Un “gioco al massacro” che “fa comodo ai nemici dell’Europa”. Così, in un intervento a sua firma pubblicato da Il Sole 24 Ore, il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis definisce la contrapposizione tra Grecia e Germania, nel giorno in cui finisce in un nulla di fatto il negoziato tra Atene e il Brussels group (“successore” della troika) sulla lista di riforme proposte dal governo ellenico ai creditori. Un fallimento che fa slittare a dopo Pasqua il via libera dell’Eurogruppo ad un primo esborso di 1,9 miliardi di euro a valere sull’ultima tranche di aiuti legati al memorandum. E mette in forse la permanenza stessa del Paese nell’Eurozona.

Varoufakis, che nei giorni scorsi ha smentito le indiscrezioni che lo davano vicino alle dimissioni in seguito a contrasti con il premier Alexis Tsipras, esordisce ricordando il “caso” del dito medio: a metà marzo una tv tedesca ha diffuso un video del 2013 in cui apparentemente il ministro rivolgeva il gestaccio all’indirizzo di Berlino. Pochi giorni dopo la smentita, con la confessione che si trattava di un falso. “L’ondata di reazioni ha rivelato il potenziale impatto di un gesto come quello in un momento di crisi (…) che ha fatto emergere i problemi dell’Unione monetaria e messo gli uni contro gli altri i Paesi e il loro orgoglio“, nota l’economista. Che ripercorre poi tutte le tappe della crisi del debito ellenico, sostenendo ancora una volta come il salvataggio del 2010 – quando al Paese è stato concesso da Ue, Bce e Fondo monetario internazionale un maxi prestito da 240 miliardi – sia stato in realtà “un cinico trasferimento di perdite private dei bilanci bancari che sarebbe andato a pesare sulle spalle dei greci più vulnerabili“. Infatti, scrive Varoufakis, “più del 90% dei 240 miliardi prestati alla Grecia sono andati alle istituzioni finanziarie, e non allo Stato o ai greci”.

“Il fatto è che la Grecia non aveva il diritto di chiedere un prestito ai tedeschi – o a qualsiasi altro contribuente europeo – quando il suo debito pubblico era insostenibile”, prosegue il braccio destro di Tsipras con un ragionamento che forse gli guadagnerò qualche simpatia in più tra i connazionali di Angela Merkel. “Prima avrebbe dovuto intraprendere una ristrutturazione del debito e dichiarare un default parziale nei confronti dei suoi creditori privati. Ma, allora, questa posizione “radicale” fu ignorata”.

“Il risultato è stato il più grande prestito della storia che dei contribuenti abbiano mai contratto, concesso a condizione di un piano di austerità così severo da far perdere un quarto del reddito ai suoi cittadini e così è stato impossibile ripagare il debito pubblico o privato. La crisi umanitaria che ne è conseguita, ed è in corso, è tragica” e “l’animosità fra europei non è mai stata così forte, con greci e tedeschi che si sono abbassati a un esibizionismo morale, scambiandosi accuse e arrivando a un aperto antagonismo“. Segue l’auspicio a mettere fine al gioco al massacro per permettere ad Atene di “concentrarsi sull’attuazione di riforme efficaci e di politiche per la crescita”. Come? Semplice, secondo Varoufakis occorre che i leader europei sblocchino subito l’ultima tranche di aiuti, che secondo l’accordo politico raggiunto il 20 febbraio è invece subordinata al superamento con successo dell’esame dell’Eurogruppo su un programma completo di riforme in grado di rimettete in sesto i bilanci del Paese.

Ma il nuovo appello – che segue quello pubblicato due settimane fa sulle pagine del Financial Times – non sembra aver trovato ascolto nelle cancelliere della Ue. Dopo gli incontri tecnici proseguiti per tutto il weekend, un diplomatico Ue ha infatti fatto sapere che i creditori considerano “troppo vaga, non credibile e non verificabile” la lista di riforme presentata da Atene, che conta di poter aumentare le entrate dello Stato di 3 miliardi di euro. Stando a quanto riporta l’agenzia tedesca Dpa, la delegazione ellenica ha presentato solo documenti in formato elettronico su dispositivi mobili e scritti solo in greco. E non aiuta il fatto che venerdì notte l’agenzia di rating Fitch abbia annunciato di aver declassato la Grecia da B a CCC per il timore che le riforme promesse non vengano attuate.

Nel frattempo il governo si affanna ad assicurare che “pagherà in tempo salari e pensioni” (lo ha detto il vice di Varoufakis, Dimitris Mardas) e raschia il fondo del barile con un mini condono fiscale di tre giorni grazie al quale punta a incassare 250 milioni di euro. Non molto se si considera che il 9 aprile Atene deve rimborsare 470 milioni all’Fmi e per allora le casse dello Stato potrebbero essere vuote. Vendere altri titoli di Stato alle banche è fuori discussione, non solo perché la Bce lo ha vietato ma anche perché gli istituti stanno in piedi solo grazie alla liquidità di emergenza fornita dall’Eurosistema. Nel solo mese di marzo sono stati ritirati dai depositi 3 miliardi, portando a meno di 140, contro i 237 del dicembre 2007, i fondi custoditi dagli istituti di credito. Tsipras e Varoufakis, di fronte all’emergenza, hanno fatto marcia indietro sulle privatizzazioni, e sono ora disposti a cedere sia la quota di maggioranza nel Porto del Pireo, già prenotata dai cinesi di Cosco, sia concessioni per la ricerca onshore di petrolio e gas nell’ovest del Paese.

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