Era il 2 aprile 1985 e i due gemelli stavano andando a scuola con la mamma, la giovane Barbara Rizzo: una bomba e di loro non è rimasto più nulla. L'attentato avrebbe dovuto colpire il Sostituto procuratore della Repubblica appena trasferito a Trapani. In 'Sola con te in un futuro aprile' Margherita Asta, sorella miracolosamente scampata alla strage, racconta il suo progressivo e doloroso avvicinamento alla verità di questo dramma
Salvatore era biondo, riccioluto e pestifero; Giuseppe moro, testardo e puntiglioso. Erano gemelli e avevano sei anni. La loro mamma, Barbara Rizzo, era bella come tutte le mamme. E giovane, 31 anni appena. Quella mattina del 2 aprile 1985 uscirono dalla loro casa di Pizzolungo, non lontano da Trapani, per andare a scuola, accompagnati in auto dalla mamma. Tre chilometri e pochi minuti dopo, di loro tre non restava quasi più nulla: una bomba, fatta esplodere da un’automobile parcheggiata lungo la strada, aveva disintegrato i loro corpi e la loro famiglia. Quella bomba non era destinata ai tre ignari passeggeri ma all’uomo che in quell’istante viaggiava sull’auto che, al momento dello scoppio, li stava superando: Carlo Palermo, Sostituto Procuratore della Repubblica appena trasferito a Trapani da Trento, dove aveva condotto un’indagine difficile e scomoda su traffico d’armi e droga arrivata a toccare poteri forti (servizi segreti, loggia P2) e a lambire Bettino Craxi. Che aveva chiesto (e ottenuto) la sua estromissione dall’inchiesta.
Ora Palermo è sulle tracce di una grande raffineria di droga nel trapanese, e per quello deve morire. Invece, Carlo Palermo miracolosamente si salva. E alla morte sfugge, per caso, anche Margherita, l’altra figlia di Barbara, 11 anni, che quella fatale mattina ha preso un passaggio per la scuola dalla mamma di una compagna. Due vite salvate, ma irrimediabilmente segnate dall’evento. Due vite che si sono rincorse e scansate per decenni: la ragazzina, poi giovane donna, che inizialmente odia l’uomo nel quale vede la causa della distruzione della sua famiglia. Il magistrato che sopravviva a stento, ferito nel corpo e nell’anima, con un insopportabile senso di colpa per la tragedia che ha involontariamente causato. Lei che cerca invano di incontrarlo. Lui che non ce la fa ad affrontarla.
La storia di quella ragazzina e di quell’uomo sono raccontate oggi in un libro, Sola con te in un futuro aprile (Fandango) scritto da Margherita Asta con Michela Gargiulo. Un mémoir in prima persona dove uno dei due protagonisti, Margherita, ricostruisce il suo progressivo e doloroso avvicinamento alla verità di questo doppio dramma. E insieme racconta e omaggia il co-protgonista Palermo: non più odiato ma, al contrario, celebrato come l’acuto investigatore che fin dalle sue prime indagini trentine aveva intuito i legami fra criminalità e politica. Una verità suggerita dalla sentenza finale per la strage di Pizzolungo dove si legge: “L’attentato diretto contro il dottor Carlo Palermo costituisce l’ennesima azione terroristica di Cosa nostra contro un magistrato che osava sfidarla così come aveva sfidato in precedenza i poteri forti, subendone pesanti ritorsioni. Non è escluso che con la soppressione di Carlo Palermo il vertice siciliano di Cosa nostra pensasse di rendere un favore non solo a se stesso”.
Il libro è il racconto di una ragazza determinata e di un uomo (lasciato) solo. Ma anche la cronaca ragionata di vent’anni di mafia: attentati e processi, morti eccellenti (Giangiacomo Ciaccio Montalto, Rocco Chinnici, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Mauro Rostagno), maxi processi, sentenze non sempre esemplari. Nomi di mafiosi che ricorrono da una strage all’altra, da un processo all’altro. Alcuni catturati (Totò Riina), altri pentiti (Giovanni Brusca). Tutti, in qualche modo, collegati a quella lontana strage e a quel giudice scomodo. Anzi, ex giudice, perché dopo un breve e difficile periodo al Ministero della Giustizia, Carlo Palermo lasciò la magistratura. Margherita, che da anni collabora con l’associazione Libera, grazie a Don Luigi Ciotti è riuscita finalmente a incontrarlo solo pochi anni fa, a Trento. E l’ha ritrovato inaspettatamente al suo fianco a Trapani a una manifestazione contro la realizzazione di uno stabilimento balneare nel luogo della strage. “Quando arriva il momento del silenzio per onorare il vostro ricordo” scrive Margherita rivolgendosi idealmente ai suoi cari “sento una mano che cerca la mia. Nell’istante esatto in cui torno bambina a cercare mia madre, dentro quelle stanze piene di gente, questa volta ho trovato la mano del giudice Carlo Palermo”. Lui stretto nel suo impermeabile e lo sguardo triste, lei con gli occhiali da sole per nascondere le lacrime. “Un pezzo che ritorna al suo posto dopo tanto tempo”.