'autonomia. Se fosse ammissibile potrebbe al contrario rappresentare l'occasione per una battaglia unitaria di tutte le opposizioni. E sempre a gennaio, entro il 10, il governo dovrà decidere se impugnare o meno la legge De Luca per il terzo mandato. Schlein non ne vuol sapere di ricandidare il presidente campano e lui non ne vuol sapere di non ricandidarsi. La decisione di Meloni sarà determinante. Riuscirà Schlein a tenere la Campania a guida centrosinistra?