Un articolo quasi sconosciuto della legge Biagi potrebbe dare un forte impulso all’inserimento lavorativo delle persone disabili. Ma per ora non è così, anche per l’opposizione dei sindacati. L’articolo 14 della riforma del mercato del lavoro firmata dal giuslavorista ucciso dalle Nuove Br consente alle aziende che hanno l’obbligo di assunzione, quelle con più di 15 dipendenti, di impiegare i disabili – in particolare intellettivi, i più deboli e difficili da gestire – presso cooperative sociali B: onlus ma imprese a tutti gli effetti, che possono operare in tutti i settori produttivi impiegando almeno il 30% di soggetti svantaggiati. In pratica la coop assume il lavoratore al posto di un’impresa profit, la quale in cambio assegna alla cooperativa commesse di lavoro proporzionate al costo del personale assunto. Così il disabile viene occupato in un contesto organizzativo più sensibile alle sue esigenze, mentre la società ha un’opportunità di crescita. Peccato che questo strumento sia stato sfruttato pochissimo, nonostante rappresenti una valida alternativa all’assunzione diretta: nel 2013 gli avviamenti al lavoro ex articolo 14 sono stati solo 219 in tutta Italia.
Eppure percorrendo questa strada si potrebbe superare l’impasse per cui le persone disabili, pur in teoria tutelate dalla legge sul collocamento obbligatorio, sono di fatto ancora largamente emarginate dal mercato del lavoro. Come testimoniano i dati dell’ultima relazione al Parlamento sull’applicazione della legge 68: solo 18.295 le assunzioni effettuate nel 2013, mentre i posti riservati ai disabili ma vacanti sono ben 41.238. E a peggiorare la situazione c’è il fatto che spesso nemmeno gli enti locali rispettano l’obbligo: di recente la deputata Pd Ileana Argentin ha denunciato per esempio che il Comune di Roma dovrebbe assumerne altri 300 per essere in regola. Cifre preoccupanti, temperate solo dalla buona notizia che un emendamento alla legge di Stabilità ha rifinanziato in extremis il fondo ad hoc prevedendo che da ora in poi vi siano destinati strutturalmente 20 milioni l’anno.
Ma quali sono i motivi del flop dell’inserimento nelle cooperative? In primo luogo, spiega Claudio Messori, direttore dell’Agenzia per il lavoro dell’associazione nazionale invalidi del lavoro (Anmil), “le rappresentanze dei lavoratori hanno sempre visto con sospetto l’art 14, perché considerano l’inserimento in coop sociale una forma di ghettizzazione del lavoratore in un contesto ritenuto assistenziale e non professionalizzante”.
Un altro fattore che non ha aiutato è la procedura di applicazione dell’articolo 14: gli inserimenti in cooperativa infatti possono avvenire solo in base a convenzioni quadro territoriali tra le province, che gestiscono il collocamento obbligatorio, e le parti sociali: ovvero sindacati, associazioni imprenditoriali e confederazioni o leghe delle cooperative. Le convenzioni disciplinano aspetti molto dettagliati e devono essere validate dalla Regione di riferimento. Insomma, un iter lungo. Dove le province sono state attive e intraprendenti, le convenzioni sono state fatte e attuate, altrove si è fermato tutto. Il 90% degli inserimenti ex art. 14 si concentra nel nord ovest, mentre nel centro e nel sud è una sfilza di zeri. Colpa di tanti fattori, in testa l’assenza di volontà politica. Incredibile il caso della Campania. “La legge regionale sulla cooperazione sociale è stata approvata a febbraio 2015 con 24 anni di ritardo sulla legge nazionale, infatti abbiamo fatto festa grande”, spiega Giovanpaolo Gaudino, presidente di Federsolidarietà Campania. “Per questo le coop sociali si sono sviluppate pochissimo, soprattutto quelle di tipo B che devono confrontarsi con il mercato”.
La Lombardia all’opposto è la regione all’avanguardia nel panorama italiano ed è qui che si trovano le sperimentazioni più interessanti, soprattutto da parte di imprenditori sociali che hanno scommesso su attività economiche ad alto valore aggiunto, smentendo il pregiudizio che vede queste imprese come una forma di assistenzialismo mascherato e le considera confinate in attività marginali come le pulizie o il facchinaggio. Per esempio la cooperativa Pensieri & Colori è un’agenzia di comunicazione di Milano che ha trovato clienti importanti ed è riuscita a inserire disabili nel ruolo di grafico pubblicitario e di contabile, in un caso proprio grazie all’articolo 14. Mentre l’atelier Uroburo, sempre a Milano, impiega persone con disagio psichico nella realizzazione di gioielli artigianali di pregio con la collaborazione di designer affermati.
Infine, in Brianza si sta realizzando uno dei primi progetti di partnership industriale tra la cooperativa Nuova Iride di Monza e la multinazionale Flowserve, che le ha affidato la lavorazione di un componente meccanico per pompe industriali ad alta tecnologia. Flowserve ha realizzato a proprie spese una linea produttiva adattata alle esigenze delle due persone disabili che ci lavorano. Una partnership che è andata oltre l’adempimento degli obblighi di legge per l’azienda profit: gli adattamenti tecnici e organizzativi realizzati in cooperativa sono stati poi trasferiti su tutta l’azienda, perché si è scoperto che valorizzavano molto di più il lavoro anche delle persone cosiddette “normali”.