Una pubblicità di alcuni anno orsono proponeva un prodotto per “l’uomo che non deve chiedere mai!”. Questo mito di un individuo sempre sicuro di sé è propagandato con indubbia efficacia nei film di James Bond o in quelli cin cui attori come Tom Cruise, Artur Schwarzenegger, etc affrontano continuamente imprese impossibili. La riflessione sulla fragilità e la complessità non sfiorano neppure gli autori. In molte professioni si pongono gli individui in situazioni di stress continuativo per ottenere i risultati migliori. Ad esempio negli sport gli allenamenti sono talmente esasperati da rischiare continuamente l’infortunio. Se infatti porto al limite massimo la sollecitazione muscolare e articolare rischio di arrivare a superare questo limite e provocare un danno.

Quando ero ragazzo ricordo un amico che aveva una grossa moto. Si cimentava in una strada piena di curve per vedere di raggiungere la velocità massima di percorso. Lo fece tante volte, cercando il limite, che ad un certo punto lo superò e cadde.

In psicologia negli ultimi anni si è imposta la necessità di riflettere sul burn-out (letteralmente bruciarsi) degli individui in professioni sottoposte a stress continuativi. Sono a rischio soprattutto coloro che hanno la responsabilità verso altri esseri umani e devono aiutare il prossimo. Un esempio classico è quello dell’operatore sanitario sottoposto a turni intensi che deve sempre essere performante visto che ha nelle sue mani la vita degli altri. I piloti di aerei fanno parte di queste professioni visto che anche loro sentono su di sé una grande e continua responsabilità. Non possono mai sbagliare.

Non entro nello specifico della vicenda del giovane ragazzo tedesco, protagonista della tragica vicenda nei cieli, in quanto non ho elementi per valutare se fosse affetto da paranoia slatentizzata dal burn-out o da altre problematiche.

Vorrei sottolineare come la soluzione, a differenza di quello che viene continuamente affermato nei giornali e in televisione, non sia aumentare a dismisura i controlli. Aumentare eccessivamente i controlli rischia di provocare un aumento dello stress e della necessità di “essere sempre al top” da parte dei professionisti. Tra l’altro è emerso che il ragazzo aveva a breve un controllo cui si sarebbe dovuto sottoporre. Occorre a mio avviso introdurre la cultura dell’accettazione della propria e altrui fragilità e debolezza. Si sarebbe evitato il dramma solo se questo ragazzo, che ha l’età di mio figlio e che quindi cerco di pensare come umano e non disumano come proposto nei giornali, avesse accettato di essere fragile, di non poter sempre essere un vincente, di poter essere lasciato da una ragazza, di poter accettare di non essere all’altezza del lavoro di pilota.

Purtroppo il mito, tipicamente impregnato nella cultura tedesca, del superuomo glielo ha impedito e lui ha continuato a pretendere da se stesso di essere sempre “al massimo”. Anche il modo in cui ha ceduto e si è schiantato sul lavoro paradossalmente è stato, inconsciamente, quello di dimostrare di essere un superuomo che affronta la morte e la distruzione di sé e degli altri a viso aperto e senza paura.

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