Otto pareri acquisiti, costati circa centomila euro. Sono lì, sul tavolo degli uffici di presidenza di Camera e Senato, tornati a riunirsi ieri a Montecitorio, dopo il nulla di fatto della settimana scorsa, per discutere la questione del taglio dei vitalizi agli ex parlamentari condannati, prima di rinviare ogni decisione al 15 aprile. Quando torneranno a riunirisi, stavolta separatamente, ma allo stesso orario, per provare magari ad arrivare ad un’approvazione contemporanea e conforme sullo schema di delibera che cancelli l’assegno vitalizio ai condannati per determinati reati a pene detentive superiori a due anni. I reati, in pratica, ai quali la legge Severino lega l’incandidabilità o la decadenza.
NODI DA SCIOGLIERE Una vicenda che si protrae dallo scorso g ugno e che ha messo i due organi parlamentari di fronte ad alcuni nodi da sciogliere. Il primo riguarda il metodo da seguire. E i dubbi si sono concentrati proprio sullo strumento della delibera. Un atto regolamentare, in sostanza, per cancellare un diritto che proprio un regolamento aveva introdotto. Basta una delibera o è necessaria una legge? Sul punto, i pareri acquisiti sono giunti a conclusioni diverse. Quel che è certo è che il diritto sul quale si punta ad intervenire assomiglia molto di più ad un privilegio. A differenza delle pensioni di tutti i cittadini comuni, infatti, il vitalizio (prima della sua abolizione) è stato a lungo concesso a condizioni molto più favorevoli sia dal punto di vista economico (per gli importi spesso ingiustificati rispetto ai contributi effettivamente versati) sia dal punto di vista anagrafico (perché erogati indipendentemente dal raggiungimento dell’età pensionabile prevista per gli ordinari trattamenti previdenziali). Oltre al metodo, poi, c’è anche il nodo del merito: si possono effettivamente revocare i vitalizi agli ex parlamentari condannati o trattandosi di diritto acquisito sono ormai intoccabili?
PIOGGIA DI PARERI Proprio per rispondere a questi quesiti sono stati acquisiti dagli uffici di presidenza di Camera e Senato otto pareri pro veritate commissionati ad insigni giuristi: da Cesare Mirabelli, a Valerio Onida, da Sabino Cassese a Massimo Luciani, da Alessandro Pace a Michele Ainis, da Giancarlo Ricci a Franco Gallo. Pareri che, secondo una fonte interna consultata da ilfattoquotidiano.it, sono costati ciscauno cifre comprese tra i 10mila e i 15 mila euro. Per un importo complessivo oscillante tra gli 80mila e 120mila euro. Insomma, una cifra (in media) stimabile intorno ai 100mila euro. Resta da capire a quali conclusioni arriveranno i due uffici di presidenza nelle riunioni del 15 aprile. Non è escluso, peraltro, che possano arrivare anche a decisioni diverse. Decisioni che, in ogni caso, terranno conto anche degli otto pareri acquisiti. Nove, in realtà, tenendo conto anche di quello scritto di proprio pugno dal presidente del Senato Pietro Grasso, in risposta a quello di Mirabelli. Ma, almeno il suo, non è costato un euro alle casse di Palazzo Madama. Per fortuna.
Twitter: @Antonio_Pitoni