La e-fattura nei confronti della Pubblica amministrazione arriva all’ultimo atto e promette di far risparmiare 2 miliardi allo Stato e qualche euro a fattura alle imprese. Che, tuttavia, dovranno accollarsi l'investimento nel nuovo software. Ma per parlare di rivoluzione bisogna aspettare l'estensione anche ai privati, approvazione della delega fiscale permettendo
Tutti quelli che hanno a che fare con la Pubblica amministrazione, dalle grandi multinazionali al piccolo artigiano, dal 31 marzo dovranno adeguarsi alle nuove regole di fatturazione che implicano l’utilizzo di posta elettronica certificata, firme digitali e un software per archiviare i documenti in modo sicuro per almeno 10 anni.
Adempimento che dà l’avvio alla seconda e ultima fase di attuazione dell’obbligo di utilizzo della fattura elettronica che, già da giugno 2014, ha interessato ministeri ed enti previdenziali centrali. D’ora in avanti, quindi, anche Regioni, Province, Comuni, Comunità montane e tutte le amministrazioni centrali come Asl, stazioni dei carabinieri e parchi nazionali (si tratta di oltre 20mila soggetti pubblici sparsi sul territorio) entreranno a far parte di questo sistema digitale che impone alla Pa di pagare le fatture solo se riceveranno una richiesta di pagamento in formato elettronico.
Le fatture, in particolare, non devono essere indirizzata agli enti pubblici, ma a un sistema centrale, gestito dall’Agenzia delle Entrate e dalla Ragioneria dello Stato, che la controllerà e validerà inoltrandola ai singoli enti che potranno respingerla o accettarla e, quindi, pagarla in tempi certi. Inoltre, tecnicamente, va trasmessa attraverso il Sistema di interscambio (Sdi) come documento informatico xml, sottoscritto con firma elettronica.
Rivoluzione che – stando ai dati diffusi dalla Ragioneria dello Stato e dal Politecnico di Milano – promette di far risparmiare fino a 2 miliardi di euro allo Stato che riceverà 50 milioni di fatture in formato elettronico pari a circa 135 miliardi di euro all’anno. Ed anche per le due milioni di imprese fornitrici dovrebbe esserci un risparmio calcolato tra i 4 e i 15 euro per ogni fattura elettronica emessa al posto di quella cartacea. Non solo. Per il direttore delle Entrate Rossella Orlandi, il sistema permetterà “un recupero di evasione importante” e “in futuro permetterà controlli, veloci, preventivi e non invasivi”.
E gli esempi utilizzati dai tecnici per far capire la portata di questa nuova procedura, che permette di tracciare e rendere trasparente l’intero ciclo di vita dei debiti commerciali, sono indicativi: trovando con pochi click le fatture con cui un’Asl della Campania e una dell’Emilia Romagna hanno acquistato la stessa siringa, è possibile un confronto immediato e impietoso tra i prezzi. Le aziende fornitrici della Pa potranno poi finalmente avere un quadro aggiornato dei propri crediti senza più bisogno di richiedere la certificazione, indispensabile per ottenere dalle banche fidi e prestiti. Va tuttavia ricordato che al 30 gennaio 2015, vale a dire a sei mesi dalla scadenza che si era dato il governo Renzi, sui 68 miliardi di euro di debiti della Pa ne sono stati liquidati 36,5, di cui 22,8 già pagati dai governi Monti e Letta. E resta ancora irrisolto il problema del mancato rispetto da parte delle amministrazioni pubbliche di pagare, come impone la direttiva Ue, entro 30 giorni (o 60 in alcuni casi specifici), con la media italiana che si colloca, invece, tra 170-210 giorni.
La novità dovrebbe poi garantire, per esempio, una maggiore trasparenza sulla fattura emessa dall’idraulico che ripara il rubinetto di una scuola. Il che significherebbe che i soldi per la manutenzione scolastica sono stati sbloccati e che questi lavori non dovranno più essere fatti con il solo coinvolgimento delle famiglie.
Tutto questo diventerà possibile tra pochi giorni nel nome della trasparenza della spesa pubblica con il vantaggio legato alla possibilità di contrastare gli sprechi, il riciclaggio e l’evasione fiscale. Ma se questo tuffo nella fatturazione 2.0 sarà un successo nessuno può dirlo, soprattutto se si considera l’enorme difficoltà iniziale accollata unicamente alle imprese che si devono dotare di un software gestionale per produrre il documento nel formato FatturaPa e devono essere in grado di rispettare l’obbligo di conservazione per 10 anni. Una spesa che si scarica su professionisti e micro aziende (che costituiscono la maggior parte dei fornitori), già boccheggianti a causa della crisi. E se le Pmi iscritte alla Camera di Commercio possono usare gli strumenti messe a disposizione da Infocamere, per tutti gli altri non resta che utilizzare i programmi gratuiti, ma limitati nel tempo, che propongono diversi gestori in rete (un po’ come funzione per la Pec).
Infine, per vedere se e come l’Italia realizzerà questa rivoluzione bisognerà, comunque, prevedere un altro tassello fondamentale per la lotta all’evasione fiscale: l’estensione anche ai privati dell’obbligo della fattura elettronica. Del resto è uno dei capitoli di maggior rilievo della riforma fiscale, prevista all’articolo 9 della delega fiscale (legge n. 23/2014). Peccato che siano passati 12 mesi dalla sua approvazione e molto poco sia stato fatto, soprattutto per quanto riguarda i temi più importanti come la revisione delle tax-expenditures, la riforma del catasto e, appunto, la riduzione degli adempimenti amministrativi e contabili a carico dei contribuenti. Tanto che il governo ha dovuto chiedere una proroga di sei mesi (inserita nel decreto sull’Imu agricola) per completare i lavori. Ma nel frattempo “l’annuncite” è sempre dietro l’angolo. Con il viceministro dell’Economia, Luigi Casero, che nel corso della presentazione dei risultati 2014 dell’Agenzia delle Entrate ha detto che “dopo il 730 precompilato, arriveranno velocemente altre dichiarazioni precompilate, ad esempio per l’Iva, grazie all’introduzione della fatturazione elettronica anche tra privati”. Che, pero, dovrebbe vedere la luce dal 2017.