Con sentenza n. 4541 del 5 marzo 2015, la Cassazione Civile ha fissato un importante principio, peraltro lapalissiano in realtà nel suo contenuto. Ossia che gli impianti sciistici di risalita non sono un mezzo di trasporto pubblico, bensì una attività commerciale. E, come tali, debbono essere tassati con l’Imu.
Queste le chiarissime parole della Suprema Corte: “E’ pacifico nel caso di specie (n.b. si trattava di una funivia sulla Marmolada) che si discute di un “impianto di risalita” funzionale alle piste sciistiche gestite dalla contribuente. Dunque non sussiste il presupposto del classamento come ‘mezzo pubblico di trasporto’, classamento che presuppone evidentemente una, sia pur parziale, utilizzabilità delle struttura come ‘mezzo di trasporto’ a disposizione del pubblico. Mentre un ‘impianto di risalita’ svolge una esclusiva funzione commerciale di ausilio ed integrazione dell’uso delle piste sciistiche. Resta dunque solo da stabilire se nel calcolo del valore di costruzione e quindi della rendita catastale debbano essere conteggiati anche gli impianti fissi. E la risposta non può che essere positiva. In quanto l’art. 1 quinquies aggiunto dalla Legge di conversione n. 88 del 2005 al D.L. n. 44 del 2005 non ha fatto altro che esplicitare un principio generale dell’ordinamento: i beni immobili coinvolgono non solo il suolo ed i fabbricati ma anche tutte le strutture fisse che concorrono al pregio ad alla utilizzabilità degli immobili stessi”.
Il mondo ambientalista è da sempre contrario ad un utilizzo dell’ambiente montano che non viva di interessi ma disperda il capitale. Esemplari, in proposito, sono gli impianti di risalita. Non certo quelli di limitate dimensioni o che collegano col fondovalle borgate alpine, bensì i c.d. “domaine skiables”, cioè quei grandi comprensori che annoverano non solo impianti di risalita e piste di discesa, ma anche impianti per l’innevamento artificiale con relativi bacini di accumulo e, spesso, anche impianti idroelettrici di servizio. Per non parlare delle valorizzazioni annesse, ossia condomini e villette.
Si tratta di una sorta di privatizzazione della montagna per soddisfare le esigenze ludiche di una minoranza benestante, considerato anche il costo degli abbonamenti. Per fortuna che il turismo montano dolce sta sempre più prendendo piede con ciaspole e scialpinismo ai primi posti.
Ciò detto, non si comprende per quale motivo questa che è una attività meramente commerciale e che occupa ampie porzioni di territorio (anzi, degrada vaste porzioni di territorio), non debba andare soggetta al pagamento della relativa imposta comunale sugli immobili.
Interessante e, nel contempo, inquietante l’intervento di Enrico Borghi, ovviamente parlamentare PD, nonché presidente dell’UNCEM, il quale, dopo aver confuso il trasporto pubblico ferroviario con il trasporto privatististico a fune (“Molti sindaci hanno già richiamato, nelle ultime ore, l’assurdità della sentenza accostando gli impianti a fune alle rotaie delle ferrovie), afferma, a commento della decisione: ‘Assurda la sentenza. Pronti a definire un nuovo piano legislativo per sostenere l’economia legata alla neve‘. In pratica, si farebbe una norma ad hoc per salvaguardare i paperoni che gestiscono gli impianti. Complimenti, onorevole!
E già si sparge nell’etere il timore che degli impianti dovranno chiudere. E allora? Sono imprese commerciali e, come tali, soggette al rischio di impresa. O no?
In realtà, allo stato attuale, gli impianti di risalita non possono godere di alcuna agevolazione tributaria, posto che l’esenzione dal pagamento dell’IMU non è prevista per le società che abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali, come sono, a tutta evidenza, gli impianti sciistici.
Purtroppo, per dirla tutta, quello che induce in errore sono le norme regionali che parlano degli impianti funiviari come di impianti destinati al trasporto pubblico, e come tali, assistiti da pubblica utilità. Ma tale previsione non autorizza affatto a ritenere che non debbano pagare l’imposta per l’occupazione del suolo!