Le elezioni amministrative in Andalusia della scorsa settimana erano il banco di prova elettorale per la seconda forza della sinistra radicale europea, Podemos. I sondaggi nazionali lasciavano intravedere la possibilità che il partito di Iglesias e il suo gemello di destra, Ciudadanos, guidato dall’altrettanto giovane Albert Rivera, spaccassero in quattro il sistema elettorale spagnolo. Creando così uno scenario decisamente inedito. Una destra e una sinistra tradizionali, con un peso quasi equivalente, affiancate da una destra e una sinistra alternative.
Per Iglesias è certamente un risultato positivo, se consideriamo che è maturato in poco più di un anno. E conferma il successo ottenuto alle europee dello scorso maggio, che hanno aperto le porte del Parlamento di Strasburgo a lui e ad altri quattro colleghi. Il problema però è che Podemos non è non un partito come gli altri. Il suo scopo dichiarato non è rappresentare una minoranza, ma diventare maggioranza senza accettare compromessi con nessuno, al fine di rovesciare l’attuale paradigma economico e finanziario.
Ridurre la settimana di lavoro, stimolare i consumi attraverso un crescente intervento dello Stato, aumentare la tassazione sui redditi più alti, ristrutturare il debito pubblico, diminuire l’età pensionabile, aumentare la spesa pubblica in settori come la sanità e la scuola, modificare lo statuto della Bce inserendo la piena occupazione tra i suoi obiettivi. Sono tutti punti di un programma che, al di là o meno della sua desiderabilità, costringono Iglesias ed i sui compagni di partito ad una corsa in solitaria. Un’impresa che, anche se dovesse fruttare, in un futuro più o meno prossimo, una maggioranza assoluta in Spagna, si arresterebbe molto probabilmente di fronte all’ostacolo insormontabile dell’isolamento al livello europeo.
Syriza è una chiara dimostrazione di questo. Ottenere il consenso politico in ambito nazionale è soltanto un primo passo, e non basta, da solo, ad innescare un’inversione di tendenza in campo economico. A partiti come Syriza e Podemos non basta ottenere seggi per concretizzare i punti dei loro programmi, che per molti aspetti sono simili. E non basta neppure ottenere la maggioranza assoluta nei rispettivi Paesi. Dovrebbero prima scardinare l’asse popolari-socialisti a livello europeo. E per farlo, l’unica opzione è vincere tutti nello stesso momento. Uno scenario, chiaramente, poco probabile.
Il successo di Syriza è strettamente legato al peggiorare, drammatico, delle condizioni di vita dei cittadini greci. Finché la crisi economica non è esplosa, la ricetta politica della coalizione di sinistra era gradita a pochi, ed i partiti tradizionali erano saldi al potere. La crisi, per quanto già molto dura, non è probabilmente così vasta da replicare altrove in Europa le condizioni necessarie all’emergere di nuovi fenomeni Syriza. Non è un caso che Podemos il risultato migliore l’abbia conseguito a Cadice, che è la città della sua leader regionale, Teresa Rodriguez, ma è anche la provincia con il tasso di disoccupazione più alto di tutta la Spagna (42 per cento, 69 per cento per gli under 30), più alto perfino di quello greco.
La domanda quindi che spesso si trascura quando si discute di realtà come Syriza o Podemos è: qual è la strategia della sinistra radicale europea nel momento (destinato ad essere lungo) in cui è costretta ad operare, come minoranza, all’interno di quel paradigma economico che, se gli attuali rapporti di forza rimangono invariati, continua a definire i confini del campo di gioco? Ciò che è ancora poco chiaro è in cosa consista il piano B, quello che la sinistra radicale che aspira a rovesciare le regole del sistema economico neoliberale si propone di attuare fintanto che queste regole resteranno valide.