Gestione illecita di rifiuti e discarica non autorizzata (anche in caso di rifiuti pericolosi); combustione illecita di rifiuti; traffico illecito di rifiuti; scarichi di acque reflue industriali senza autorizzazione; esercizio di stabilimenti senza la prescritta autorizzazione alle emissioni; tutti i reati edilizi e paesaggistici… E ancora: commercio e somministrazione di medicinali guasti; commercio di sostanze alimentari nocive; somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute pubblica; rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro (e, a fortiori, anche omissione colposa)… Per non parlare di tutti gli illeciti penali contro gli animali. Questi sono solo alcuni esempi di reati contro l’ambiente e la salute pubblica, di umani e non umani, che dal 2 aprile prossimo diventeranno, potenzialmente, non punibili.
Infatti, per queste e per tutte le altre fattispecie sanzionate con una “pena detentiva non superiore nel massimo ai cinque anni” ovvero con una “pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo [….] l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale“. Seguono le previsioni dei casi in cui l’offesa non può esser ritenuta di particolare tenuità (su tutti gli altri, quindi, si può discutere) e di quelli in cui il comportamento è qualificabile come abituale. Questo sancisce il recentissimo decreto legislativo “in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto”.
Secondo i commentatori più entusiasti, il principio, alto e nobile, che vi è sotteso è quello di garantire la necessaria finalità rieducativa della pena prevista dall’articolo 27 Cost, che, a sua volta, presupporrebbe la proporzionalità fra la sanzione irrogata e la condotta commessa. In realtà, il legislatore italiano, con ogni evidenza ispirato da una visione graniticamente ottimistica della natura umana, è andato, da par suo, ben oltre il pur illuminatissimo approccio su accennato: ha pensato, cioè, che l’autore di un reato, pure non proprio bagatellare (come si è illustrato sinteticamente all’inizio), possa ben rieducarsi anche sua sponte, in assenza, cioè, di qualsiasi tipo di sanzione, dato che nel testo di legge non ne sono previste di sostitutive a quelle penali.
Qui siamo oltre ogni più rosea aspettativa anche dei più lirici, se non onirici, aedi del cosiddetto ‘diritto penale minimo’: qui siamo, di fatto, al diritto penale estinto. Non nei confronti di migranti rivenditori di dvd tarocchi, ma nei confronti di inquinatori e attentatori alla salute pubblica. Dopo l’estinzione di processi a causa di quella che un onesto e acuto addetto ai lavori ha definito la ‘mattanza giudiziaria’ dovuta alla prescrizione di altrettanti reati, era, per certi versi, nelle cose che si passasse direttamente al gradino superiore: l’abdicazione dello Stato alla pretesa di punire masse di comportamenti dei suoi cittadini costituenti reato. E’ almeno un elemento di chiarezza.
Che tipo di conseguenze concrete deriveranno da questo ennesimo, ‘illuministico’ intervento legislativo ai, già regolarmente desolanti, livelli di tutela effettiva di beni giuridici fondamentali come la salute delle persone e degli altri esseri viventi e l’ambiente, specie in un Paese a tasso di legalità (si fa per dire) come quello italico, lo si lascia valutare a chi legge. E, forse, non occorre esser giuristi per intuirlo.
Anzi, forse l’esserlo, in alcuni casi, non è necessariamente un volano di comprensione, per dirla in maniera delicata, degli effetti sociali di certe teorizzazioni giuridiche e, soprattutto, delle relative applicazioni pratiche. Specie se si è giuristi ‘illuminati’. Con buona pace di quel famigerato giustizialista che 250 anni fa scriveva: “Quanto la pena sarà più pronta e più vicina al delitto commesso, ella sarà tanto più giusta e tanto più utile. [….] perché quanto è minore la distanza del tempo che passa tra la pena ed il misfatto, tanto è più forte e più durevole nell’animo umano l’associazione di queste due idee, delitto e pena, talché insensibilmente si considerano uno come cagione e l’altra come effetto necessario immancabile. [….] Un altro principio serve mirabilmente a stringere sempre più l’importante connessione tra il misfatto e la pena, cioè che questa sia conforme quanto più si possa alla natura del delitto. Questa analogia facilita mirabilmente il contrasto che dev’essere tra la spinta al delitto e la ripercussione della pena, cioè che questa allontani e conduca l’animo ad un fine opposto di quello per dove cerca d’incamminarlo la seducente idea dell’infrazione della legge”. (C. Beccaria, Dei delitti e delle pene)