Il pregiudizio è un’arma di difesa. È il giudizio che giunge prima di riscontrare i fatti. A volte il pre-giudizio può salvarci la vita, come ad esempio sapere che se mettiamo la mano sul fuoco ci scottiamo, anche senza bisogno di provarci. Il pre-giudizio può anche essere utile in modo più semplice ad esempio a evitare un film noioso al cinema (“quel regista fa sempre film noiosi”). Altre volte però il pre-giudizio diventa una scusa per giustificare una pigrizia intellettuale e mentale. Si limita nell’accontentarsi di una verità sentita dire, gridata da qualcuno. Ma la verità va cercata, non arriva per sentito dire. Questa chiusura alla ricerca del vero può diventare a volte pericolosa, perché come recita il titolo della celebre incisione di Goya, “Il sonno della ragione genera mostri”.
Il metodo migliore per superare la superficialità del pregiudizio è applicare il giudizio.
La ragazza che incontro è donna elegante, ha i capelli biondi a caschetto, indossa un tubino nero, sobrio ma raffinato e lavora come ingegnere elettrotecnico in una importante ditta internazionale. In pochi a vederla direbbero che Saska Jovanovic è una rom, perché non rispetta i canoni del clichè e del pregiudizio. Saska fa parte della associazione Romnì che incontra gli nelle scuole gli adolescenti per parlare con loro di razzismo.
Quanto razzismo c’è alle scuole superiori?
«Purtroppo ce n’è molto. Soprattutto nelle scuole che sono nelle vicinanze dei campi rom ci sono molti pregiudizi, ma è normale. Ogni cosa brutta che succede viene automaticamente collegata con la presenza di un campo rom in città».
Come affronta il tema del razzismo con gli adolescenti?
«Racconto la mia vita. Parlo di come, dopo essere nata nel Kosovo durante il periodo della Jugoslavia comunista sono riuscita ad arrivare qui e a diventate un’ingegnere elettrotecnico laureata in Italia. Attraverso la mia, parlo poi della lunga storia del popolo rom, segnata dalle migrazioni e dal razzismo, esattamente come la mia vita».
Cosa colpisce di più i ragazzi del suo racconto?
«Sono colpiti da come mi vesto e da come mi comporto. Non si aspettano che un rom sia qualcosa di diverso da un povero che vive in una roulotte. Sono molto stupiti dal sapere quanti rom come me sono laureati, semplicemente ci sono, ma non si notano».
Cita le storie di altri zingari “invisibili”?
«Sì, parlo delle molte persone famose che sono di origini rom, ma che in pochi sanno, come Elvis Presley e Charlie Chaplin, che avevano origini gitane, Antonio Banderas, l’ex presidente del Brasile e molti calciatori come Ibrahimovic, Pirlo e Mihajlovic».
Loro come reagiscono?
«Esplode un boato. Alcuni ridono divertiti, altri sono scettici. Dicono: “Come, ma Pirlo è un nome italiano! È impossibile”. Non sanno che esistono molti rom italiani con un cognome italiano».
Quali domande le fanno più spesso?
«Alcuni ragazzi sono timidi per fare domande, per questo usiamo dei foglietti di carta anonimi. Così possono chiedere quello che vogliono».
E, difesi dall’anonimato, cosa chiedono?
«Molti mi fanno domande partendo dai pregiudizi più diffusi. Ad esempio mi chiedono “perché i Rom rubano?”».
E lei cosa risponde?
«Parlo con loro della propaganda politica. Certo ci sono anche rom che rubano, ma perché viene associato il nome dei rom al furto e non ai campioni di calcio per esempio? Il problema è che gli italiani si lasciano influenzare facilmente dalla televisione e in televisione se dici dieci volte una bugia diventa una verità. Gli faccio notare come le informazioni contro i rom vanno in onda a momenti. A volte si parla per mesi solo dei “rom ladri” e poi scompaiono dalle notizie…».
Perché secondo lei?
«Perché dipende dall’interesse che i politici hanno in quel momento. Se ci sono delle votazioni o dei soldi in ballo da destinare a finti progetti di integrazione. Quando lo raccontavo nelle scuole molti ragazzi non mi credevano, poi a Roma con l’inchiesta Mafia Capitale è stato dimostrato esattamente quello che dicevo. Hanno alzato con l’informazione il livello di paura per poi finanziare finti progetti sui campi rom in cui delle cooperative legate alla politica rubavano valanghe di soldi pubblici. Altro che zingari ladri…».
Qual è il razzismo che fa più male?
«A me se dicono che gli zingari rubano non importa. Ognuno creda quello che vuole, anche se sono sciocchezze. Una cosa che mi ha dato molto dispiacere è successa poche settimane fa. Mia figlia ha due anni e va a un asilo privato. Dei bambini più grandi le hanno urlato “zingara, zingara” finché non si è messa a piangere. Questo mi ha dato molto fastidio».
E lei cosa ha fatto?
«Ho detto con la maestra e la direttrice che dovrebbero parlare con i genitori e con i bambini del razzismo. Il mondo è aperto e abitato da molte razze, bisogna fare cultura».
Ci sono anche aspetti negativi dell’essere rom di cui parla con i ragazzi?
«Una cosa che non sanno è che le più grandi discriminazioni sono proprio tra gli stessi zingari. Tra rom e sinti ad esempio. Non c’è solidarietà, non ci si sente parte di un popolo unito. Ora per la prima volta abbiamo avanzato una proposta di legge tutti assieme, per far riconoscere gli zingari come minoranza linguistica. Speriamo che la proposta venga ascoltata».