Nel suo discorso a chiusura del summit a Sharm El Sheikh, il presidente egiziano ha più volte ribadito la necessità di intraprendere delle azioni congiunte per contrastare "le minacce esistenziali" costituite dai gruppi estremisti che operano in Libia e in altre aree del Medio Oriente. Ma quello che da molti analisti è stato definito un "passo storico" difficilmente riuscirà a ottenere l'adesione di tutti gli stati membri
Domenica il presidente egiziano Abdel Fattah El Sisi ha annunciato che i 22 stati membri della Lega Araba si sono accordati sui principi per la creazione di una forza militare congiunta. Nel suo discorso a chiusura del summit della Lega a Sharm El Sheikh, Sisi ha più volte ribadito la necessità di intraprendere delle azioni congiunte per contrastare “le minacce esistenziali” costituite dai gruppi estremisti che operano in Libia e in altre aree del Medio Oriente. Secondo quanto riportato dalle autorità egiziane, entro un mese un comitato supervisionato dai capi di stato maggiore dei paesi aderenti si riunirà per stilare i dettagli. Il segretario generale della Lega Araba Nabil El-Araby ha affermato che la formazione della nuova forza militare potrebbe concludersi circa 6 mesi. Alcuni giorni fa l’Associated Press aveva parlato di una forza composta da 40,000 uomini delle truppe d’élite supportate da artiglieria leggera, jet e navi da guerra facente capo a due quartieri generali, uno al Cairo e uno a Riyad.
“I paesi arabi stanno affrontando delle sfide senza precedenti”, ha affermato Sisi nel corso del summit, da qui la necessità di avere un corpo militare che sia in grado di far fronte alle crisi regionali. Il riferimento all’operazione militare guidata dall’Arabia Saudita – e supportata da diversi paesi tra cui l’Egitto – contro i ribelli Houthi in Yemen è chiaro così come quello alla crisi in Libia dove lo scorso mese Il Cairo è intervenuto con dei raid aerei contro alcune postazioni dell’Isis a seguito della decapitazione di 20 egiziani copti.
Ma quello che da molti analisti è stato definito un “passo storico” con molta probabilità non riuscirà a ottenere l’adesione di tutti gli stati membri a causa delle divisioni all’interno della Lega. Per esempio, l’Iraq che con il suo governo a guida sciita sta combattendo l’avanza dell’Isis anche con l’aiuto dell’Iran. Il suo ministro degli esteri Ibrahim Al-Jafaari ha dichiarato all’agenzia AFP che l’intervento militare in Yemen non è la soluzione e che è necessario un approccio pacifico alla crisi.
Dall’altra parte il Qatar, mentre appoggia i raid aerei della coalizione a guida saudita in Yemen, spinge per il dialogo tra i due governi rivali libici e si oppone a qualsiasi intervento armato. L’emiro Tamim bin Hamad Al-Thani ha affermato durante il summit che i ribelli sciiti e l’ex presidente yemenita Saleh hanno violato la legittimità del presidente in carica Hadi e hanno interrotto il processo per una soluzione politica del conflitto.
“C’è una spinta a ‘fare qualcosa‘ ma sul che cosa riaffioreranno le divisioni – spiega Francesco Strazzari, professore associato di relazioni internazionali all’università Sant’Anna di Pisa – il minimo comune denominatore è stretto per rivalità che si sono acuite negli anni su scenari sui quali si giocano partite che spesso vengono vissute come questioni esistenziali”.
Inoltre, la nascita della nuova forza militare mostra l’ennesimo tentativo dell’Egitto di porsi al centro dello scenario diplomatico arabo e fornire nuova legittimità alle iniziative dell’asse Cairo-Riyad. “Il presidente egiziano ha bisogno di dare un nuovo segnale a livello interno – spiega a IlFattoQuotidiano.it Gennaro Gervasio, professore di Scienze Politiche alla British University del Cairo – in questo momento gli interessi militari di Arabia Saudita e Egitto sembrano coincidere anche se non è chiaro quanto i lauti prestiti forniti da Riyad al Cairo dopo la deposizione di Mohammed Morsi stiano influenzando il supporto che Sisi sta dando a re Salman”.
Per quanto riguarda l’Arabia Saudita, Gervasio sottolinea l’interesse del nuovo monarca a prevenire, con una forza organizzata, nuove crisi regionali. Dentro l’interesse di re Salman ci sarebbero anche questioni di politica interna a partire dalla stabilità della sua monarchia. “In questo momento l’Arabia Saudita si può definire il meno debole tra i deboli – continua Gervasio – le rivolte arabe degli ultimi anni hanno comunque messo sotto pressione i governi nella penisola del Golfo e questo rende necessarie delle prove di forza per riaffermare la loro legittimità “.