Una biografia della Rai e anche una sorta di necrologio. Ma soprattutto, una forte critica a un sistema che dovrebbe e vorrebbe rinnovarsi, ma che non sembra muoversi nella giusta direzione. Il libro ‘FiniRai – I retroscena della riforma e il futuro della televisione‘, scritto dal regista Roberto Faenza è in primo luogo questo: una guida agli sprechi, alle contraddizioni e alle criticità che hanno caratterizzato la vita del servizio pubblico e una voce contraria ai progetti del governo Renzi, che parla di riformare il sistema della tv di stato, “togliendola dal giogo politico, ma che invece nella sua proposta, con l’esecutivo che nomina il capo azienda, lo rafforza ancora di più”, spiega Faenza.
Un modello lontano da quello a cui ci si vorrebbe ispirare, quello della Bbc: “Bisognerebbe togliere i partiti dalla tv. Le nomine della Bbc sono effettuate tramite procedura pubblica, ma non c’è nessun politico dentro. Non esiste la lottizzazione. Noi siamo l’unica azienda al mondo in cui c’è un cda diviso tra maggioranza e opposizione”.
Insomma, non prendeteci in giro, grida a gran voce il regista nel libro (disponibile sulla piattaforma di selfpublishing Miolibro, con prologo di Franco Battiato che ha anche creato una playlist ad hoc disponibile su Spotify): “Si promette una cosa e poi se ne fa un’altra. Secondo me il governo non ha un disegno, ha semplicemente pensato a una riallocazione del potere politico. E il problema poi non è solo politico – prosegue Faenza – ma anche tecnologico, non c’è un progetto che guardi al futuro”. Significa che “la televisione, come siamo abituati a vederla, non esiste più. L’avvento di internet ha cambiato totalmente l’immagine della tv tradizionale. Il pubblico di oggi è molto maturo, quello giovane non guarda più il piccolo schermo. Una riforma che non prende in considerazione questo fattore è destinata al fallimento”.
Ma non solo. Come sottolineano i giornalisti Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, che firmano l’introduzione al testo, la Rai è anche un pozzo senza fondo di sprechi. “Quasi 13mila dipendenti per un’azienda che potrebbe vivere con la metà – sottolinea Faenza – che oltretutto in questi anni sono stati lasciati lì a sedimentare senza essere stati né utilizzati né aggiornati e che quindi, anche volendo, non costituiscono più il potenziale produttivo dell’azienda che c’era fino a una ventina di anni fa. E poi, con 1700 giornalisti interni era necessario chiamarne uno da fuori per condurre una trasmissione?”.
Il risultato di questa pratica aziendale? “Oggi la maggior parte dei programmi è esternalizzato. E la lobby del potere fa sì che vengano alimentati i soliti gruppi, che comprano un format straniero, cambiano una parola e fanno un programma”. E lo stesso avviene per le fiction, “in mano a un pugno di società. Ma perché – si chiede il regista – non potrebbe produrle la Rai? Perché l’apparato politico ha fatto sì che sia più interessante darla ad altri soggetti che non farle produrre internamente”. Oltretutto all’azienda manca il coraggio: “Sarebbe difficile vedere prodotti come ‘1992‘, con il suo linguaggio spregiudicato, in Rai. E finisce anche che non esportiamo nulla, se non Montalbano”.
E poi, sottolinea il libro, così come viene concepita “uno dei limiti della riforma è che non fa nulla per superare la logica del duopolio”. E con questa struttura, la Rai si deve presentare a un appuntamento fondamentale: quello con il rinnovo della concessione. E Faenza ipotizza anche il colpo di scena. Il jolly? “Il capo dello Stato, Sergio Mattarella”, visto che da ministro si dimise sulla legge Mammì.
Il giudizio finale sul progetto renziano non è lusinghiero: “Secondo me – afferma Faenza – è una controriforma, non una riforma”. Insomma: così non va. E propone un’alternativa: “Io procederei con un aggiornamento dei dipendenti, una riduzione dei canali, che sono troppi, un allontanamento della politica e farei in modo che le università entrassero nella creatività della produzione”. Per realizzarla, nel capitolo finale, il regista si candida alla presidenza del servizio pubblico. Uno scherzo, una provocazione? Chissà…