Cerimonia per il 151mo anniversario della costituzione dell'Esercito italianoNel 1978 i militari italiani (allora li chiamavamo cittadini con le stellette, ma erano altri tempi) conquistarono il diritto ad avere una rappresentanza. Elettiva, ma rigorosamente “interna” alle Forze armate. Ogni categoria votava i suoi rappresentanti (ufficiali, sottufficiali, leva) e in ogni consiglio, grande o piccolo, della rappresentanza il presidente era sempre il più alto in grado. Insomma, non granché e Falco Accame, ammiraglio dimissionario per aver cercato di difendere le ragioni dei suoi uomini contro lo Stato maggiore, allora presidente della commissione Difesa per il partito socialista, diceva a gran voce che sarebbero servite solo a scegliere tra le pere e le mele per il rancio. Non era questa l’opinione della maggioranza dei militari di quel variopinto movimento che andava sotto il nome di militari democratici, che si saldava con tutti gli altri movimenti per i diritti, compreso ad esempio quelli della polizia (allora, ricordo a chi è troppo giovane e agli smemorati, era ancora militare) che tre anni dopo conquistarono invece il diritto al sindacato.

Nell’anno di grazia 2015, 37 anni dopo quella conquista, tutto è cambiato. I ventenni non sanno neppure cosa sia stata l’Unione Sovietica, i maschi italiani diventano adulti senza aver fatto neanche un giorno di naja, abbiamo persino i matrimoni gay (scusate: tutto il mondo civile li ha, non l’Italia). “Cambia lo superficial/cambia también lo profundo/cambia el modo de pensar/cambia todo en este mundo” canta e ci emoziona Mercedes Soza.

Non si emozionano invece i nostri governanti che dopo 37 anni di immobilismo fanno come se nulla fosse. Anzi, no, la generala Pinotti, una vera miracolata, transitata da senatrice a ministra della Difesa senza che nessuno abbia capito in virtù di quali meriti, è cambiata. Ma per smentirsi. Nel 2008 firmò una proposta di legge dove si riconosceva ai militari un sia pur limitato diritto a costituire associazioni. Nel 2014, dopo che la Corte europea dei diritti dell’uomo scrive due storiche sentenze che ribadiscono il diritto dei militari a costituirsi in sindacato, manda il sottosegretario Alfano (lei non aveva tempo, impegnata com’era a dire in giro che avrebbe potuto essere il prossimo presidente della Repubblica) al Senato per spiegare che, sì, la Corte di Strasburgo dice così ma noi ce ne freghiamo alla grande. Il linguaggio è un po’ più forbito e arzigogolato ma la sostanza è quella. Della serie che se c’è da togliere diritti lo facciamo di corsa con la scusa che ce lo chiede l’Europa, mentre se i diritti devono essere riconosciuti, scopriamo che a noi piace Salvini o magari anche Farange o quella nobildonna della Le Pen. Insomma, ci accorgiamo che l’Europa ci opprime e non ci piace.

Grosso modo il concetto espresso da Gioacchino Alfano, lo ha ripetuto qualche giorno fa l’altro sottosegretario, il già generale nonché ex presidente del Cocer, Domenico Rossi intervenuto a un convegno organizzato a Roma da Assodipro, associazione che vuole promuovere i diritti sindacali tra e per i militari. Rossi ha spiegato che il governo non ha nessuna intenzione di muoversi sulla strada disegnata dalla Corte di Strasburgo e che prima di pronunciarsi vuole aspettare le proposte di riforma della rappresentanza che sono in discussione alle Camere. Della serie vai avanti tu che a me viene da ridere. Le proposte di legge, soprattutto quelle firmate Pd, assumono in gran parte il punto di vista delle gerarchie e del ministero. Una caratteristica rilevata durante quel convegno da due presenze per così dire “esterne” alla militarità anche se su posizioni politiche diversissime: Laura Puppato, senatrice Dem, e Renata Polverini, deputata forzista. Entrambe hanno in sostanza detto che i diritti, anche quelli dei militari, sono questione troppo importante per limitarne la discussione alle sole commissioni Difesa. Troppa contiguità con le gerarchie e una visione troppo ristretta per immaginare che si possano fare dei veri passi avanti. Mutatis mutandis, un parafrasi dell’aforisma clemenceauniano sulla guerra troppo importante per lasciarla fare ai generali (soprattutto quelli italiani, aggiungerei).

Al convegno romano di Assodipro, aperto da una interessantissima relazione del suo presidente Emilio Ammiraglia, era presente anche Jean-Hugues Matelly, il tenente colonnello della Gendarmeria francese dal cui ricorso è scaturita una delle due sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo. Matelly ha spiegato come il presidente Hollande abbia creato una commissione per studiare le modifiche all’ordinamento conseguenti alle sentenze, non tacendo tuttavia le forti resistenze dell’establishment militare.

Un dettaglio, che vale la pena di citare: il capo di Stato maggiore dell’Aeronautica Pasquale Preziosa ha mandato un biglietto per scusarsi dell’assenza ma augurando buon lavoro. Pura formalità, se volete, ma significativa vista l’indifferenza, se non l’aperta ostilità, con cui di solito iniziative come questa sono accolte dalle gerarchie. D’altra parte pochi giorni prima sul suo tavolo era arrivata una delibera del Cocer Aeronautica con la quale si chiedeva l’apertura di un confronto sulle sentenze della Corte di Strasburgo. Che, tradotto dal linguaggio felpato del rapporto gerarchico, significa più esplicitamente: “Vogliamo il sindacato”.

Certo con un ministro che se potesse si metterebbe le spalline da maresciallo d’Italia, un presidente del Consiglio che attacca i sindacati un giorno si e uno anche e più ancora dei sindacati attacca i diritti dei lavoratori con le sue bugie sul lavoro e sullo #statesereni (chiedere a Enrico Letta per qualche dettaglio in più), con il partito della nazione (lo chiamano PD, ma è un errore) che esegue gli ordini delle gerarchie militari (ma anche di quelle finanziarie e industriali) e le destre che a loro volta tentano un recupero facendo un balzo su terreni a loro sconosciuti (e, diciamocelo, con un surplus di faccia di tolla niente male) con proposte di legge che riconoscono il diritto di associazione ai militari, la situazione appare disperata.

E in prospettiva lo potrebbe essere ancora di più se si realizzeranno i propositi contenuti nelle linee guida per il Libro bianco (lo avevano promesso per dicembre…), come ha spiegato al convegno Guido Bottacchiari, tenente colonnello del Cocer Aeronautica. Il punto 68 di queste linee guida dice, testuale, “occorre pertanto interrogarsi se la condizione di militare e le relative assolute peculiarità, anche di impiego e di stato giuridico, non possano essere meglio garantite e rese di maggiore utilità per il Paese riconoscendo a tale condizione una differenza tanto marcata dal pubblico impiego da superare il rapporto di genere e specie che, fino ad ora, ha condizionato entrambi i domini”. “Superare il rapporto di genere e specie”: scherziamo?  neppure un intellettuale marxiano degli anni Settanta avrebbe osato tanto.  “Condizionato entrambi i domini”: che vor dì? Per qualsiasi persona dotata un intelletto non deviante, una frase del genere  non significa una beneamata. Ma per gli autori delle pompose linee guida, generali e burocrati assortiti, invece vuol dire: siete così diversi che non potete aspettarvi nulla. Dunque neppure chiedetelo. Come vedete qui da noi “no cambia nada en este mundo (militar)”. Ma ci sono sempre quelli che vogliono tener vivi gli ideali perché altrimenti, scriveva Ennio Flaiano nel Taccuino del marziano, “chi rifiuta il sogno deve masturbarsi con la realtà”. Doloroso.

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