Pierre Boulez è arrivato a novant’anni. Ha rallentato molto la sua attività da qualche anno, ma non da molto. Riassumere ciò che questa quercia della musica, questo genio multiforme ha raggiunto nella sua lunga carriera e nella sua lunga vita non basterebbe un ponderoso tomo.
Gli è stato imputato di essere troppo cerebrale sia come compositore che come esecutore, di essere un ‘freddo’, eppure le sue composizioni e le sue esecuzioni restano a testimoniare una vita di dedizione ed ispirazione piene di passione: chiunque abbia ascoltato una volta Rituel, per la morte di Bruno Maderna, sa di quale composto e sentito dolore sia stato capace.

Ma molti numeri del suo catalogo di creatore sono capolavori assoluti come Pli selon pli, Le marteau sans maître e altre pagine che stanno ferme nell’universo compositivo della seconda metà del Novecento: un autore che ha spaziato dal serialismo integrale, all’alea e alla musica elettronica senza mai perdere la sua fisionomia inconfondibile. Uno dei suoi meriti fondamentali come esecutore invece è stata la militanza per la musica a lui contemporanea, di cui si è fatto promotore ed avvocato infaticabile, provocando reazioni contrastanti ovunque abbia diretto in maniera stabile.

I signori che a Londra, Seattle, New York, Chicago andavano ai concerti in abbonamento fidando nella solita sinfonia nazionalpopolare si sono ritrovati a sorbirsi come fossero repertorio corrente (e non lo erano, ma forse non lo sono neanche oggi) Schönberg, Webern e poi Messiaen, fino a Varèse e Křenek. Dovevano entrare nel potente circolo delle ‘cose di famiglia’. Ma Boulez andò a ritroso e raccolse la sfida di accostarsi anche a maestri non della contemporaneità o della modernità, lui che alla fine era stato allievo di Hans Rosbaud, campione della grande tradizione austro-tedesca, oltre che delle avanguardie musicali.

E sprofondò in Wagner, prima nel Parsifal, direttamente nel cuore della tradizione e nella polvere wagneriana di Bayreuth e poi gloriosamente, per il centenario del compositore, in un Ring che più moderno e provocatorio non poteva essere, per la regia di Patrice Chéreau. Un Anello precipitato in piena lotta di classe nel nascente capitalismo industriale, operazione registica intelligentissima con un trattamento musicale all’altezza se non superiore: orchestra ripulitissima, senza sbavature sentimentali e senza stentore e declamazioni e altrettanti cedimenti tanto cari ai ‘bidelli del Walhalla’, un’attenzione maniacale al dettaglio musicale strutturale, tanto da sembrar di avere la partitura davanti, ogni dettaglio diventato evidente per sé.

Certo, il cast vocale non era più quello degli anni d’oro della Bayreuth degli anni ’50 ma l’operazione musicale di Boulez ancora non ha avuto una seria rivale e quel Ring rimane tra i migliori mai eseguiti. Contemporaneamente ai sondaggi wagneriani Boulez raccoglieva il testimone quale interprete di Mahler, trattandolo da classico come oramai si poteva fare dopo i lavori pionieristici di Walter, di Klemperer, di Horenstein e soprattutto di Bernstein. Si poteva permettere di darne una versione non ‘evangelica’. Quella consegnata al disco tra la metà degli anni ’90 e l’inizio del nuovo secolo, per la DG è una lettura dell’universo mahleriano per lo più pacificata, niente di iperbolico, nessuna perorazione deformante, come in alcune esecuzioni dell’ultimo Bernstein.

Culmine di questa integrale (con sostanziose appendici: Das klagende Lied, Das Lied von der Erde, Totenfeuer e diversi Lieder) sono senza dubbio la Sesta e la Nona. Nella Sesta, il Boulez che si vorrebbe freddo è capace di far scatenare la più elegante delle orchestre (i Wiener Philarmoniker) in una danza macabra di inverosimile orrore con una furia che raramente è stata raggiunta in questa sinfonia, pure molto eseguita, mentre la Nona diventa un’elegia per la morte con un dolore trasfigurato davvero toccante. Ma molte sono le pagine del Novecento non avanguardistico che sono ‘in debito’ con Boulez di letture con pochi rivali: il suo Bartòk, e poi Debussy e Ravel, e il suo Stravinskij? Molte delle incisioni del compositore russo sono oramai degli standard, ma molto altro sarebbe da aggiungere per celebrare un titano che è invecchiato superbamente.

Sarebbe bello augurarsi che uomini come Pierre Boulez giunti ad una certa soglia possano tornare indietro e, donatici di nuovo, ci insegnino ancora e ancora.

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